Giancarlo Giannini, il primo di agosto festeggia il suo compleanno
«Devo tutto a Lina Wertmuller, la Melato splendida compagna di viaggio. Ho lavorato con grandi registi, mai vissuto da star, mi accontentavo di un cucinino. Il mio più grande dolore: aver perso un figlio di appena diciannove anni» Una candidatura agli Oscar e la stella sulla Walk of fame di Hollywood
Ottant’anni il prossimo 1 agosto. Giancarlo Giannini, grande attore del cinema italiano, dal cinema leggero – i musicarelli, tanto per intenderci – a quello impegnato, passando per la satira, diretto da Lina Wertmuller – come confessa a Valerio Cappelli che lo ha intervistato per il Corriere della sera – cui deve praticamente tutto, ma anche Mario Monicelli, regista di punta della commedia italiana, proseguendo con Francis Ford Coppola. Senza dimenticare Bolognini, Lattuada, Scola, Zurlini, Vicario, Risi, Visconti, Fassbinder, Avati e tanti altri. Ligure di la Spezia, è stato il primo a dare profondità al protagonista meridionale, un po’ “ferito nell’onore” (Mimì metallurgico), un po’ vendicatore di una classe sociale trattata a pesci in faccia (Travolti da un insolito destino…). E’ stato doppiatore anche di artisti di grande spessore, come Jack Nicholson e Al Pacino, dando loro la voce nel tempo diventata roca e profonda.
Insomma, Giannini è stato il primo attore settentrionale a dare voce al Sud. Uno dei pochi ad essere candidato agli Oscar (Pasqualino settebellezze) e ad avere una stella sulla Walk of fame, il marciapiedi dedicato alle star di Hollywood (l’altro attore omaggiato è stato Rodolfo Valentino).
«Non sono tipo da anniversari, non mi importa del passato, penso al futuro, alle cose che posso ancora fare», dice Giannini nell’intervista rilasciata a Cappelli. Non si dà arie da star. «Una delle poche richieste – confessa però l’attore – è di avere una stanza d’albergo con il cucinino: mi piace prepararmi da mangiare a fine giornata sul set. Da mia nonna Luisa ho preso l’abitudine di non buttare mai gli avanzi. Una volta in America volevano intervistarmi per un film, invece ho parlato per un’ora della mia pasta al pesto, da allora mi chiamano The king of pesto.
«LE MIE RADICI»
Le sue radici. «La mia Liguria, i contadini della mia terra, gente splendida, tenace, tosta. Hanno un motto che è anche il mio: se ho poco, devo vivere con poco. Il mio mondo, come dico nella mia autobiografia (“Sono ancora un bambino (ma nessuno può sgridarmi)”, è fatto di cose semplici e di sogni».
Il suo più grande dolore. «La perdita di Lorenzo, mio figlio primogenito, morto nel 1987, a 19 anni, per aneurisma…Voglio cancellare questa parola. Un giorno, stranamente, mi aveva chiesto cosa c’è dopo la morte. Non sapevo come rispondere, gli raccontai una favola: immagina tanti colori nello spazio, esistono ma poi finiscono, è come una montagna da scalare, raggiungi altri colori. Gli raccontai la morte come una sensazione di conoscenza».
Ha lavorato con i più grandi attori. «Li ho visti morire tutti. A volte, quando vengo fermato per strada e magari qualcuno riconosce il volto ma non gli viene il mio nome, e mi scambia per Gassman, Mastroianni, Tognazzi, Manfredi, faccio l’autografo al posto loro».
I film e attori americani. «Jack Nicholson è quello che più mi ha impressionato – rivela Giannini al Corriere della sera – l’ho doppiato non so quante volte, a volte bloccavo il doppiaggio dall’incanto con cui lo guardavo. E’ uno imprevedibile, folle, l’ho detto altre volte, con lui entri in un mondo parallelo. Un amico è Dustin Hoffman, ogni tanto ci mettiamo a parlare al telefono della decadenza del cinema, ma i talenti anche da noi non mancano: Toni Servillo, Paolo Sorrentino…».
«LAVORARE E DIVERTIRMI»
«Mi sono divertito con i miei due 007, ho inventato da zero il mio agente segreto, ma leggendo il copione non capivo se ero con James Bond o contro, produttore e regista mi dissero che dovevano ancora decidere. Con l’America è sempre stato un rapporto di amore e distacco. Dopo “Pasqualino settebellezze”, a me e Lina tutti volevano incontrarci».
L’importanza di una “tosta” come Lina Wertmüller. «Mi ha regalato ironia, libertà, leggerezza, la felicità di fare questo mestiere anche se non ho mai avuto il sacro fuoco dell’attore. Aveva una visione grottesca della vita. E con Mariangela Melato, la sua grazia, intelligenza, intensità, ho passato i miei più importanti momenti di cinema».
Rivela, infine, a Cappelli, acuto nel lasciare a Giannini il compito di tracciare il suo racconto, unico, originale, affascinante. «Una volta, mentre attraversava una porta girevole, chiesi a Marlon Brando di rivelarmi il suo segreto, e lui, urlando: “Semplice, non leggere le sceneggiature!”».