Massimo Ranieri, “intercettato”, felice di spiegare i legami con la città
«Qui, mio padre, ha fatto il servizio di leva. Conosceva strade, piazze, i sentimenti della gente. Un giorno Fellini mi fece una confidenza. Quando monto uno spettacolo penso a Trapani e Falqui, non scadevano mai nel volgare. Il pubblico avverte quando fai una cosa in cui credi…». Una sorpresa, una collega, una breve conversazione telefonica, uno scoop. E l’artista di “Erba di casa mia” e “Perdere l’amore”, non si scompone, accetta il “botta e risposta”.
«Portavo in giro il “Pulcinella” di Maurizio Scaparro. Federico Fellini era in platea, fra il pubblico, una cosa che mi confuse dall’emozione: finito lo spettacolo il Maestro mi si avvicinò e mi disse “bello il teatro, peccato che poi si apra il sipario…”». Massimo Ranieri, una intervista al volo, mentre si accinge ad entrare in un teatro per uno dei tanti spettacoli in allestimento. Questo breve “botta e risposta” telefonico, cominciato in un taxi che accompagna l’artista dall’albergo al teatro, ha un nome e un cognome: Paola Pezzolla, discografico prima, addetto stampa di artisti di grande spessore poi. «Gli amici a questo servono…», avrebbero sottolineato Garinei e Giovannini riprendendo una battuta di uno dei loro spettacoli di successo (Aggiungi un posto a tavola).
Dire Ranieri è un po’ come sfogliare un interminabile album di canzoni sempreverdi, “Erba di casa mia”, “Vent’anni”, “Rose rosse”, “Perdere l’amore”, “Ti parlerò d’amore”. Poi, Ranieri e il teatro, da “Barnum” a “Rinaldo in campo”, lo stesso “Pulcinella”, e cinema, da “Metello” a “Salvo D’Acquisto”. Le regie televisive e quelle teatrali. Una storia interminabile. Dunque, grazie a Paola, collega ai tempi delle radio. Una che non dimentica facilmente, tanto che se la senti quasi per errore, e sottolineiamo “quasi”, e ci dà modo di scambiare “due battute due” con uno degli ultimi grandi del nostro spettacolo, il minimo è ringraziarla per averti dato modo di realizzare uno “scoop”.
IMMENSO FELLINI!
L’aneddoto su Fellini, si diceva. Ranieri lo completa. «Con quella battuta, “Peccato che poi si apra il sipario…”, il più grande regista italiano di tutti i tempi aveva sottolineato la fase più bella del nostro lavoro: le prove; ciò significa il sudore, quando un giorno dopo l’altro costruisci e monti uno spettacolo. E’ in quell’occasione che un attore compie il massimo sforzo, dà fondo a qualsiasi energia».
Poi l’impatto col pubblico, il momento in cui registri le sue reazioni. «In tutti questi anni ho maturato una convinzione: trascini dalla tua parte gli spettatori nell’unico modo di cui disponi, cioè trasmettendo la sensazione che credi in assoluto a quello che stai facendo e il modo in cui lo fai; diversamente, puoi anche inventarti di tutto, non funzionerà mai».
Com’é cambiato lo spettacolo, a cominciare dalla tv. «Tanto, cominciamo dalla tv, peggiorata per certi versi. Oggi, quello che una volta era il piccolo schermo, dà l’idea di essere un elettrodomestico, proprio come un frigorifero: apri e, a tuo piacimento, prendi quello che ti va. Ce n’è per tutti i gusti, ognuno ha la trasmissione su misura, proprio come fosse un prodotto alimentare».
CHIAMATEMI “NOSTALGICO”…
Una volta non era così. «Scusate se faccio il nostalgico, ma non ci sono più i registi di una volta, Antonello Falqui ed Enzo Trapani, per esempio. Facevano televisione pensando al teatro. Costruivano, per intenderci, una cornice nella quale metterci uno show: la tv, dunque, era una sfilata di buon gusto, dagli autori agli interpreti, non scadevano mai nel volgare. Scusate la presunzione, mi sento di essere stato un allievo di quella scuola, di quel modo di fare spettacolo. E non lo nascondo, quando penso a un programma televisivo o a un tour penso a cosa avrebbero fatto loro, Falqui e Trapani, se fossero stati al mio posto. E, allora, curo tutto nei minimi particolari: scenografia, coreografie, luci, canzoni. Ogni volta che parto nell’allestimento di uno spettacolo è un po’ come tornare fra i banchi di scuola a svolgere un componimento. E quando il pubblico ti assegna un bel voto, torno a casa soddisfatto, perché ho fatto bene il mio lavoro».
Facciamo i provinciali, gli chiediamo del rapporto con Taranto. «Non immaginate quante passioni mi leghino a questa terra: fra queste, il ricordo di mio padre che oggi non c’è più: a Taranto sarebbe tornato volentieri per una “carrambàta”, lui che in questa splendida città aveva fatto il servizio di leva, tanto da conoscerne a memoria le bellezze e luoghi di una città eterna per la sua grande storia. Quando passo da Taranto, confesso, il mio cuore pompa grande passione».