Berenice, dominicana, l’Italia e un’attività e quindici dipendenti

Vince un premio come imprenditrice, rileva un negozio, riparte da zero. «Utili i consigli di mio marito, che mi ha detto di non abbattermi al primo contrattempo. Un’ordinanza, chiusura, ricorso e una prima vittoria. Poi il supermercato che riparte con successo e i miei ragazzi che si tengono stretto il posto di lavoro, come se avessero ormeggiato in un rifugio amico…»

«Bello il mio supermercato, il panificio: guardo il frutto del mio lavoro, gente che lavora con entusiasmo e penso da dove sono partita e la strada che ho compiuto, con l’aiuto di mio marito e quanti, oggi, collaborano alla crescita della mia piccola, operosa impresa», dice Berenice.. Giorni, settimane, mesi di incertezze, paure, fatiche. Fuggito da un Paese diventato inospitale, dalla fame, da una dittatura, da una guerra civile. Arrivi qui. E, una volta in Italia, invece di restare ai margini della società, ecco ribaltato il pensiero comune sui migranti. Una volta entrato nel tessuto sociale del nuovo Paese, ecco un primo successo. Non solo fai bene il tuo, ma lo migliori, crei perfino posti di lavoro. E’ la storia di Berenice, una ragazza arrivata in Italia una decina di anni fa, premiata con uno di quei riconoscimenti che pongono in vetrina quanti danno un contributo concreto alla crescita dell’Italia: il “MoneyGram Awards Italia”.

Berenice ha un grappolo di nomi. Per noi, in qualche modo quello italiano o italianizzato che sia, va più che bene. Nonostante il mito della regina, affascinante e con una chioma mitica, peschi nell’antico Egitto. Bene, Berenice, premesse più o meno leggere a parte, ci affascina per la sua storia. Una di quelle che tanto ci piacerebbe sbandierare a quanti dicono che gli stranieri, gli extracomunitari in particolare, alla ricerca di un lavoro, comunque una qualsiasi attività lecita rendersi utili a un Paese ospitale come il nostro, vengono in Italia solo per “sistemarsi”.

GRANDE IMPRESA…

Berenice, dominicana, tre anni fa ha vinto un premio, un riconoscimento riservato a quanti, non solo italiani, hanno saputo fare impresa. «Sono emozionata – aveva risposto nell’occasione – questo è un Paese che dà ospitalità ed è molto attento alle dinamiche del lavoro e, in questo caso, alle imprese». Non solo viene premiata, ma le assegnano il “riconoscimento dei riconoscimenti”. «Una soddisfazione doppia – racconta – per la quale mi sono anche scusata: non volevo essere così invadente, dare l’impressione a qualcuno che non solo avevo fatto il possibile per diventare imprenditrice, ma che avevo pure rastrellato un premio dietro l’altro, forse a discapito di colleghe che lo meritavano quanto me…».

Ecco, il premio, alla ragazza dominicana che ha creato una impresa e che dà lavoro a una quindicina di persone, non solo straniere, ma anche italiane e che, lasciatevi servire, le sono riconoscenti. Specie di questi tempi, quando la giovane donna di colore ha dovuto lottare contro un virus, il Covid, che ha messo in ginocchio un intero sistema economico. Il peggio sembra essere passato. Con le sue dichiarazioni proviamo a ripercorrere le tappe che l’hanno spinta in copertina.

«Arrivata in Italia nel 2012 – racconta – dalla Repubblica Dominicana, Paese nei Caraibi, avevo nel cuore una speranza: realizzare un piccolo sogno, un’attività tutta mia con la quale dare lavoro a un sacco di gente; non volevo creare una seconda fabbrica automobilistica, sia chiaro, ma sicuramente qualcosa che mi desse soddisfazione, possibilmente realizzando un progetto partendo dal niente, come lanciare un seme di una di quelle piantagioni che, poi, rappresentano uno dei sostegni del mio Paese, l’agricoltura».

L’importanza di avere un marito che in lei ripone massima fiducia. «Gli ho spiegato quali fossero le mie intenzioni – racconta – non c’è stato bisogno di raccontargli daccapo un progetto nel quale credevo fortemente: l’unica cosa che mi ha fatto capire, senza tanti giri di parole: se avevo fatto una scelta sarei dovuta andare avanti fino in fondo, a costo di incassare qualche delusione».

Comincia il suo lavoro, apre un’attività. «Con l’aiuto di mio marito ho rilevato un supermercato, insieme al quale c’era un panifico. La gente – ho subito pensato – troverà ogni risorsa alimentare, dal pane al latte, proseguendo con qualsiasi altra cosa per la casa; ero in pieno sogno, sulla carta le cose cominciavano ad andare bene, quando arriva la prima doccia gelata…».

ORDINANZA E “DOCCIA FREDDA”

Uno di quegli imprevisti dei quali le aveva fatto cenno suo marito. La “doccia gelata” è una carta bollata, un’ordinanza di chiusura. «Non per causa mia – puntualizza Berenice – alcuni lavori di cui necessitava il locale non erano stati completati dai titolari da cui avevo rilevato l’attività; non mi restava che seguire il consiglio di mio marito, mostrare i muscoli, non abbattermi al primo imprevisto, anche perché avevo ragione da vendere: faccio ricorso, la giustizia arriva in modo sollecito, in ballo un’attività e posti di lavoro. Viene impugnata l’ordinanza, mi assumo l’impegno di occuparmi dei lavori di cui supermercato e panifico avevano bisogno, e finalmente riapro».

Grande soddisfazione. «Una prima grande vittoria – spiega Berenice – intanto la legge italiana che ha riconosciuto la perfetta estraneità per quanto riguarda i lavori non completati, poi l’aver restituito serenità ai primi dipendenti che col passare del tempo sono diventati una quindicina; oggi guardo con soddisfazione il mio piccolo capolavoro, un’impresa nella quale ho fermamente creduto con l’aiuto di mio marito e con uno staff di collaboratori straordinari».

Sono riconoscenti, i ragazzi. «Molto – conclude – mi hanno emozionata con il loro affetto: mi hanno detto, inoltre, che oggi un posto di lavoro è bene tenerselo stretto e perché questo diventi il sostegno per una famiglia e, dunque un porto sicuro, bisogna metterci non solo il massimo dell’impegno, ma anche più…».