Toby, ventuno anni, non vedente, espulso da una palestra

Fissava il vuoto. Non secondo una donna che si sentiva “osservata”. Ingiurie pesanti all’indirizzo del ragazzo, espulso dalla struttura sportiva. Senza poter spiegare che, invece, era cieco

 

«E’ tanto che mi fissi, vuoi smetterla e pensare a fare i tuoi esercizi? Se non la smetti lo dico al titolare della palestra e ti faccio cacciare in men che non si dica!».

E’ diventata virale, si dice così oggi, la storia di Toby, ventunenne studente inglese non vedente. E’ una di quelle storie delle quali appena leggi le prime righe cominci ad incupirti al punto tale da volere andare subito a leggere la conclusione sperando che sia un lieto fine. La storia di Toby, purtroppo, è di quelle che confermano quanto, di fronte alla disabilità spesso ci imbattiamo in barriere più mentali e culturali, che fisiche.

Toby è un ragazzo cieco che ha voluto condividere la sua storia su suo account Tik tok. La vicenda è presto spiegata: è quella di un giovane disabile e incompreso che racconta di essere stato cacciato da una palestra per aver “fissato” – così ha insistito la sua accusatrice – una donna, come se potesse vedere quello che accade davanti ai suoi occhi. “La fissava in modo inquietante”, sarebbe stato, a seguire, uno dei tanti commenti che hanno convinto la direzione a buttarlo fuori.

 

 

«COS’HAI DA GUARDARE?»

«Ti piace la vista, eh?», avrebbe ironizzato, minacciosa, la donna. Toby ha subito chiarito, semmai ce ne fosse stato bisogno: «Non avevo idea di dove puntasse il mio sguardo per tutto il tempo degli allenamenti. Guardavo solo davanti a me e sfortunatamente c’era una donna che faceva degli esercizi».

La ragazza oggetto delle immaginarie molestie non ha voluto saperne. «Perché continui a fissarmi? Basta, sei inquietante», ha ribadito non credendo alle spiegazioni di Toby. Il management della struttura ginnica ha deciso di allontanarlo a seguito delle rimostranze della donna.

Toby studia psicologia e consulenza. I suoi 225.000 follower su TikTok hanno espresso vicinanza e indignazione per l’accaduto. Loro sanno benissimo che l’aspirante psicologo ha cominciato a perdere la vista dall’età di 11 anni. Hanno seguito la vita di un normale ragazzo alle prese con i limiti, soprattutto esterni, che rendono complicata la vita di un disabile.

Oggi gli resta appena un 4%, quel poco che basta per non “vedere” certe miserie della società in cui viviamo. Come si suol dire: occhio non vede, cuore non duole.

Non ci piace tornare sull’argomento. E’ un po’ come sparare sulla croce rossa, perché la ragazza che ha offeso Toby, tardi sì, ma si è accorta della figuraccia che ha fatto. Compreso il titolare della palestra. Ma Corte d’Appello aveva ribadito il principio già sancito dal Tribunale: chi denigra una persona per la sua disabilità denigra tutti i disabili e le associazioni che li rappresentano. Ed è per questo che sono stati condannati, per esempio, quanti tramite Facebook avevano denigrato e pesantemente insultato una ragazza, avvocato e donna con acondroplasia, malformazione congenita rara, che causa la forma più diffusa di nanismo.

 

 

DUE CONDANNE

I due condannati avevano pubblicato frasi ed espressioni diffamatorie e discriminatorie, proprio perché riferite all’acondroplasia della donna. «Una sentenza che fa cultura e che traccia un inciso verso una maggiore tutela dei diritti delle persone con disabilità – aveva commentato nell’occasione l’avvocato Laura Abet del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi – lo stesso giudice ha emesso una sentenza importante a favore di tutte le persone con disabilità che sono vittime di offese e molestie che, al pari di una discriminazione, sono sanzionabili».

Per i giudici di primo grado e per quelli della Corte d’Appello dunque, sempre in riferimento a quanto riportato dalla Corte d’appello, la dimensione pubblica delle offese rivolte alla persona con disabilità rappresenta non solo un danno alla persona direttamente coinvolta, ma anche un danno oggettivo a tutte le persone con disabilità.

Inoltre, tali offese costituiscono un grave e concreto danno alle azioni associative di promozione e tutela, perché contribuiscono a rafforzare lo stigma negativo verso le persone con disabilità, il cui valore come persone viene negato alla radice da espressioni così gravemente ingiuriose.