«SONO AFROTARANTINO»

La storia di Ibrahima, da fuggitivo a chef

«Sono gambiano, avevo una laurea che ho dovuto riporre in un cassetto. Ho studiato nell’Istituto alberghiero, mi sono diplomato. La gente della “mia” città mi ha subito voluto bene. Ho cominciato a lavare i piatti e pelare le patate, poi Massimo Bottura…»

immigrati-1200-690x362Trentaré anni, gambiano, si sente molto italiano, anzi “afrotarantino”, come giustifica lui questo legame con la Città dei Due mari. Oggi – come ha avuto modo di raccontare in questi giorni a Repubblica, nei mesi scorsi alla Gazzetta del mezzogiorno – è un affermatissimo chef, conteso da ristoranti importanti e dalle tv: il suo colore è un attrattore. Pensate, la cucina italiana condita e servita da un africano, un nero. Succede. Meritatamente poi, considerando sacrifici e ostacoli che ha dovuto superare fra mille difficoltà.

Lui è Ibrahima Sawaneh, la città cui allude è, evidentemente, Taranto. Una laurea in tasca, che gli è servita poco, avendo dovuto compiere nuovi studi per conseguire, discutendo il suo titolo di studio, in un italiano da lasciarti di stucco, un diploma all’Istituto alberghiero. Insomma, Ibrahima, bravo, bene, bis.

Arrivato in Italia con una laurea, ha dovuto rimboccarsi le maniche, chinarsi daccapo sui libri e seguire le lezioni pratiche che impartivano i suoi professori. Ha dovuto gettarsi nello studio, leggere e studiare in italiano, la stessa lingua con la quale avrebbe poi svolto gli esami. Diplomato. Ma gli esami, e questo Ibrahima lo sa, non finiscono mai. Per inserirsi nel mercato del lavoro inizia come lavapiatti, per passare dal retrocucina alla cucina a pelare patate. Poi arriva l’occasione, uno stage all’Osteria francescana. E da lì, il percorso diventa discesa.

taranto_notteMI SENTO A CASA!

«Sono “afrotarantino”: mi sento africano, ovviamente, ma anche italiano, poi anche tarantino, se permettete, visto che a questa terra sono legatissimo. Ho fortemente voluto fare il lavoro che, oggi, svolgo con grande gioia: ho trasformato la mia grande passione per la cucina in lavoro: faccio il cuoco nelle cucine degli chef stellati e con lavoro e applicazione – mi dicono – sto scalando le vette della popolarità: fra i recenti riconoscimenti, l’“Eraclio d’oro”: titolo della mia composizione: “la mia tradizione africana in Puglia”».

Nonostante il successo, Ibrahima non perde occasione per raccontare e raccontarsi quanto accadutogli prima di approdare sulle coste italiane e nella sua città adottiva, Taranto. Partito dal suo Gambia, il viaggio in mare, dolore, pericolo, coraggio, speranza e amore, l’arrivo a Taranto, l’accoglienza.

Il primo compito di uno stagista, spiega il giovane chef, sono le preparazioni lunghe, fra brodi e piatti base. La sua attività parte dalle retrovie. Bravo com’era è stato promosso al servizio in cucina. Gli tocca preparare antipasti e primi piatti di una certa importanza. «Ero sulla buona strada, ma spesso non posso fare a meno a pensare che ho iniziato a cucinare molto tardi.

requisiti-cucina-ristoranteLA MIA CUCINA…

Gli inizi non sono nella Scuola alberghiera. Da piccolo, nel mio Paese, cucinado e imparando da solo le prime tecniche che col passare del tempo mi sono tornate utili».

«Mia madre non l’ho conosciuta, è morta che ero ancora piccolo: cucinavo e immaginavo di essere parte di quel gruppo familiare che non ho mai potuto vivere come avrei voluto». Poi la conoscenza con uno dei più grandi chef di statura internazionale: Massimo Bottura. I ragazzi del corso non hanno il coraggio di sottoporre all’attenzione dello chef stellato le proprie composizioni, Ibrahima sì. Bottura è esigente, chiede l’originalità, qualcosa che non ha mai assaggiato.

