Cori contro i neri, Luigi Garlando si rivolge ai piccoli

«In curva scatenate la ricreazione: saltate, urlate… “Vai!”, “Alé!”. Usate le vocali aperte, le più lontane dalle “u” chiuse come culi di gallina. Non conta il colore della pelle, voi abituati a studiare in classi piene di amici arrivati da lontano, manco ci fate caso»

«Non giocate a fare gli adulti, ripulite lo stadio». Luigi Garlando, scrittore e firma autorevole della Gazzetta dello sport, dalle colonne della Rosea lancia un invito ai piccoli tifosi se questi nella prossima gara interna di campionato (Inter-Sassuolo) potranno occupare quella curva del tifo nerazzurro al momento squalificata. Noti i fatti, durante Inter-Napoli, dal primo minuto ogni volta che Koulibaly, in assoluto il migliore fra i ventidue in campo, tocca il pallone dalla curva interista si alzano cori razzisti. Cento, duecento imbecilli, dicono le cronache, urlano “Buuu!”. Il resto del pubblico sorvola. Male, molto male. Ignorare non fa bene al calcio, né ai piccoli che imparano dai grandi a distinguere cosa è giusto e cosa non è giusto. Gramsci, come ci ha ricordato in un libro Massimo Leonardelli, odiava gli indifferenti.

Sarebbe stato sufficiente, dunque, sommergere quella manciata di cori incivili con settantamila applausi rivolti al calciatore senegalese e non disinteressarsi. O, peggio, alla prima occasione dire che «Più – certe cose – si ignorano, meglio è!». Non è così, la panchina del Napoli, in testa il tecnico, gli stessi calciatori azzurri in campo, richiamano l’arbitro perché sospenda temporaneamente la gara. Insomma, dare un segnale forte: «Signori, o fate i bravi, oppure andiamo tutti a casa a ripassare la storia».

Koulibaly ha perso la testa, ha cominciato a giocare male, ha commesso fallo, preso un’ammonizione, poi applaudito l’arbitro. In segno di scherno, interpretiamo, come a dire «Complimenti, arbitro, con me applica il regolamento e non si è ancora accorto che da un’ora c’è chi mi dà del “Buuu!”?”. Espulso, il direttore di gara non sente i cori, ma un applauso smorzato da guantoni di lana, perché a Milano, quella sera fa freddo, sì.

Dalla sera stessa, ognuno dice la sua, all’indomani il dibattito prosegue. C’è la proposta dell’Inter che spiega la sua storia. “Internazionale” sta per squadra che rappresenta una stretta di mano fra i popoli. Non è un caso che durante il ventennio fascista promotore di leggi razziali, imponga alla società milanese di chiamarsi “Ambrosiana”. La società, oggi di proprietà cinese, sposa la nobile causa, condivide lo scopo con cui più di cento anni fa fu fondata l’Internazionale (dopo la caduta del fascismo, si riappropria della sua “ragione sociale” per esteso), emette un comunicato. Non fa ricorso alla chiusura della Curva. Ritiene che quei duecento abbiano scambiato lo stadio per un’arena. Dunque, punizione giusta. Propone, piuttosto, di aprire quella curva ai tifosi più piccoli perché insegnino ai più grandi come si sta al mondo.

Torniamo a Garlando. Autore fra gli altri di “Buuuuu” (con Mario Balotelli), “Per questo mi chiamo Giovanni” (dedicato alla memoria del giudice Falcone), “’O maé, storia di judo e di camorra” (dedicato ai ragazzi di Scampia che si ribellano alla malavita), “L’estate che conobbi il Che”, ha indirizzato un messaggio ai giovanissimi tifosi nerazzurri, ma in buona sostanza a tutti quei ragazzini che prendono a calci un pallone sognando che curve e tribune un giorno possano applaudire le loro epiche sportive. Perché di sport, massimo della lealtà, si tratta. «Lo stadio è tutto vostro – scrive il giornalista sulla Gazzetta dello sport  – sapete cosa fare per ripulirlo, passateci sopra l’allegria come fosse uno straccio. Un solo avviso: non giocate a fare gli adulti, mi raccomando. Loro urlano le parolacce quando il portiere rinvia? Voi evitate. Loro augurano il camposanto quando qualcuno rotola a terra infortunato? Voi fategli un bell’applauso di pronta guarigione».

Ma non finisce qui, Garlando. «Il gioco – prosegue – non è camminare nelle scarpe grandi di papà o truccarsi come la mamma davanti allo specchio: il gioco è fare i bambini nello stadio dei grandi, 90 minuti di scatenata ricreazione: saltate, urlate… “Vai!”, “Alé!”. Usate soprattutto le vocali aperte, le più allegre, le più lontane dalle “u” strillate da bocche selvagge, chiuse come culi di gallina. I grandi si vergognano della “ola”. Voi provateci. Non è facile farla partire, è come sollevare un aquilone. Provateci lo stesso, magari nel vostro settore c’è il vento della buona volontà e l’allegria fa tutto il giro dell’anello». «Su le mani! Poi godetevi la partita – conclude Luigi Garlando – le giocate; emozionatevi per i gol; legate ai piedi dei campioni i vostri sogni. Undici avranno una maglia diversa dagli altri. Non è così importante. E conta ancora meno il colore della pelle e infatti voi, abituati a studiare in classi piene di amici arrivati da lontano, manco ci farete caso. Insegnate come si sta al mondo ai grandi che guarderanno la partita per televisione, perché in castigo dietro a uno schermo, come dietro a una lavagna. Vedremo se avranno imparato qualcosa quando torneranno nello stadio che avrete ripulito. Voi siete i tifosi grandi di domani e domani non dovrete mai più chiudere uno stadio per razzismo».