Seydou, dalla fuga dal Senegal al “Mirto”, società di Prima categoria
«Non vivevo bene nel mio Paese, non mi restava che inseguire un sogno», racconta il trentenne. «Arrivato in Italia, i primi sorrisi, l’accoglienza e l’occasione di giocare con una squadra vera». Scoperto da Domenico, suo futuro allenatore, il trentenne senegalese diventa uno dei protagonisti dei play-off di una squadra di Prima categoria calabrese. Come se non bastasse, di cognome fa Diouf, come il suo idolo.
Figli di un Diouf minore, per dirla prendendo a prestito il titolo di un film diretto da Randa Haines e interpretato da William Hurt e Marlee Matin. Quel cognome di origine senegalese, come i due attori del pallone, il primo professionista, il secondo dilettante, ma di identica statura umana, è il primo aggancio per raccontare la storia di uno dei ragazzi partiti da quella regione africana, fra Guinea e Mali. Il nostro si chiama Seydou, è un ragazzo di trent’anni che sogna un’altra vita rispetto a quella che vive nel suo Paese, il Senegal appunto; l’altro, El Hadji, il miglior calciatore della storia che la nazionale giallo-verde-rossa abbia mai avuto e indicato come uno dei campioni africani di tutti i tempi.
Ammirati dalla grandezza dirompente di El Hadji, siamo più affascinati dalla storia di Sydou che attorno a sé richiama attori e interpreti, piccoli e grandi, che insieme hanno sceneggiato una storia come tante, ma stavolta a lieto fine.
«Volevo un futuro migliore», spiega con un sorriso contagioso Sydou, «credo che sognare sia consentito a tutti, poi è l’unica cosa dalle mie parti che non costa niente». Ha ragione quel ragazzone dal fisico asciutto che si farà notare per attitudini e lealtà sporti. «Non me la passavo bene in Senegal – riprende – come molti ragazzi della mia generazione che vedono trascorrere settimane, mesi inutilmente, senza poter dare sostanza ad un’aspirazione, che poi non è giocare al calcio, ma avere un lavoro decoroso e vivere umanamente: da qui la decisione di compiere un lungo viaggio come molti dei miei connazionali, fratelli africani per un posto migliore: l’Italia, un Paese bello e ospitale, magari è quello giusto nel quale porre le basi per scrivere una vita migliore, lavorare, mettere su famiglia; “Vediamo”, mi dissi, gambe in spalla e un viaggio interminabile, soste che duravano giorni, mesi, poi la ripresa del viaggio, perché una volta presa la decisione di partire certamente non mi sarei fermato nella stessa Africa…».
«COME IL MIO IDOLO!»
Sydou, come El Hadji, il suo campione preferito, è uno che non si spaventa davanti a un lavoro di fatica, dove c’è da rimboccarsi le maniche e sollevare pesi che fanno paura. Insomma, è uno che ci sa fare con le mani, ma anche con i piedi. I compagni con cui condivide le prime, saltuarie, esperienze lavorative non sfugge la sua solarità, una simpatia innata e contagiosa. Ma ad un tecnico di provincia, acuto come può esserlo uno che viene dalla gavetta e vive ai margini di quello che dicono sia “il calcio che conta”, non sfugge il carattere e soprattutto quello che, questa pertica che sfiora il metro e ottanta, sa fare con i piedi. Domenico Prantera, è lui il tecnico, che guida la Polisportiva Mirto Crosia, società dilettantistica, ad accorgersi del talento di quel ragazzo. Qui, in provincia, il Cielo la benedica, gli allenatori fanno anche gli osservatori, fanno tutto, si inventano talent-scout, dirigenti e quanto c’è da fare quando la società è piccola e devi inventarti mille attività per assecondare la grande passione per lo sport più popolare al mondo.
Partita di calcio a cinque. Prantera viene richiamato dal rettangolo di gioco, più piccolo evidentemente di quello sul quale si misurano ogni settimana i suoi ragazzi che militano con successo nei campionati dilettantistici. In quel campetto di periferia ci sono ragazzi che indossano magliette e tute di mille colori, lo stesso dicasi per gli scarpini.
«L’ATTACCANTE CHE CERCHIAMO!»
«Uno di questi ragazzi, Sydou – spiega Prantera – richiama più di altri la mia attenzione; ha un bel possesso palla, un dribbling non indifferente, considerando spazi non infiniti rispetto alla praterie di un vero campo di calcio: “Alle volte fosse l’attaccante che stiamo cercando?”».
Detto, fatto. «Sono stato avvicinato dal tecnico al quale in quel momento non pensavo potesse diventare il mio allenatore, invece…». Sydou, è felice di ripercorrere quei momenti. «Mi sono sentito importante – ricorda – come mi è accaduto poche volte, al primo denaro intascato dal mio primo lavoro o dal primo sorriso e la prima mano tesa una volta arrivato in Italia: stavolta, una persona, dal grande peso umano, si era accorta di me senza che fossi stato io a candidarmi, un’emozione indescrivibile».
Il resto sarà anche storia da calcio di provincia, ma la vicenda prende la strada della ribalta nazionale grazie all’emozione che una cittadina, un tecnico e un ragazzo d’oro riescono a scambiarsi reciprocamente. Diouf disputa un campionato eccezionale, con la sua tecnica, i suoi assist e compagni altrettanto bravi, contribuisce alla crescita della squadra fino a raggiungere notevolmente i playoff, bel traguardo per la formazione biancoceleste. Sydou vuole giocare ancora, ricambiare l’affetto con cui è stato accolto. Gli piace giocare al calcio, sognare qualche volta di essere il suo idolo, El Hadji, che di cognome fa Diouf, proprio come lui.