Angelo Branduardi, settantuno anni, artista senza tempo
Concerti all’Alfieri e al Fusco, gli album promossi in radio e tv. Da Milano a Roma, il ritorno a casa. E i successi. «Se ne saltassi anche uno solo nei miei spettacoli, il pubblico chiederebbe il rimborso del biglietto». Statura intellettuale e rispetto, dalla “Fiera dell’Est in poi”. «E pensare che era solo un lato B…».
Trenta album pubblicati, dai successi di “Alla fiera dell’Est” a “La pulce d’acqua”, da “Cogli la prima mela” a “Si può fare”, per citare alcuni dei suoi maggiori successi commerciali. Ma Angelo Branduardi, artista superlativo, non ha mai smesso di pubblicare album e, soprattutto, mai chiuso con i concerti che sono stati sempre la sua essenza di artista legato al rapporto diretto con il pubblico. Anche se, come tutti gli artisti in questi ultimi dodici mesi è stato costretto allo stop forzato a causa della pandemia. E ad interrompere un tour, “Il cammino dell’anima”, che stava registrando spettatori e indici di gradimento. «Forse non tutti sanno che “Alla fiera dell’Est” era solo il lato B del 45 giri “Il dono del cervo”, altra bella canzone: vendeva poco, fino a quando non andai in tv e invece di fare la canzone scelta dai discografici eseguii la filastrocca-tormentone con “il toro che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò…”, considerata dai tecnici del mercato troppo lunga perché le radio potessero promuoverla”; feci di testa mia, andò bene e fu l’apoteosi…».
Fra le sue pubblicazioni, dunque, dal ’74 allo scorso anno trenta sono stati gli episodi discografici che hanno visto protagonista il “menestrello” nato a Cuggiono, sulle sponde del Ticino, trenta chilometri da Milano. Album straordinari, un percorso che comincia con un album dal titolo “Angelo Branduardi”, fino a “Il cammino dell’anima”. Fra questi, otto lavori dedicati allo studio e alla proiezione di suoni di un tempo in sonorità moderne (“Futuro antico”), “Così è se mi pare”, raccolte in studio e “live”, da “Altro e altrove” a “Senza spina”.
ARTISTA SENZA TEMPO…
Branduardi, è cantautore e uomo d’altri tempi. Quando può, ma senza problemi, dice la sua sulle produzioni, i concerti, gli agenti e i tecnici che scandiscono i tempi e le mode, dai social alla tv, che nonostante tutto, regge non senza qualche cedimento strutturale (vedi l’ultimo Festival di Sanremo). «Non ci sono più i discografici di un tempo – dice – ma trasmissioni televisive che illudono e massacrano». Gentile all’inverosimile. Tiene un sigaro, spento, fra l’indice e medio della mano destra, ma si scusa lo stesso, non senza puntualizzare. «E’ spento, ma se dà fastidio anche la sola idea del fumo, lo metto via subito».
Violinista per necessità, spiega. «Il pianoforte, che poi ho studiato, costava tanto, così d’accordo con papà ripiegammo su archetto e violino: il profumo del legno mi fece innamorare subito di questo strumento». La sua capigliatura, sempre folta, è tinteggiata di grigio. A questa si aggiungono le sollecitazioni della cute, un cervello costantemente impegnato che evidentemente sta imbiancando gli ultimi capelli neri.
«Continuo a lavorare, mi dicono dei dischi, della tv e io spiego: la vita continua, sono un cantiere aperto, un work in progress; chi fino a un anno fa veniva a vedere, ad ascoltare i miei concerti questo lo avvertiva, ricanto le mie canzoni che il pubblico si aspetta, ma continuo a sperimentare». E pazienza, “messere”. «Pazienza – sorride – se alcune cose non finiranno nei dischi, l’importante è che finiscano nelle corde emozionali della gente: conservo tutto, perché non si sa mai, di questo lavoro non si butta via niente, avete presente quello che si dice del maiale, poverino…? Per il resto, nei miei concerti devo tassativamente eseguire tutte le canzoni che mi hanno portato fortuna e che il pubblico ama riascoltare: se non le riproponessi, la gente mi aspetterebbe fuori dal teatro per chiedermi indietro i soldi del biglietto; invece il pubblico, dopo i miei concerti, esce felice dal teatro: la musica è terapeutica, serve a questo».
…E CONCERTI INDIMENTICABILI
Ricorda i concerti all’Alfieri, chiuso; al teatro Fusco, chiuso e, finalmente, riaperto e restituito alla città. Prima al pubblico e, oggi, allo streaming, fino a quando la pandemia non avrà cessato nel cambiarci la vita. «Ma li hanno chiusi dopo i miei concerti?», quasi si preoccupa. Lo rassicuriamo sul “Fusco”, nel frattempo restituito come fosse un salotto. «Il prossimo anno in Italia altre sale chiuderanno, con queste anche alcune che ospitavano concerti. E’ l’Italia piegata su se stessa: figuriamoci se stanno a pensare a Branduardi, ai suoi dischi…». E i suoi “live”.
Confessa un suo desiderio di autore. «Volevo scrivere una canzone per Mietta: sempre bellissima, ma non se n’è fatto niente; incarna bellezza e passione tipiche delle donne del Sud. Magari un giorno ci sarà occasione, in questi anni sta seguendo un percorso artistico che rispetto. E’ bravissima. Anche lei fa poca tv, accipicchia: ti ospitano solo se hai da raccontare qualcosa che fa piangere, diversamente non sei in target».
Parliamo, allora, dei talent-show. «E’ una fabbrica di grandi illusi – insiste – fai un disco, cinquanta serate, poi ti parcheggiano e avanti un altro; aveva ragione il mio amico Ennio Morricone quando diceva che la tv non crea aspirazione, ma traspirazione…».
Si siede ancora sulla scalinata di Trinità dei monti alle sette del mattino? «Prima avevo casa lì, scendevo, compravo i giornali e leggevo, chiacchieravo con la gente, era un momento di sano relax. Poi mi sono trasferito a Campo de’ Fiori, preso casa e un bel pezzo di terreno: aria pulita, lontano dal caos e senza pressioni. Credo che i romani si siano accorti troppo tardi che la città gli stava sfuggendo di mano».
Oggi, Messer Branduardi, vive a Bedero Valcuvia, nel bel mezzo delle vallate prealpine, un soffio da Varese.