«E le ferie d’agosto?»

La risposta a un imprenditore salentino in cerca di personale estivo

«C’è l’aria condizionata?», «Per meno di tremila euro non se ne parla», «Sabato e domenica libero?». Ormai i ragazzi rispondono così alle offerte di lavoro. Colpa del reddito di cittadinanza? Al ristoratore è stato esplicitamente richiesto il pagamento “a nero”, per non perdere l’assegno mensile. Complicato uscire da una situazione simile

«Cerco aiuto pizzaiolo, camerieri caffetteria e banconista bar per stagione estiva: lo stipendio lo decidete voi, il giorno libero lo decidete voi e gli orari anche. Per info contattatemi». E’ una provocazione, ma c’è peggio: nessuno si è risentito, ha pensato di presentarsi o rispondere piccato al titolare di un ristorante salentino che, privo di personale, ha pensato di rendere pubblico lo scarso interesse dei nostri ragazzi per il lavoro. Insomma, anche da questa storia, non ne usciamo proprio bene.

Come sfondare una porta aperta. In due diverse occasioni abbiamo scritto che se il Reddito di cittadinanza ha dei meriti, dall’altra ha provocato una certa noncuranza nei confronti del lavoro. Un tempo esistevano i giornali del tipo “Cerco lavoro”, quello dei “Concorsi”, che esiste ancora, ma con una tiratura per “soli amatori”. Insomma, cifre bulgare.

Abbiamo anche scritto nei giorni scorsi anche come, un ristoratore del Nord, abbia cavalcato in modo non del tutto onesto una certa “assenza di personale” chiudendo un suo locale per aprirne un altro e, nel frattempo, inviare ai vecchi dipendenti lettere di licenziamento. Succede anche questo, i social insegnano.

Foto Lavorare Turismo

Foto Lavorare Turismo

ALLORA VI…SPUBBLICO

Stavolta ci troviamo al cospetto di un altro ristoratore. Uno che, immaginiamo, seduto al tavolino ha forse voluto creare un putiferio mediatico. Avrà sentito qualche aspirante cameriere o “aiuto pizzaiolo”, non del tutto convinto della sua proposta di lavoro: per gli orari o per lo stipendio. E, allora, «Ve lo do io il lavoro!»: vi spubblico con un post, prima o poi qualcuno passerà dal mio profilo facebook e riprenderà lo sfogo, accipicchia.

Detto, fatto. Sull’imprenditore insoddisfatto, si sono catapultati a decine. Giornalisti, non aspiranti pizzaioli. Organi di informazione, dal Nuovo Quotidiano di Puglia, proseguendo con il Corriere della sera e Repubblica, nelle edizioni regionali piuttosto che quelle “on line”, hanno ripreso la notizia che ha poi fatto il giro delle redazioni di mezzo Stivale.

Dunque, «Cerco aiuto pizzaiolo – riportava il post d camerieri caffetteria e banconista bar per stagione estiva e lo stipendio lo decidete voi, il giorno libero lo decidete voi e gli orari anche. Per info contattatemi». Questa la provocazione nei giorni scorsi da un imprenditore salentino, titolare di un locale di Porto Cesareo, fra le marine più affascinanti del Salento nel periodo estivo.

«In tv e sui social – aggiunge il ristoratore – si parla di imprenditori che sfruttano, in realtà io e i miei colleghi in zona non riusciamo a trovare persone disposte a lavorare nonostante stipendi più che dignitosi: offro dai 1200 euro in su netti al mese e non trovo persone disponibili». Stipendio base, che sfiora i 1.500, anche 1.600 per i pizzaioli. Nonostante, però, lo stipendio decoroso, dice l’imprenditore, il personale non si trova.

Foto Leccesette

Foto Leccesette

NON PIU’ DI 100 PIZZE A SERA

Causa mancanza di personale, il primo passaggio obbligato: non più di cento pizze a sera, cinquanta in meno rispetto alla media giornaliera. Motivo plausibile: per non appesantire oltremodo l’unico pizzaiolo a disposizione, altrimenti anche lui potrebbe andare via e lasciare nei pasticci il proprietario del locale. «Non so, forse i ragazzi – prova ad ipotizzare l’uomo – non considerano il lavoro da camerieri come un’opportunità o un’esperienza utile».