«Se mi dice che fa schifo – mi sono detto – vuol dire che devo ancora lavorare: allora, mi conviene provare!». Così, “Ibra” ha preparato un piatto tipico del suo paese, il Domodà. Mentre tutti erano lì ad assaggiare prima, a mangiare di gusto poi, ecco Bottura: «Chi ha cucinato? E’ veramente buono, questo sì che è un piatto originale, complimenti al cuoco!». «Per la prima volta ho iniziato a piangere di gioia, di felicità. Ho pianto pensando a mia mamma».

Sara, due volte campionessa!

KATA E KUMITE/Medaglie d’Oro per l’atleta tarantina ai Nazionali di Roma

Con la Rappresentativa pugliese sale sul gradino più alto del podio. Prima vittoria nella categoria individuale, la seconda “a squadre”, con le compagne Isabella Santo, tarantina anche lei, e Michela Rizzo, leccese

Sara Soldano podioDue medaglie d’oro per la tarantina Sara Soldano, quella individuale e quella a squadre; una, quella a squadre, per la tarantina Isabella Santo, condivisa anche con la stessa Soldano, e la leccese Michela Rizzo.

Sara Soldano 2Grande successo, dunque, per le nostre atlete raggiunto nei Campionati nazionali a Rappresentative regionali di kata e kumite in programma a Roma sabato 26 e domenica 27 novembre. Un successo, per giunta così pieno, che mancava da anni nella bacheca della squadra pugliese allenata nella spedizione romana dai tecnici Antonio Di Serio, tarantino, e Vito Barletti, leccese.

LE DUE DISCIPLINE…

Il kumite è, invece, una delle tre componenti fondamentali dell’allenamento nel karate, assieme a kata e kihon e consiste nell’allenamento con un avversario. Il termine giapponese kumite viene tradotto con la parola combattimento. Kumite si compone della parola kumi, che significa “mettere insieme”, e della sillaba te, che significa “mano”. Per kumite si intende, quindi, l’incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combattimento è quello di “abbattere” l’avversario, quello del kumite è la crescita reciproca dei praticanti.

E IL PALMARES…

Sara Soldano, ventenne tarantina, attualmente è fra le prime quaranta atlete al mondo. Studentessa, al secondo anno corso di laurea Scienze motorie all’Università degli studi di Bari e Taranto “Aldo Moro”, nell’anno solare, oltre alle gare di Serie A svoltesi a Pamplona e al Cairo, Sara Soldano ha partecipato alle Premier League di Lisbona e Mosca. Le sue ultime gare, a Roma, nel Campionato italiano di kata e kumite sabato 26 e domenica 27 novembre.

Qui, si diceva, Sara Soldano ha conseguito le due ultime medaglie d’oro della sua carriera: quella individuale e quella a squadre, conseguita insieme con le sue compagne di rappresentativa, Isabella Santo, tarantina, e Michela Rizzo, leccese.

Ma quanto è bella la Puglia?

Due passi nell’entroterra, la Valle d’Itria

Cittadine suggestive con storia e tradizioni di accoglienza. Visitiamo Martina Franca, Locorotondo e Cisternino. Chiese e monumenti, palazzi e piazze che lasciano incantati. E dove non è da scartare l’ipotesi di un aperitivo, un buon bicchiere di vino o un gelato

locorotondo-natale-pugliaDi queste località da fiaba, come le definisce l’autorevole proiezionidiborsa.it, ce ne siamo occupati spesso. Non solo delle tre in elenco, già “visitate” di recente insieme con altre cittadine piene di fascino e suggestione. Quando si scrive (o si parla di Puglia), non c’è niente da fare, facciamo comunque riferimento ad uno degli angoli più belli in assoluto del mondo. E stavolta vi risparmiamo la sfilza di quotidiani e riviste americane (e non solo) che hanno indicato la nostra penisola (ci riferiamo più alla Puglia che all’intero Stivale…), come la più bella del mondo. Un aspetto che non proviamo nemmeno lontanamente a discutere: intanto perché non può che farci enorme piacere, poi perché non avremmo argomenti importanti cui appellarci, volendo essere pignoli e trovare difetti alle bellezze di quest’angolo di mondo.

