Mustapha, primo arbitro nero in Terza e Seconda categoria
«Nel calcio non ero nemmeno una promessa, allora ho pensato di seguire un corso online». Storia di un ragazzo gambiano, arrestato in Libia e fuggito su una imbarcazione per trasferirsi in Italia. «Ho trovato accoglienza, un lavoro da elettrauto e i consigli di amici che mi hanno spinto a provare ad essere io a far rispettare le regole». «Sogno Serie A, Champion’s, Coppa d’Africa e conoscere Koulibaly»

Foto Oggi.it
Il calcio italiano ha il primo arbitro migrante. Si chiama Mustapha, origini gambiane. La sua storia, come tante, comincia con una fuga dalla disperazione. La gioia di aver trovato, forse, un po’ di serenità, quando invece si risveglia da un sogno per ritrovarsi a lungo recluso in una prigione in Libia, con un solo pasto al giorno, quando i suoi carcerieri se ne ricordano. Mustapha ha visto uomini e donne morire sotto ai suoi occhi durante il viaggio della speranza. Spesso, nella fuga, Mustapha pensava che uno di quei corpi dispersi nel mare o abbattuti sotto ai suoi occhi, con colpi di arma da fuoco, potesse essere il suo.
Da ragazzino coltiva la passione per il calcio. «Mi piaceva prendere il pallone a calci – racconta – come tanti miei coetanei, ma non ero quello che si dice un profilo in prospettiva: gli altri si impegnavano, quasi su quel perimetro improvvisato, dovesse cominciare il nostro riscatto di chi ha sofferto a lungo; io me la cavavo, ma non sarei mai diventato un campione come, per esempio, Barrow, uno degli elementi di punta del Bologna, che ho conosciuto, oppure Koulibaly: sogno di arbitrare una loro gara, anche se parto da lontano; la serie A è un miraggio, figurarsi la Champions – considerando Koulibaly in Europa con il Chelsea – però sognare non costa niente».
RISCATTO SOCIALE
Il calcio, lo sport più popolare al mondo, viene visto come strumento di riscatto sociale. Uno su mille, quando va bene, ce la fa, prova a salire i gradini del riscatto sociale. Specie quando sei all’estero, sei stato accolto come migrante e, nel caso di Mustapha, dimostri che vuoi essere “uno di qua”, un italiano, accettando le regole entrando in punta di piedi e di fischietto nella società che lo ha accolto.
Di lui nei giorni scorsi ne ha scritto Ciro Troise, che per il Corriere del Mezzogiorno ha mostrato grande fiuto. Un articolo ripreso dalla Gazzetta dello sport (stesso gruppo editoriale), ma anche dalle agenzie. La storia di Mustapha sembra sotto gli occhi di tutti, ma la differenza la fa il cronista che ci si tuffa, entra con tatto nella vita di un ragazzo che ha sofferto le pene dell’inferno nell’attraversare il Mediterraneo. E riesce a farsi raccontare una storia con pochi sorrisi e tanti momenti drammatici.
Mustapha Jawara, dunque, è il primo arbitro di calcio migrante d’Italia. Non sono in molti ad intraprendere la carriera di arbitro, intanto perché è una figura odiata, capro espiatorio di tifosi e calciatori che quando vedono soccombere la squadra per cui tifano o giocano, provano a scaricare le colpe sull’arbitro. E Mustapha non è solo un arbitro, è un nero, dunque uno dei bersagli preferiti da quanti, ignoranti, non trovano di meglio che sfogarsi contro un direttore di gara.

Foto Gazzetta.it
GAMBIA, LIBIA, ITALIA…
Mustapha è arrivato dal Gambia su un barcone affollato in uno dei tanti viaggi della speranza, dove il confine tra la morte e il sogno di dare una svolta alla propria vita è molto sottile. «Conservo nella mente e nel cuore quel viaggio: ho attraversato tante difficoltà, ho visto amici morire davanti ai miei occhi e vi assicuro che fa molto male. Due anni e mezzo! Tanto ci ho messo per raggiungere l’Italia dopo la fuga dalla Libia, Paese nel quale sono stato arrestato, ancora non so per quale motivo. Ci picchiavano di santa ragione, senza motivo, ci davano da mangiare una sola volta al giorno; non era solo un esercizio di sopravvivenza, ma anche di preghiera: mi rivolgevo al Cielo perché raccogliesse le mie suppliche affinché quella prigione fatta di stenti e torture finisse, prima o poi…».
Una volta in Italia, Mustapha arriva a Mondragone, provincia di Caserta; poi Polla, nel Cilento, la sua seconda terra. Nel suo paese, il Gambia, Mustapha aveva coltivato la passione per il lavoro da elettricista. E proprio a Polla Mustapha trova lavoro in un’azienda di ricambi auto. Ma, attenzione, anche la vita, come l’arbitraggio, ha delle regole: prima il dovere, poi il piacere perché l’arbitraggio deve essere visto e interpretato come una passione. Così quel ragazzo gambiano si allena dopo il lavoro, si applica come un matto: a settembre vuole essere in campo per la sua seconda stagione da direttore di gara. Il debutto, non lo dimenticherà tanto facilmente, è avvenuto lo scorso novembre in un torneo Under 15, per proseguire con Under 17 fino alle gare di Terza categoria e Seconda categoria. Lì cominciano i dolori, intesi come paure. In queste categorie trovi ragazzi svegli, anche troppo, sanno come si sta in campo e come ci si avvantaggia con astuzia, compiendo falli sugli avversari e invocando calci di rigore talvolta inesistenti.

Foto Sky
«CHE ANSIA LA PRIMA VOLTA!»
Ma Mustapha apre gli occhi. Il debutto in Terza. «Non nascondo di avere avuto un po’ d’ansia, soprattutto nel primo tempo, poi poco per volta mi sono rilassato. Ho provato la strada del calcio giocato, ma sinceramente non era per me: fra le mie conoscenze, Barrow del Bologna, un ragazzo che si è fatto apprezzare e rispettare in serie A». La scelta dell’arbitraggio. «Riconosco questa passione sbocciata in un lampo, a Massimo Manzolillo, della sezione di Sala Consilina. Poco prima del lockdown decisi di seguire online un corso per arbitri, superandolo a pieni voti».
Un desiderio che ha coltivato fino a qualche settimana fa. «Avrei voluto conoscere Koulibaly, anche se non dispero: è andato al Chelsea, magari lo incontro in Champion’s o in Coppa d’Africa. Due sogni: arbitrare Napoli-Juventus e la finale di Coppa d’Africa. C’è una cosa che ho imparato in Italia: sognare non costa niente. Coronare questo sogno, tornare da direttore di gara nel mio Continente, riabbracciare i miei cari e i miei amici che mi potrebbero rivedere non in veste di calciatore, ma da arbitro, il direttore di gara che fa rispettare le regole. Ecco, questa è una cosa che mi ha fatto subito innamorare dell’Italia: il rispetto delle regole, nel campo di calcio e nella vita. Comportati bene e sarai rispettato, come lavoratore e come arbitro».