«Cerco personale. Lo stipendio lo decidete voi e gli orari anche». Un post provocatorio su Facebook per denunciare mesi di difficoltà nel trovare camerieri, baristi e pizzaioli. Così Pierluigi Lucino, imprenditore leccese di 40 anni, ha deciso di denunciare la carenza di personale per le sue due attività una piccola pizzeria e il nuovo ristorante Riviera Bar Bistrot, a Porto Cesareo in Puglia

Per il ruolo di aiuto pizzaiolo la paga può arrivare a 1500-1600 euro netti al mese ma è da mesi che l’imprenditore non trova candidati. Tanto da aver deciso di ridurre il numero di pizze sfornate in una serata. «Non posso far lavorare troppo l’unica persona che ho, non sarebbe giusto. Invece di centocinquanta pizze abbiamo messo il tetto a cento».

arton18566LAVORO NERO? NO, GRAZIE!

L’imprenditore, vuota il sacco. Spiega di aver ricevuto persone che chiedevano di lavorare in nero pur di non perdere il Reddito di cittadinanza. «Paradossale ma è successo anche questo. In un contesto del genere perché non si aiutano gli imprenditori ad assumere in regola: no ai 5 euro l’ora, sì ai Contratti collettivi nazionali che esistono e vanno applicati».

«Durante la pandemia – conclude – molti sono andati a lavorare da altre parti: chi aveva voglia di lavorare ha trovato impiego nella logistica o in azienda. Da mesi posto annunci, la situazione è preoccupante e sta mettendo in crisi la ristorazione locale, fatta di gente laboriosa e onesta».

Come reagiscono i giovani? Con ironia. Molti, con il passare del tempo sono diventati esperti nella comunicazione, ci hanno messo uno spirito “cazzaro” e hanno dato fondo alle proprie risorse di autori di battute tanto al chilo.

«E le ferie in agosto?», «C’è l’aria condizionata?», «Mi scusi, ma per meno di tremila euro non se ne parla!», «Ma il sabato e domenica sarei libero?». Ci provano, magari Antonio Ricci e per “Striscia la notizia” o Gino & Michele per “Zelig” li ingaggia come “battutisti”. «Lo stipendio?», ci pare di sentirli, «quello non è un problema: decidetelo voi…». Battuta per battuta, non si offendano i ragazzi, né i loro genitori. Non dite o postate che «Gli stranieri vengono in Italia e ci rubano il lavoro!». Le cose, come vedete, stanno in un altro modo.

«Non trovo personale», invece…

Pare che un cartello fosse solo un pretesto

Prima il Corriere di Torino, poi Il Fatto, piombano su un malcostume adottato da esercenti e commercianti. Mentre un titolare lanciava l’appello, il suo personale licenziato si è rivolto alla stampa

Non tutto è oro quello che luccica. Mai fermarsi alla prima impressione, al primo titolo ad effetto della serie “Chiudo per mancanza di personale”. Facile fare un cartello, apporlo sulla porta d’ingresso e scatenare una eco mediatica non indifferente. “In Italia non vuole più lavorare nessuno!”, il primo commento di chi si ferma al solo titolo-civetta. Ma, si diceva, non sempre le cose stanno come sono dipinte. I colori non sono quelli che appaiono al primo sguardo. E, allora, se il titolare di un ristorante denuncia di chiudere il suo locale per mancanza di personale, attenzione, dietro può esserci un’altra storia.

Come quella riportata dal Corriere di Torino (allegato del Corriere della Sera) e ripresa da Charlotte Matteini per Il Fatto Quotidiano, giornale attento più di altri a quei dettagli che, in realtà, fanno la differenza. E che differenza.