Dunque, parliamo di tre “fiabe”. Intanto provando a dare ad esse un nome, così la cosa ci facilità nel compito: Martina, Cisternino, Locorotondo. Ecco, detto che la Puglia non solo è una delle Regioni più belle d’Italia, ma anche del mondo, non abbiamo difficoltà a confermare – come riporta proiezionidiborsa – che ogni estate questa regione viene assalita da turisti che provengono dal resto d’Italia e dal mondo: dal Gargano al Salento, passando per la Costa ionica e proseguendo per la Valle d’Itria, possiamo ammirare angoli unici al mondo.

DIMENTICATE IL MARE…

Parlando di mare, non possiamo che sfondare una porta aperta, invece stavolta vogliamo allungare nell’entroterra, qualcosa tutto da scoprire. Partiamo dal triangolo Bari, Taranto e Brindisi, nel quale troviamo letteralmente un luogo d’incantevo: la Valle d’Itria.

Caratterizzata da distese di ulivi, trulli e masserie dal tipico colore bianco o rosso, Martina Franca è una città elegante e dall’architettura barocca. Un gioiello in provincia di Taranto, famoso anche per il Festival della Valle d’Itria, appuntamento che ogni anno richiama appassionati di musica lirica e sinfonica.

Provate a fare i due classici passi nel centro storico: un vero e proprio labirinto urbano tutto da scoprire, tra stradine, vicoli ciechi con case tinte di calce bianca e palazzi signorili. Bellissima la Basilica di San Martino. Elegante, maestosa e nel suo stile barocco, con facciata esterna e interna piena di decorazioni. Qui sono conservate le reliquie di Santa Comasia compatrona della città insieme a San Martino. A proposito di chiese, da visitare anche quelle del Carmine e di San Domenico. In Piazza Roma, il bellissimo Palazzo Ducale, dove attualmente ha sede il Comune di Martina Franca.

Altra località che provoca grande suggestione: Locorotondo. Piccolo paese in provincia di Bari e considerato uno dei Borghi più belli d’Italia (ne abbiamo già scritto, qualcuno ricorderà). Il suo centro storico, al pari di quello di Martina appena descritto, è un piccolo gioiello: sembra quasi che il tempo si sia fermato, stradine, muri tinti di bianco e negozietti. Nel periodo natalizio il centro storico viene allestito in maniera così elegante da sembrare un vero presepe.

Fra le bellezze, spicca la chiesa di San Giorgio (Chiesa madre), costruita nel punto più alto della collina, tanto che cupola e campanile si possono ammirare anche da lontano. Altro punto meraviglioso di Locorotondo, la zona panoramica da dove è possibile osservare la bellezza della valle.

TTT_Puglia_Cisternino_OCT20_08ENTROTERRA IMPERDIBILE

Infine, a chiudere il tris da fiaba (ma la favola, credeteci, continuerebbe all’infinito…), ecco Cisternino. Piccolo borgo tutto da scoprire, lo troviamo fra Martina e Locorotondo. In provincia di Brindisi, anche questa località è immersa nella Valle d’Itria.

Qui le chiese non mancano, così la nostra comoda passeggiata può avere inizio visitando la chiesa di San Nicola: una facciata imponente e al suo interno colonne in pietra e opere importanti. Fra i simboli di Cisternino, la Torre Normanno Sveva, costruita con lo scopo di diventare un punto di avvistamento. All’interno del centro storico, ammiriamo la bellezza dei vicoli, così belli da sembrare usciti dalle favole. Al cospetto dell’accogliente piazza Vittorio Emanuele, osserviamo la bellezza della Torre dell’orologio, uno spazio così accogliente nel quale è possibile gustare un buon bicchiere di vino, un aperitivo o, perché no, un gelato. Ben accetto anche fuori stagione, considerando le temperature di tarda mattinata spesso concilianti con qualcosa di fresco da bere o gustare. E ora, buona passeggiata e al prossimo tour fra le bellezze di una regione invitante e fra le più suggestive d’Italia. E non solo…

«TORNO ALL’ASILO»

