Antoine, guineano, ventuno anni, si racconta. «Papà morto a causa di un sortilegio. Studiavo, mi sono inventato muratore»

IMG-20171026-WA0018L’orologio al polso indica le 10.10. Pomeriggio, sul Lungomare, due passi dal Centro di accoglienza straordinaria di via Cavallotti, seduti davanti a un cappuccino. Antoine, ventuno anni, parla francese (un operatore fa da interprete). Arriva dalla Guinea dopo un viaggio di due anni. A casa ha lasciato mamma, due fratelli e una sorella. Il papà, dice serio, «è stato vittima di un sortilegio».

L’orologio fermo alle dieci e dieci. Antoine spiega l’equivoco delle lancette. «E’ scarica la pila – dice – non ho idea quanto possa costare sostituirla, ma esistono cose più importanti in questo momento: le ricariche telefoniche, quelle sono più importanti rispetto al conoscere l’ora esatta; sentirmi con mamma e i miei fratelli, questo è importante».

Importante. Un aggettivo torna spesso nei ragionamenti di Antoine. Come lo scappare dal proprio Paese, dove una querelle tra famiglie improvvisamente potrebbe avere risvolti di una faida.«Questione di terreni – entra nello specifico – di proprietà di mio padre, morto a causa di una“malattia satanica”: i parenti dicono che quei terreni non spettano a noi e gridano vendetta; vivevo nel terrore, per questo motivo ci picchiavamo senza esclusione di colpi».

Papà vittima di una malattia satanica…

Malattia satanica. «A mio padre fecero un sortilegio, gli augurarono il peggio, tanto che presto si ammalò e morì». Non dà altre spiegazioni all’accaduto. Perdere il papà in modo misterioso per Antoine è stato l’elemento principale ad avere scatenato i risentimenti familiari. Il viaggio per l’Italia, un calvario. «Due anni per arrivare qui – dice – attraverso Algeria e Libia; in Guinea studiavo, ma una volta lontano da casa per guadagnare quei pochi soldi da mettere da parte ho dovuto inventarmi un mestiere, così in Algeria mi sono improvvisato muratore». Quel periodo, una scuola di sopravvivenza. «Ero ospite in una famiglia, mangiavo e dormivo lì, mi avevano preso subito a benvolere: “quando e se avrai i soldi – questo il patto non scritto – ripagherai la nostra ospitalità”; avevo trovato una seconda famiglia, in Africa spesso funziona così: abbiamo poco e quel poco è di tutti, a volte anche di chi sta peggio di noi; dopo aver ripagato la loro generosità, sono andato via, dovevo alleggerire quella famiglia della mia presenza e riprendere il mio viaggio verso una terra più ospitale, la mia fuga per la libertà era appena cominciata».

Algeria, poi Libia. «Si parla tanto di razzismo – sottolinea ancora Antoine – ma anche in Africa non c’è da stare
allegri, io stesso durante il passaggio da un Paese all’altro sono stato vittima di sassaiole, il colore della mia pelle era il bersaglio preferito di gente che si armava di pietre e le scagliava con violenza contro me e gli altri miei compagni per farci scappare: qualcuno nella fuga veniva colpito, momenti drammatici, impossibile dimenticarli».

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Aggrapparmi a un sogno…

In Italia per aggrapparsi a un sogno. Antoine dà l’idea afferrandosi a una ringhiera del Lungomare.«Voglio completare i miei studi, poi viaggiare, girare il mondo per trovare un posto accogliente che mi prometta un futuro: voglio apprendere il più possibile, imparare meglio l’italiano e rendermi utile alla società».

Un sogno per volta. «Gioco al pallone, il mio idolo è Cristiano Ronaldo, certamente non per quello che guadagna, ma per come gioca al calcio; prima completo gli studi, poi penso a giocare, credo di saperci fare con il pallone fra i piedi».

Storia delle lancette bis, altro piccolo equivoco. Gli chiediamo quanto sia alto. «Un metro e settanta – argomenta alzandosi dalla sedia – centimetro più, centimetro meno!». Anche qui le cose non stanno come sembra, Antoine è molto più alto. Alassane, l’operatore del Centro di accoglienza straordinaria traduce a paroleIMG-20171026-WA0022 e gesti la nostra perplessità. «Credetemi, qualche anno fa ero un metro e settanta!». Avanziamo una ipotesi, l’ultima volta l’altezza l’avrà misurata minimo dieci anni fa. In piedi, infatti, supera il metro e ottanta, il ragazzo guineano può ambire a un provino con la “sua” Juventus. «Dybala, un giocatore mostruoso!». Non ha fretta, il pallone di cuoio che nel suo Paese prendeva a calci anche a piedi nudi, può attendere. «Prima lo studio, senza quello – mi hanno insegnato – non vai da nessuna parte e io sogno di muovermi, avere un futuro migliore; possibilmente una vita non violenta, a questa dalle mie parti ti abitui da bambino».