Piero Pepe, attore tarantino, scomparso a settantacinque anni

«Infanzia, adolescenza, gli angoli della “mia” città», ricordava ogni volta che veniva al teatro Orfeo con Aldo e Carlo Giuffré, con cui ha recitato per quarant’anni. Un pranzo, con lui e un ospite, inatteso e graditissimo. Da “Napoli milionaria” a “La fortuna con l’effe maiuscola” in teatro, in tv e al cinema, con Massimo Ranieri e Nanni Loy. «Un giorno mi piacerebbe portare una mia produzione nella città in cui sono nato e che sento ancora mia…», aveva confessato.

 

«Mi so’ fatto chiattulille, dimmi la verità?». «Ma quando mai, Piero, sei in forma, si’ ‘na bellezza, anzi…Settebellezze», la mia risposta. In “Napoli milionaria” di Eduardo, diretto da Giuseppe Patroni Griffi, era stato “Settebellezze”, l’affascinante seduttore di donna Amalia, moglie di Gennaro, il protagonista della commedia che al suo ritorno troverà una famiglia completamente cambiata. Piero, altri non era, che Piero Pepe, tarantino di origini, napoletano di adozione. Era, perché il suo cuore generoso ha smesso di palpitare. E quella intervista più volte rimandata, oggi diventa un album di ricordi.

Ricorsi storici, Massimo Ranieri, nei panni che erano stati di Eduardo, aveva voluto Piero Pepe accanto a sé, proprio in quella stessa commedia, stavolta nel ruolo del brigadiere. Napoli Anni Quaranta, il sottufficiale dei carabinieri veglia sotto i bombardamenti il povero Gennaro che si finge morto, disteso sul letto e circondato da candele e fiori. «Com’è Massimo?», gli avevo chiesto. «Massimo? Eeeeh, com’è…Tuosto!». Sarebbe a dire che «Fino a quando una cosa non viene come dice isso, ti fa stare là fino a notte…». “Napoli milionaria” fu un grande successo televisivo, lo stesso Ranieri (http://www.costruiamoinsieme.eu/taranto-quante-emozioni/) aveva speso un giudizio che poi giudizio non era, sullo stesso Piero. Breve, ma inequivocabile. «Pepe? Se è bravo? E che te lo dico a fare…», aveva detto di lui il cantante, regista e attore napoletano. Circolava uno scatto della scena più famosa della commedia programmata in Rai. Quei pochi minuti erano un monologo dell’attore di origine tarantina. «Un’altra cosa che avrei voluto portare a Taranto? Le macchiette: ho uno spettacolo in cui recito, canto, indosso la paglietta, coi pizzi, alla maniera del grande Nino Taranto…». Ci teneva, era più forte di lui. Poi quando ci fu l’occasione, ecco che si smarcò, a malincuore. «Mi dispiace, stavolta proprio non posso, ho preso un impegno con la Scuola di recitazione nel teatro dei Padri Dehoniani a Sant’Antonio Abate. Vediamo più avanti, se il Cielo vorrà…».

 

 IL CIELO CAPOVOLTO

Ma il Cielo si è messo di traverso. Pepe,  grande attore della tradizione napoletana, si è spento il giorno del suo compleanno, a settantacinque anni. Non molti sapevano che Piero in realtà era nato a Taranto. E solo alla maggiore età, motivi di studio, si era trasferito a Napoli, per poi eleggere a quartier generale quella che, a ragione, aveva successivamente considerato casa sua: Castellammare di Stabia. «Tornare a Taranto  – confessava, anche con un po’ di rammarico – è come farsi un giro sulla giostra dei ricordi: le strade, gli angoli, le vie, la scuola…». “Scuola”, con quello schiocco che solo i napoletani sanno dare a una “esse” impura. «Qui avrei voluto fare uno stage, insegnare ai giovani attori, perché da queste parti di bravi ce ne sono; avrei anche voluto portare spettacoli che in questi anni ho prodotto personalmente…».

