Willie Peyote, uno degli artisti italiani più amati, scherza sul suo lavoro
«Lavoravo in un call center, esperienza utile, poi ho lasciato; mi ero dato un anno di tempo, ho stretto la cinghia, fatto sacrifici, poi un pizzico di fortuna che mi ha cambiato la vita», spiega l’artista torinese
«Willie, visto che te lo hanno chiesto anche gli altri, possibile fare un selfie, io e te?». E lui, il Peyote: «Volentieri, che problema c’è?». Basta questo flash, inteso come attimo, per comprendere appeal e disponibilità dell’artista torinese, tifoso del Toro, di fronte ad un pugno di giornalisti. Di solito il cronista attende sempre le mosse del collega: chiedere una foto è da provinciali, ma quando il meccanismo è stato oliato, ecco la compilation di scatti. «Fanne un altro, alle volte al primo tentativo fossi venuto con gli occhi chiusi, cosa piazzo sui social…». Wille Peyote, Guglielmo Bruno all’anagrafe, è di una disponibilità disarmante. Un antidivo, scriverebbe qualcuno per darsi un tono da giornalista che la sa lunga. In realtà, lui è proprio così. Prima di farci due chiacchiere a un’ora dal concerto con l’Orchestra della Magna Grecia a Taranto, ci siamo documentati. Se non altro per comprendere meglio il tratto artistico di un musicista che ha rilasciato interviste a Daniele Tinti e Stefano Rapone (“Tintoria”), oppure quelle concesse a Gianluca Brambilla (“Open”) ed Elena Barbati (“Cromosomi”).
«Stasera dedicherò “Che bella giornata” a questa città, Taranto, che ho conosciuto in occasione dell’Uno Maggio, il controfestival dalla parte di chi cerca lavoro e un futuro migliore, minato negli affetti più cari – a cominciare dai bambini – da una industria inquinante che qui ci ha messo le radici: speriamo che questa canzone sia di buon auspicio».
FINITE LE PROVE…
Finite le prove nel teatro Orfeo, è lo stesso Peyote a fare un cenno a quel gruppetto di anime con microfono e videocamere che staziona in platea in fondo. Primo piano, camerini a vista, ci fa strada Valerio Gabriele, uno dei più stretti collaboratori dell’artista. «Cantare con un’orchestra di un simile spessore – attacca – è una grande emozione; sarà un concerto molto impegnativo: mi sento messo alla prova, considerando il grande lavoro che c’è dietro questo evento; alla fine del concerto, mi auguro di aver superato la sfida: non nascondo la trepidazione che avverto nel misurarmi, fra un’ora, con i professori dell’Orchestra della Magna Grecia, così bravi: una cosa ho imparato durante le prove – e in questo è stato bravo il direttore d’orchestra, Enzo Campagnoli – che è vietato distrarsi. Cos’altro aggiungere: spero di essere all’altezza della situazione».
Willie è un rapper e cantautore italiano. Il nome d’arte unisce il personaggio, “Willy il Coyote”, con il peyote, un cactus dagli effetti allucinogeni proveniente dall’America del Nord. Peyote si è avvicinato al mondo della musica grazie al padre, seguendolo anche in tournée. Dopo aver sperimentato vari generi musicali, tra cui rock e punk, nel 2004 entra nel mondo dell’hip hop e fonda gli S.O.S. Clique. Nel 2021 partecipa al Festival di Sanremo con il brano “Mai dire mai”, con il quale vince il prestigioso “Premio della critica – Mia Martini”.
«“Rapper” è come dire bimbominkia, “cantautore”, invece, a orecchio è parente stretto di una certa sinistra, quella che si associava alla Festa dell’Unità, un tempo “festival”, altri tempi…».
E’ ANDATA BENE…
Peyote, soddisfatto di fare questo mestiere. Di più. «Rispetto ad altri lavori, ammetto che mi è andata di culo: faccio quello che ho sempre sognato di fare, quasi fosse stata un’investitura da parte di mio padre, musicista professionista che ho seguito da ragazzo; lavoravo in un call center ai tempi delle mie prime cose in studio: anche quelle telefonate fatte a migliaia di persone mi sono servite, ho conosciuto un mondo e un modo, quello degli italiani, disponibili ma talvolta diffidenti nei confronti di chi li chiama, come se qualcuno volesse rifilargli la fregatura. Per fortuna, ho smesso: chiamasi colpo di fortuna…».
Vasco ha scritto e cantato: “le canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole”. «Proprio così, qualche volta lavoro sulla base, in altre occasioni l’idea che mi balena nella testa, gira che rigira, fin quando non le prendo la misura giusta. Una cosa è certa, non scrivo di getto, se non si scatena una prima idea, non decollo: non mi ci vedo davanti a un foglio bianco a scrivere o fare ghirigori in attesa dell’illuminazione».
CANTAUTORE, RAPPER O…
Più cantautore o rapper: «Esistono dei punti di contatto fra i due generi, ma non credo di essere stato il primo e nemmeno l’ultimo ad aver reinterpretato il cantautorato in chiave hip hop»; tre artisti italiani, invece, cui sente di dover dire “grazie”: «Giorgio Gaber, Fred Buscaglione, Paolo Conte non fosse stato per loro stare ancora formulando numeri telefonici per suggerire tariffe telefoniche più vantaggiose o abbonamenti a questa o quella tv».
“Che bella giornata”, punto di partenza e, adesso, di chiusura. Il messaggio è quello di inseguire un desiderio: lasciare un’attività non del tutto soddisfacente, per fare qualcosa di meglio. «Quando ho deciso di lasciare il call center, nel quale ero formatore, avvertivo forte la sensazione che stavo andando nella direzione giusta: fare questo lavoro. Mi sono dato un anno di tempo per farcela: ce l’ho fatta. Ma, al tempo stesso, suggerisco ai ragazzi di non prendere decisioni alla leggera, lasciare un posto per inseguire un sogno è scelta azzardata: per questo mi sento fortunato; ho fatto un po’ di sacrifici, ho stretto la cinghia, poi ho cominciato a vedere uno spiraglio: un po’ l’incoscienza, un po’ la fortuna, ed eccomi qua…».