Brasile, un rogo provoca dieci morti nel Centro sportivo del Flamengo
Cercavano di smarcarsi dalla povertà. Felici di essere stati selezionati. Avevano in mente la storia di Ronaldinho, stella brasiliana per cui aveva tifato anche l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro.
«Un dolore immenso!». Un sogno infranto. L’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, non trova le parole. Il dolore, “immenso”, quello sì. Non potrebbe essere altrimenti. Una decina di ragazzi delle giovanili del Flamengo, la squadra più popolare del Brasile, ha perso la vita in un incendio sviluppatosi nel Centro sportivo nel quale ragazzi in età fra i quattordici e i diciassette anni, dormivano. Fa male per qualsiasi essere umano, qualsiasi creatura di Dio, figurarsi provare quel dolore immenso per dei ragazzi che accarezzavano un sogno, diventare bravi e famosi come Ronaldinho, fuoriclasse per il quale l’arcivescovo di Taranto aveva tifato ai tempi del Brasile. Quei dieci ragazzi non volevano fare altro che smarcarsi dalla povertà e fare dello sport nazionale un lavoro.
Dolore e vicenda, dunque, riconducono sua eccellenza indietro negli anni, nella sua Rio de Janeiro, vescovo di Petròpolis a partire dal 1996, quando aveva costante contatto con la gente povera, quella delle favelas. Calcio brasiliano in lutto. Un incendio in un Centro sportivo del Flamengo, dove si era allenato anche il milanista Lucas Paquetà, ha causato una strage di giovani calciatori. Tutti giovani giocatori del vivaio, riporta La Gazzetta dello Sport. Ci sono anche tre feriti, uno è molto grave. Il destino si è accanito ancora una volta sulla povertà, su un sogno. I ragazzi selezionati dal Flamengo, felici di comunicarlo a papà e mamma. Felici di non pesare su un esangue bilancio familiare per qualche mese, forse per tutta la vita. Perché se fosse andata bene – ma è andata male – quel provino nelle giovanili del Flamengo avrebbe forse generato benessere, un contratto milionario in Europa. E, invece, niente di tutto questo. Un corto circuito, durante la notte, fra fuoco e fiamme spazza via un sogno.
Volevano smarcarsi da una vita fatta di fame e stenti. Lì dove esistono regole e regole. Chi le accetta, chi le combatte. Chi porta la parola di Dio, nonostante qualcuno prova ad imporre il proprio credo a pallottole, come i trafficanti di droga. Sua eccellenza ce lo ha ricordato, la missione in Brasile non è stata una passeggiata di salute. «Durante una Processione delle Palme, in una favela, davanti a un bar, “padroni del traffico” ostentavano le pistole nella cintura: non ci pensai un attimo, mi staccai dalla processione, entrai nell’esercizio commerciale e invocai il rispetto per il Rito, per la Chiesa; quello che sembrava essere il “boss”, invitò gli spacconi a fare sparire le armi».
Non solo in Brasile. «Anche a Taranto mi è capitato di perdere la pazienza: avevo la sensazione che non tutti prestassero attenzione alla città; andai perfino a Roma per farmi sentire: viviamo nel dramma e la politica deve assicurare lavoro e salute». A proposito di migranti, l’arcivescovo Filippo Santoro non perde occasione. Rinnova l’appello al rispetto della preghiera e delle religioni. «E’ alla base della civiltà. La nostra parte l’abbiamo sempre fatta, abbiamo già invitato i musulmani a recitare il Padre nostro, che nella loro dottrina fa riferimento ad Abramo. La libertà più grande è proprio questa: accogliere e consentire agli altri di pregare il proprio Dio».