“Natale in casa Cupiello”, altra commedia di Eduardo. Portata in scena al teatro Orfeo di Taranto. Protagonista Carlo Giuffré con cui aveva lavorato quarant’anni. Lo invitai a pranzo, a casa mia. Voleva cortesemente rinunciare. «Carlo vuole partire subito, in albergo hanno cominciato le pulizie alle sette del mattino e il rumore dell’aspirapolvere nel corridoio lo ha messo di cattivo umore: non voglio farlo partire da solo…». «Porta anche il maestro, dopo pranzo ripartite…». A tavola, padrona di casa inappuntabile, un trionfo di frutti di mare e pesce. «A Sud l’ospitalità è proverbiale», spiegò Piero a Carlo. «Vedo, accidenti, nemmeno nel miglior ristorante napoletano…», il commento dell’ospite inatteso. Fra una forchettata e l’altra, piccola confessione tecnica. «Carlo, siamo partiti con “Natale” che durava un’ora e tre quarti, ieri sera all’Orfeo abbiamo fatto notte, due ore e mezza…». «Ci siamo spinti troppo oltre, vero? Ma alla gente piacciono certe battute, o no?», la considerazione del capocomico. Fra una forchettata e l’altra. «Un lunedì, a Milano, non lavoravamo», raccontarono, «siamo andati a trovare Christian De Sica, in scena con “Un americano a Parigi”: eravamo andati a trovarlo per complimentarci, ci fece restare in piedi e passò tutto il tempo a parlare con, come si chiama, Conticini…». «Diamine, dico io – Giuffré – perfino Gianrico Tedeschi aveva un camerino per conto suo, lo stesso la moglie: ognuno ospitava gli amici suoi, ecchecca’…». Non l’avevano presa bene, ma De Sica poteva essere stanco, distratto, qualsiasi cosa. «Io non me lo sono fatto passare nemmeno per la testa, chi se ne importa, è Carlo che ci resta male, non sembra, ma ci tiene all’etichetta…», aveva minimizzato Piero.

 

 “CANDID”, VIVO PER MIRACOLO

Fra un brindisi, con un bel Primitivo e un caffè, Giuffré fece una confidenza. «Monicelli mi voleva per “Amici miei”: volevo il nome in locandina grande quanto quello di Tognazzi, Noiret e Moschin…». Non se ne fece niente, accettò invece Duilio Del Prete. «Bravissimo, grande attore!», concordi Pepe e Giuffré. “La fortuna con l’effe maiuscola” di Curcio ed Eduardo, insieme con Aldo, anche questa all’Orfeo. Ancora un lavoro insieme, Piero era ‘o barone. Alto, bello, elegante, fiore all’occhiello. «Qualche volta abbiamo recitato in provincia…», confessava Piero. «E digli quante volte ti volevano “vàttere”, darti mazzate!», interveniva l’attore-regista. «Evidentemente a Carlo ‘sta cosa non piace, se il pubblico reagisce – diceva Eduardo – è buon segno, significa che sei entrato bene nella parte, forse troppo: non gli ho mai chiesto un aumento, ma la soddisfazione che per qualche minuto gli ho rubato la scena, dico io, me la vuoi dare?».

Un inatteso momento di popolarità Piero, senza saperlo, lo aveva avuto in tv. Candid camera, Italia 1. «Mi finsi l’innamorato di una bella donna che andava a chiedere la sua mano direttamente al marito, confessandogli che volevo formalizzare il rapporto con la sua benedizione: l’uomo sparì per qualche istante, per tornare con un fucile: mi rifugiai sotto un tavolo e urlai “Non spari, non spari: è su candid camera!”, ‘i muort… Uscirono regista e produttori, salvo per miracolo». Colpa del bell’aspetto, del fascino un po’ farabutto, così da riservargli ruoli di “malamente”.

Laurea in Giurisprudenza, Piero era stato subito travolto dalla passione per il teatro. “L’opera buffa del giovedì santo” con Roberto De Simone e poi, per ben settecento repliche, la citata “Fortuna con la effe maiuscola” con Carlo e Aldo. E “Napoli milionaria”, quattrocento repliche. Al cinema Pepe aveva lavorato in “Pacco, doppio pacco e contropaccotto” e “Scugnizzi”, in tv con “I Cesaroni”, “La Squadra”, “Un posto al sole” e “Capri”. Aveva lavorato anche con Eduardo, l’ultima regia del grande attore e regista napoletano. «Non c’è che dire – ripeteva spesso, Piero – Eduardo, i Giuffré, Ranieri, mi sono trattato veramente bene».