«Il Corriere Torino – scrive la giornalista – ha dedicato un articolo al ristoratore che raccontava di essere costretto a interrompere l’attività perché non riusciva ad assumere: tra i commenti al post diffuso sui social dalla testata sono però apparse una serie di testimonianze di suoi ex dipendenti; uno stato lasciato a casa il giorno prima: “Mi hanno detto che avrebbero chiuso una o due settimane per fare dei lavori”. Un’altra sarebbe stata licenziata a dicembre 2021 causa calo del fatturato dell’altro dei due locali dello stesso imprenditore».

Foto Il Giornale Del Cibo

Foto Il Giornale Del Cibo

«CHIUDO BOTTEGA»

«Non riesco ad assumere, quindi chiudo bottega», scriveva su un cartello in bella vista il ristoratore-proprietario di un locale. Raccontava di essere stato costretto a chiudere temporaneamente la propria attività dopo poco meno di sei mesi per mancanza di personale. «Eppure, garantiva il titolare, il menù in busta paga è più che dignitoso: 1.700 euro (netti) al mese, per 12 mensilità, per cuoco e aiuto cuoco, e 1.400 euro per cameriere di sala», riportava l’articolo, rimarcando che a un mese dalla pubblicazione degli annunci nessuno si era presentato per un colloquio.

«Tra i commenti al post diffuso sui social dal Corriere di Torino – specifica Il Fatto Quotidiano – sono però subito apparse una serie di testimonianze che raccontavano l’altra faccia della medaglia: quella dei lavoratori, in questo caso degli ex dipendenti del ristoratore, proprietario di due ristoranti a Torino». «Ho mandato un curriculum in risposta a un annuncio di lavoro pubblicato per l’altro ristorante di Rostagno, Le Fanfaron Bistrot, che cercava un capo partita ai primi di cucina piemontese, ben diverso dal lavorare il pesce come poi sono finito a fare durante la prova – racconta Paolo a ilfattoquotidiano.it – Io avrei dovuto prendere in gestione il locale dopo una settimana di prova in affiancamento, regolarmente contrattualizzata. Prendere in gestione significa che praticamente avrei dovuto fare tutto da solo, dal lavare i piatti alla cucina vera e propria. Il contratto? Un sesto livello del Ccnl dei pubblici servizi, con qualifica di aiuto cuoco».

Foto Roma Today

Foto Roma Today

DIPENDENTI IMBUFALITI

Ma sono vari i dipendenti che hanno pubblicamente contestato il racconto del ristoratore diffuso dal quotidiano, scrive ancora Charlotte Matteini, una donna ha lavorato per oltre due anni in quel locale. Prima del lockdown, scrive, il titolare applicava effettivamente i contratti come da normativa e retribuiva le ore di straordinario che i suoi dipendenti facevano e segnavano timbrando il cosiddetto cartellino: tutto cambia con l’arrivo della pandemia, i dipendenti finiscono in cassa integrazione e il ristorante riapre poco per volta con l’asporto e via via con tutto il resto del servizio al termine del blocco imposto dai decreti dell’allora governo Conte.

Poi, un giorno, ecco il cartello: “Chiudo per mancanza di personale”. Forse lo fa per prendere tempo, magari l’uomo che, alla fine non imprimeva orari insostenibili, non trattava male il personale, sbaglia nella comunicazione. Cosa insegna questa storia: in Italia, c’è chi vuole lavorare, a cominciare dagli stessi dipendenti del ristoratore e, allora, l’idea di prendere ossigeno per rimodulare le due attività, non sia stata proprio il massimo. Auguriamoci che arrivino tempi migliori e, soprattutto, la chiusura temporanea porti consiglio.

Altra morte sul lavoro

Incidente al Porto mercantile di Taranto

A rimetterci la vita, nella mattinata di martedì, Massimo De Vita. Stava svolgendo attività di movimentazione quando è stato travolto durante le operazioni di carico-scarico di pale eoliche. Documento dei sindacati che annunciano uno sciopero nella mattinata di mercoledì. L’intervento dell’arcivescovo Filippo Santoro, la puntualizzazione di Acciaierie d’Italia