Marco, due lauree, oggi fa il bidello part-time

«Con sommo stupore, una volta finito sui giornali mi sono accorto di non essere l’unico ad essere laureato a fare questo lavoro». Prova a conseguire un altro titolo di studio. «Intanto assisto i piccoli, rassetto le aule e, finito il lavoro, studio, con grande passione». A tempo perso, scrive, fa il giornalista-pubblicista e vuole diventare amministratore, sempre in ambito scolastico

pencils-1486278_960_720«Meglio cantarci sopra!», si sarà detto Marco, venticinque anni, marchigiano, quasi tre lauree, professione bidello. Oggi solo part-time, anche per sua volontà, perché un’altra laurea ce l’ha proprio nella testa. Vuole conseguirla, costi quel che costi. Anche a costo di dimezzarsi uno stipendio di milletrecento euro, dunque solo seicentocinquanta euro, per fare una cosa (lavorare a scuola, provvedendo all’assistenza dei piccoli, e rassettando le aule) e l’altra (studiare, studiare, studiare).

Corriere della sera nei giorni scorsi scaltro nell’intercettare questo ragazzo-prodigio (come lo chiamereste voi un giovanotto di belle speranze che ripiega a svolgere le mansioni di bidello?), che infischiandosene del reddito di cittadinanza lasciandosi bastare l’unica laurea di cui dispone, prosegue il primo lavoro ad almeno milletrecento euro sicuri. Che poi, non sono molti, ma «di questi tempi, meglio feriti che morti». Altrettanto sveglio, ma non è una novità, Fanpage.it, un sito al quale dovremmo dare più di un’occhiata, per tema trattati e capacità di analisi. La notizia la riprende Biagio Chiariello, che ne fa un bel titolo consegnandolo al popolo di internet spesso distratto da “strilli” – così si chiamano articoli-civetta, purtroppo vuoti come uno pneumatico – e fake news.

La storia di Marco, invece, è vera, come è vera la tastiera che spesso lo stesso bidello-laureato si porta appresso per allietare i ragazzi delle classi di cui si occupa nel suo lavoro quotidiano di assistenza. Non che la giri a caciara, sia chiaro, ma ogni tanto promette ai più ribelli che se faranno i bravi «uno di questi giorni porto lo strumento sul quale cantarci».

E’ TUTTO UN ATTIMO

Ci ha messo un attimo, Marco, ad entrare nelle grazie del personale, dirigente scolastico compreso. Tanto per non farsi mancare nulla, tre anni fa il giornalista-pubblicista: scrive cioè per siti e giornali, quando il tempo glielo permette.

Dunque, Marco, e i suoi titoli di studio conseguiti con lode: una triennale in “Scienze della Comunicazione” e in “Informazione e Sistemi editoriali”. Attualmente studente per laurearsi in “Economia aziendale” (“Relazioni di lavoro”). E poi, poi, poi, Marco, a tempo perso, ha studiato per aggiungere al suo già ricco palmares il “diploma di collaboratore scolastico”. Della serie «Ma tutto torna utile», ecco che la ruota di scorta, quel diplomino che non ha la stessa importanza delle due lauree già intascate, ma che non hanno ancora prodotto niente di nuovo, diventa più strategico di ogni altro titolo di studio.

Marco, si diceva, infatti fa il bidello. A Recanati, nell’Istituto d’infanzia “Aldo Moro”. Ogni mese mette in tasca 650euro, lavorando part-time. Lavoro sì umile, ma di grande responsabilità, come ogni attività che si svolge con il massimo impegno. Questo lavoro pare sia l’ideale per il giovanotto marchigiano: rispecchia la sua voglia di non fermarsi alle soddisfazioni, ma di fare di ogni traguardo conseguito un punto di partenza. Del resto, dai bidelli, ha spiegato fiero al Corriere, dipende la vigilanza e la pulizia dei locali, oltre che la sicurezza degli alunni dall’intervallo, passando per l’assistenza ai disabili fino al carico-scarico dei materiali.

