«Sono qui per voi…»

Yuri, russo, aiuta Nazar e Alina, due coetanei ucraini

«Che ne direste di venire a giocare a rugby?». Paolo Ricchebono, già campione nazionale di palla ovale, ha rivolto l’invito ai ragazzi. Passa a prenderli a casa, perché quei ragazzi vanno subito inseriti in una storia che possa riavvicinarli a una vita normale

Quando leggiamo notizie come queste, non possiamo che farci assalire da un sano orgoglio nazionale e lasciarci andare un «Che il Cielo assista sempre questo Paese!». Il Paese in questione, una volta tanto è il nostro, assalito da mille emergenze, da una politica spesso in contrasto con se stessa. Ma dal punto di vista umano, diciamocelo, un Paese secondo a nessuno. C’è una bella storia, una delle tante, riportate dall’agenzia Adnkronos ed è quella di tre ragazzini, due ucraini e un russo.

Nazar, otto anni, Alina sette, sono due cugini. Oksana, mamma di Nazar, lavora in Italia, dove è arrivata qualche tempo fa, ospite di una famiglia genovese a cui si affeziona subito. Quattro anni in Italia, il lavoro da contabile, soddisfacente, tanto da poter mandare una parte dei suoi soldi ai sui cari. Il suo sorriso viene smorzato da una notizia che non avrebbe mai voluto sentire. Arriva a metà febbraio, la sua Ucraina è stata invasa dall’esercito russo. A quel punto la donna non ci pensa su due volte, il suo pensiero è rivolto ai piccoli, alla loro salute. Chiama in Italia, la famiglia che l’aveva ospitata e le chiede aiuto. Non solo per lei e i suoi ragazzini, ma anche per altri. Vuole salvare da quel disastro che, giorno dopo giorno, non promette niente di buono, anche gli ospiti di un orfanotrofio. Vuole portarli in Italia con lei. La famiglia della quale era già stata ospite si attiva, trova una soluzione. Così Oksana torna in Italia, non più come collaboratrice, ma come mamma di Nazar e zia di Alina, come angelo dei ragazzini dell’orfanotrofio di Kiev. Con i due cuginetti, anche la nonna, la mamma di Oksana, che non voleva lasciare la sua città, ma che alla fine si è fatta convincere.

Foto Wikipedia

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QUELL’ESPRESSIONE UN PO’ COSI’…

A Genova comincia a circolare la storia, fino a quando non giunge a un certo Paolo, che non è poi un Paolo qualunque, senza offesa per chi porta questo nome. Paolo è Paolo Ricchebono, già campione d’Italia con la Mediolanum, insieme tanto per capirci, di giocatori come Dominguez, Cuttitta, Campese. Senza tanti giri di parole, Ricchebono va a meta: «Nazar, Alina, che ne direste di venire a giocare a rugby?».

Per Paolo il rugby è la sua vita. Ama allenare i ragazzini, e anche quei due ragazzini, benché uno maschietto e l’altra femminuccia, non possono che fare al caso suo. Fa di più, va a prenderli a casa. Deve fare subito, la terapia deve essere da urto, quei ragazzi con ancora nelle orecchie il rumore delle bombe, vanno subito inseriti in una storia che possa quantomeno riavvicinarli a una vita normale: vanno inseriti in una squadra. La lingua non è un problema, anche perché Paolo, uno tosto, ha già fra le mani la soluzione: un ragazzo russo, gioca nell’Under 17, si chiama Yuri. «Lui il mio asso nella manica, il gancio giusto per questi due ragazzi smarriti: ero convinto che avrebbe dato loro tutto l’aiuto possibile».

Paolo porta i piccoli ospiti al campo. Ci sono le presentazioni, i due sembrano un po’ spaesati, capiscono solo quei sorrisi, meno quello che gli altri ragazzi si stanno dicendo fra loro. Fino a quando non sentono una lingua familiare, uno che si rivolge loro parlando in russo: è Yuri. «Ciao ragazzi, sono Yuri e sono qui per aiutarvi». Gli occhi di Nazar si spalancano e diventano luminosi, quelli di Alina ancora di più: la sorpresa più inaspettata e per questo la più bella.

Foto AbruzzoWeb

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RUSSI E UCRAINI, INSEPARABILI

«Ora sono diventati inseparabili – racconta, fiero, Ricchebono – a loro tre non interessa nulla chi sia russo e chi ucraino: Yuri, naturalmente, è diventato il loro punto di riferimento, a lui piace sentirsi così, sapere di essere utile e loro si fidano ciecamente di quel ragazzone». Racconta ancora Ricchebono. «Non serve ricamarci troppo sopra – aggiunge – si chiama umanità, ed è esattamente come dovrebbe essere».

I due ragazzini di Kiev vogliono tornare a casa. Anche se piccoli, sanno che per il momento non possono farlo, lì a casa loro sparano, lanciano le bombe, pare non abbiano pietà di niente e nessuno. I ragazzi, intanto, hanno ricominciato a fare scuola, in Dad (Didattica a distanza). La maestra dei due ragazzi, da Kiev, ha deciso di non interrompere l’insegnamento e in un modo o nell’altro le lezioni andranno avanti. Attraverso lo schermo, anche se sotto le bombe, separati ma vicini. Il rugby, nel frattempo, comincia a diventare familiare: Nazar è un bell’atleta, il più alto della sua Under 9; Alina è agilissima, anche lei la più alta della squadra. Hanno cominciato a correre, a dribblare, a fare slalom, a scappare. Fortuna che questo è un gioco, un campo da rugby, che insegna come schivare i colpi, ma anche a far capire cosa sia stare insieme, uniti, fare squadra.