A distanza di poco meno di un anno è il secondo lavoratore che nel porto di Taranto perde la vita durante le operazioni di carico-scarico di pale eoliche. A perdere la vita nella mattinata di martedì 22 marzo è stato Massimo De Vita, quarantacinque anni, tarantino. Strappato all’affetto dei suoi cari, stando alle prime informazioni, l’operaio specializzato era intento a svolgere operazioni di movimentazione. L’uomo, che non ha avuto il tempo di realizzare come evitare quanto gli stava accadendo in quegli istanti fatali, è stato schiacciato e ucciso da un grosso telaio in ferro ribaltatosi durante le operazioni di movimentazione a terra di un carico di pale eoliche danneggiate sbarcato poco prima da una nave. Per il lavoratore, purtroppo, non c’è stato scampo.

Secondo quanto trapelato da fonti bene informate, le pale eoliche erano state sistemate in una zona provvisoria, a terra, nella quale si sarebbe svolto il posizionamento dei telai in ferro. Per motivi in via di accertamento, uno di questi telai si è ribaltato travolgendo lo sfortunato operaio. Massimo De Vita è uno degli operai presi in carico dall’Agenzia per il lavoro portuale dopo la messa in liquidazione della Taranto Terminal Container. De Vita era stato assegnato alla Compagnia portuale per svolgere lavori di movimentazione con la qualifica di operaio specializzato seguiti da una ditta d’appalto.

Foto Avvenire

Foto Avvenire

ACCIAIERIE NON C’ENTRA

Con riferimento alla morte di De Vita, Acciaierie d’Italia in una nota precisa di non avere alcun coinvolgimento nelle operazioni che hanno condotto all’incidente, né direttamente né tramite attività svolte da appaltatori per conto di Acciaierie d’Italia. L’azienda ha comunicato, inoltre, di non avere in gestione lo sporgente numero 4-Lato Ponente del porto di Taranto, la zona in cui ha perso la vita l’operaio quarantenne.

L’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, non appena informato sull’accaduto ha così commentato la notizia: «Apprendo con sgomento dell’incidente mortale avvenuto al Quarto sporgente del porto, la mia paterna vicinanza alla famiglia del giovane operaio Massimo De Vita; questa terra continua ad immolare lavoratori, vite umane sacrificate al profitto lì dove il lavoro dovrebbe essere occasione della promozione della dignità umana e di emancipazione sociale; mi unisco all’appello accorato già lanciato da Papa Francesco: basta morti sul lavoro. È importante dare dignità all’uomo che lavora ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro».

Nella stessa mattinata, stavolta al secondo sporgente, durante le operazioni di scarico nel porto di Taranto, gestito da Acciaierie d’Italia, si è verificato un altro incidente, per fortuna senza vittime. Lo ha comunicato la stessa Acciaierie d’Italia, precisando che non si segnalano danni alle persone operanti nell’area.

Foto Repubblica

Foto Repubblica

PROCLAMATO SCIOPERO NAZIONALE

Intanto, Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno indetto per mercoledì 23 marzo, lo sciopero nazionale di un’ora ad ogni fine turno o prestazione di lavoro di tutti i lavoratori dei porti ed il suono delle sirene, alle ore 12. Questa manifestazione, si legge in un comunicato sindacale congiunto, si terrà in segno di lutto a seguito dell’incidente sul lavoro costato la vita a un operaio, Massimo De Vita, schiacciato da un grosso telaio in ferro durante lavori di movimentazione di pale eoliche al porto di Taranto.

Filt Cgil, la Fit Cisl e Uiltrasporti che si stringono al dolore dei familiari di Massimo De Vita, ricordano che circa un anno fa, il 29 aprile, Natalino Albano perse la vita nel tentativo di sfuggire ad una pala eolica che precipitò dopo essersi sganciata dall’imbracatura della gru che la stava sollevando. L’incidente di martedì mattina riaccende tristemente i riflettori sugli elevati rischi del lavoro portuale. Secondo le tre organizzazioni sindacali, occorre rimettere al centro la parola sicurezza nell’agenda delle istituzioni ministeriali e del Governo, a partire dalla emanazione dei necessari provvedimenti di aggiornamento del decreto legislativo 272/99, ripetutamente sollecitati.