Primo diploma nel 2017, liceo delle Scienze Umane. Senza perder tempo fa domanda e si mette in graduatoria tra il personale Ata (Amministrativo tecnico ausiliario) delle scuole della sua provincia. Per essere assunto non c’è bisogno di un concorso, sono sufficienti i titoli (almeno un diploma professionale di tre anni) e ventiquattro mesi di servizio, trentasei ore settimanali.

graduation-879941_960_720LAVORO E STUDIO

«Quest’anno – ha detto Marco, intervistato dal Corriere della sera – lavoro in un asilo, quindi sono a stretto contatto con i bambini; fra le mie mansioni c’è di tutto: dal lavare i pennelli ad accompagnare in bagno chi ne ha bisogno. E, naturalmente, anche pulire i locali. Mi ritengo, però, una figura educativa in senso pieno. Al liceo delle Scienze umane dove mi sono diplomato, ho studiato psicologia e pedagogia. Nel mio lavoro cerco di portare me stesso: non urlo mai, non sgrido mai nessuno. E, visto che suono il pianoforte, a volte porto da casa la mia tastiera e ci mettiamo a cantare insieme».

Quest’anno stipendio dimezzato. «Lavoro solo part-time perché devo studiare per gli esami, quindi il mio è uno stipendio a metà: circa 650 euro lordi al mese», dice ancora Marco.

Ma il “bidello” punta in alto. «Non mi dispiacerebbe restare nella Scuola, magari per arrivare a fare il dirigente contabile e amministrativo (uno dei due ruoli apicali della scuola, accanto a quello del preside, ndr). Oppure lavorare in azienda. Ma intanto sono molto orgoglioso di tutte le esperienze lavorative che ho già fatto».

Ma attenzione, Marco confessa qualcosa che era sfuggito a qualcuno: lui non sarebbe l’unico bidello con laurea. «Pensavo di essere fra i pochi laureati a fare questo lavoro – quasi si stupisce davanti al taccuino del suo collega-giornalista – perché, quando, due anni fa, il mio nome finì nelle cronache locali, ricevetti tanti messaggi di gente nelle mie stesse condizioni». Non è confortante, anzi, anche questo è segno dei tempi. Quarant’anni fa, in “Acqua e sapone”, Carlo Verdone – nel film un laureato con mansioni di bidello – ci aveva già provato. Se, alla fine, ce l’ha fatta l’attore-regista romano tanto vale insistere, laurearsi un’altra volta e puntare, dritto, a un posto da amministrativo. A vita.

A piedi, trenta chilometri per lavoro

Walter, un’impresa nel primo giorno del suo lavoro

Una storia accaduta davvero. Un ragazzo nero, americano, lascia il suo posto in un’attività dove serve panini e hamburger. Deve lavorare in un’azienda di trasporti: all’indomani è il suo primo giorno di lavoro. La sua vecchia auto non parte e, allora, decide di mettersi in cammino per otto ore. Cosa accade lo scoprite leggendo questa incredibile vera storia

pexels-photo-13998876Caspita, Walter che impresa. Accade tutto in un giorno, il suo primo giorno di lavoro in una nuova attività, un’azienda di traslochi. Walter è un ragazzo nero, abita in una cittadina dell’Alabama, negli Stati Uniti. Segni particolari: un sorriso contagioso e una gran voglia di lavorare. Non sa di avere un problema: la sua auto vecchiotta non parte, non trova un’alternativa per recarsi sul posto di lavoro, così senza pensarci due volte decide di fare poco più di trenta chilometri a piedi. Come se non bastasse, la sfida, quei chilometri, passo dopo passo, si trasformano in una favola. Ma andiamo per gradi.

Ditta di traslochi. Lavoro duro, di quelli che ad un ragazzo, giovane, che ha studiato, ma vuole dare una mano alla famiglia, spezzano la schiena. Sarebbe stato il caso di studiare ancora un po’, oppure continuare a fare il lavoro che svolgeva, in un fast-food, con qualche centinaio di dollari in meno, rispetto a quella che lo stesso Walter ha definito “l’occasione della vita”. Ne avrà altre di occasioni questo ragazzo. Intanto perché ha un grande senso di responsabilità: ha appena firmato un contratto e il primo giorno di lavoro non può fare tardi, o peggio, assentarsi.

pexels-photo-2244746L’AUTO NON PARTE…

Il pomeriggio prima di recarsi al lavoro, prova a mettere in moto la sua modesta auto. Quel mezzo avrebbe bisogno di una revisione, ma non può lasciarlo così, su due piedi. Il primo pensiero lo rivolge al lavoro: all’indomani deve marcare il primo giorno, giro di telefonate agli amici con i quali si impegna oltre ogni ragionevole proposta: nessuno è disponibile. Peccato.

