IMG-20171005-WA0006Dieci mesi. Tanto è durato il viaggio di Cristian, nigeriano, ventitré anni. Il tempo, tanto, per mettere insieme i soldi necessari per il viaggio. Non senza qualche brusco e doloroso imprevisto. «Sono partito dal mio paese – racconta, assistito da un interprete del “CAS Cavallotti” di Taranto – non è stato semplice affrontare il lungo viaggio per l’Italia: il mio obiettivo era raggiungere l’Europa, fuggire dalla miseria e dalle restrizioni del governo; alla fine ce l’ho fatta».

Cristian, sarà cattolico. «Certo, cattolico, non è un caso che i miei mi abbiano dato questo nome; sapeste quante volte mi sono rivolto al Signore in quei lunghi dieci mesi…». Taranto, Italia, Europa. Uno dei principali obiettivi che il ventitreenne ragazzo arrivato dalla Nigeria, si è posto. «Trovare un buon lavoro, dove “buono” sta per dignitoso: non ho paura di svolgere lavori di fatica, anche i più umili, purché ci sia il rispetto della persona; poi, se riuscissi a realizzare questo mio sogno, vorrei sposarmi e mettere su una famiglia».

I mestieri di Cristian, un ragazzo al quale, si diceva, non fa paura nulla, specie dopo aver superato il deserto. Un passo per volta. «Impegni faticosi ne ho affrontati, poi giunto in Libia mi sono occupato di lavori di pulizia; è lì che ho messo insieme il denaro utile per affrontare il viaggio e arrivare finalmente in Italia».

Non è andato tutto liscio, dieci mesi sono tanti. Non vorrebbe parlarne. Compie uno sforzo, quasi a voler rimuovere dalla memoria un’aggressione, la più violenta. «In pieno deserto sono stato vittima di un agguato, accerchiato da una banda di uomini senza scrupoli; prima strattonato, poi picchiato ripetutamente e alleggerito di quei pochi soldi che avevo portato via da casa. Poi, finalmente, Libia, lavoro e soldi per comprare il biglietto per la libertà».

IMG-20171005-WA0007In Italia da solo, con amici o familiari, Cristian spiega. Senza tanti giri di parole. «Solo – riprende – completamente solo, con tutti quei momenti di debolezza e nostalgia che ti assalgono quando non hai accanto qualcuno che condivida la tua stessa sofferenza: pensavo agli amici, anni spensierati, lunghe passeggiate, a quando scherzavamo sulle cose più insignificanti».

Nostalgia anche per i familiari rimasti in Nigeria. «Li sento spesso, non tutti i giorni: la prima telefonata al mio arrivo sulle coste italiane è stata per loro: “Tutto bene!”, ho esclamato, sono finalmente arrivato, il peggio è passato».

Altra nostalgia. Sorride Cristiano. «Mi manca la “girlfriend”». Parla in inglese, il giovane nigeriano, si aiuta a gesti nel confessare questa sua ultima, umana debolezza. La sensazione è che si stia alleggerendo di un peso trascinato per lungo tempo. «Vorrei coronare il mio sogno: sposarmi e vivere in Italia, se possibile».

Mettere su famiglia, avendo un «buon lavoro». Fra dieci, venti anni, ci chiediamo, e gli chiediamo, cosa insegnerebbe, racconterebbe ai suoi figli di questa sua “avventura”. «Una grande solitudine, l’incertezza del futuro, il trovarmi in costante contatto con il pericolo; ma non per mettergli paura, piuttosto per insegnargli ad amare anche le più piccole cose: ecco, vorrei che i miei figli un giorno sapessero tutto questo e che farò l’impossibile perché tutto questo un giorno non accada a loro».