L’unica alternativa: andare a piedi fino alla casa dove i colleghi dell’azienda di trasporti sarebbero stati ad attenderlo. Il nuovo lavoro si trovava a circa 20 miglia, poco più di trenta chilometri (trentadue, per essere precisi…). Significava camminare per circa otto ore, per trovarsi all’indomani alle otto in punto davanti a quella casa per cominciare a imballare cartoni, spingere, caricarsi mobili e riempire uno, due camion e poi fare l’operazione al contrario nel nuovo domicilio dei committenti.

Parte a tarda sera. Verso le quattro del mattino, si accorge che sta rispettando la sua tabella di marcia. Si siede e riposa un po’. All’improvviso un’auto della polizia lo affianca, segnala al ragazzo, gli chiede se non ci siano problemi. Walter ha un sussulto, pensa che il poliziotto potrebbe anche non credergli. E, invece, quel poliziotto di pattuglia con un suo collega, credono al ragazzo, tanto che lo accompagnano a destinazione. Prima di caricarlo in auto gli offrono da mangiare. Walter, dunque, è di colpo baciato dalla fortuna. Ha riposato le gambe, si è messo in sesto con quella cena-colazione fuori orario.

COLPO DI SCENA

Colpo di scena, Walter arriva davanti alla casa in cui avrebbe aiutato a traslocare prima delle sette del mattino. Viene accolto dalla signora che ha finito di imballare gli ultimi pacchi, sente la sua storia, si commuove, lo fa entrare in casa, si complimenta al telefono con un responsabile della ditta di autotrasporti: avete dipendenti efficienti, che sanno cosa sia il sacrificio. Intanto il resto dei colleghi–traslocatori non tarda a raggiungere la casa, così Walter conosce alcuni dei suoi nuovi colleghi di lavoro. Squadra perfetta, come Walter, anche lui in perfetta forma. Il ragazzo riesce a lavorare nonostante fosse poco riposato. Nessuno avrebbe potuto immaginare che avesse camminato tutta la notte per arrivare a destinazione.

La signora apre una pagina su Facebook, raccoglie danaro per acquistare una nuova auto per il ragazzo che ha compiuto quell’impresa straordinaria. Non è finita. L’amministratore delegato dell’azienda nella quale ha cominciato a lavorare Walter, vuole che quel ragazzo sia un esempio per tutti.

Ma un’altra persona ha voluto ringraziare Walter: l’amministratore delegato della sua nuova azienda. Tanto che lo convoca e, udite udite, davanti al resto del personale gli consegna le chiavi un’auto. «E’ tua, Walter!». L’impegno del ragazzo, aveva spiegato l’a.d. dell’azienda, era andato oltre le aspettative ed era diventato di colpo un esempio lampante per tutti gli altri dipendenti.

pexels-photo-7464232UN ESEMPIO DI IMPEGNO

Un’auto a gratificare un grande impegno, che se non fosse stato per quegli agenti di polizia, quella signora che doveva traslocare e aveva aperto una pagina su un social, sarebbe passata inosservata. Sì, un’impresa come tante. Come quelle che molti ragazzi che abbiamo conosciuto in questi anni in cooperativa, hanno compiuto. Chi scrive ha accompagnato a Massafra uno dei ragazzi che aveva preso parte ad una funzione religiosa in una chiesa fuori città. Quella funzione finì tardi e Samuel, anche lui nero, un sorriso di quelli che non dimentichi facilmente, senza dire nulla si era incamminato a piedi verso casa: diciotto chilometri! «Samuel dove stai andando?».

«Domani devo andare in un campo, a raccogliere frutta, è una giornata di lavoro, ho un contratto e non posso permettermi di perdere una giornata di lavoro».

Non mi fossi accorto, Samuel avrebbe proseguito dritto, a piedi, per Massafra. Al buio e su una strada che anche di giorno mette paura. Ricordo come se fosse ieri. Lo accompagnai fino a sotto casa. Mezz’ora dopo, una telefonata: era lui. «Tutto bene?», mi chiese, «Sei tornato a casa? Bene, Dio ti benedica!». Si era preoccupato per me. Quella telefonata era valsa più di ogni altro grande regalo avessi potuto avere da questa esperienza con tutti questi ragazzi che nascondo, tengono strette piccole, grandi storie di grande umanità.

Puglia, che pizzerie!

Regione fra le più celebrate dal Gambero rosso

Trenta in Puglia nella guida stilata dalla società leader nel settore della ristorazione. Onore alle nostre province e agli imprenditori che hanno sempre creduto alle mille possibilità che aveva questo angolo d’Italia. Anche in momenti particolarmente critici. Nonostante pandemia e i recenti aumenti di prodotti, energia elettrica e gas

pizza-in-PugliaSono trenta le pizzerie in Puglia fra quelle italiane, nella guida stilata dal Gambero Rosso. La società leader in Italia e nel mondo nei settori del mangiare e del bere attraverso editoria, tv, eventi e formazione, quest’anno ne ha premiate cinque nella provincia di Bari, tre a Foggia ed in provincia, due nel Brindisino, ben quindici tra Lecce e provincia, tre nella Bat, due in provincia di Taranto, entrambe di Martina Franca: “Pomodoro e Basilico” (87 punti e due spicchi di pizza) e “Jonny” (77 punti ed uno spicchio di pizza).

La guida Pizzeria d’Italia del Gambero Rosso, che quest’anno ha selezionato settecento attività italiane nel campo della ristorazione con una sorta di appendice nella quale sono state valutate le migliori pizzerie italiane nel mondo. Più di cinquanta, quelle scelte da Top Italian Restaurants, che quest’anno ha tagliato il traguardo dei dieci anni. La cerimonia di assegnazione dei riconoscimenti si è svolta al Palacongressi della Mostra d’Oltremare di Napoli. Sul palco alcuni fra i più grandi maestri pizzaioli d’Italia. Novantasei le pizzerie “al piatto” (Tre Spicchi) e dodici pizzerie “al taglio” (Tre Rotelle) con novità e conferme. Presenti come per la scorsa edizione e le precedenti, spiccano come sempre i grandi maestri della prima ora, che hanno avuto l’intuizione di compiere passi in avanti in perfetta sintonia con i tempi. A questi autentici maestri del settore è, infatti, dedicato il riconoscimento dei riconoscimenti (Stelle) in quanto negli ultimi dieci anni hanno ottenuto sempre “Tre Spicchi” e “Tre Rotelle”. Nove, quest’anno, sono stati i premi speciali.

CONCORRENZA AUTOREVOLE

Anche in Puglia, come si evince dalle ultime classifiche, ci sono pizzerie che possono entrare in stretta concorrenza con il territorio che per elezione può essere considerato il numero uno al mondo: la Campania. In principio era Napoli la culla della pizza, poi con il passare del tempo, i maestri pizzaioli sono stati contesi dai migliori ristoranti e pizzerie della Campania, da Capri a Ischia, da Procida a Sorrento, e chi più ne ha più ne metta.

Detto della Campania, però, anche il Tacco d’Italia, la Puglia, può vantare massima soddisfazione. La parte del leone, all’interno di questa speciale classifica la riveste il Salento, con quindici pizzerie. Del resto è proprio il Salento il grande attrattore che convoglia nella nostra regione ogni anno milioni di turisti. Proprio in virtù di questo richiamo, anche le vicine province ricche di cultura e tradizioni gastronomiche, si sono attrezzate. Così nelle altre province, da Taranto a Bari, proseguendo con Brindisi, i ristoratori si sono attrezzati di conseguenza.

Nella nuova Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso – fa sapere il brand leader nella ristorazione – è emerso uno spaccato della nuova normalità post pandemia. Non è un caso che le pizzerie siano state fra le prime attività a registrare il tutto esaurito, con un settore che ha dato prova di grande vitalità e capacità di reinventarsi e rinnovarsi.

pizza-pala-alfa-forni-600x379PIZZA ALLA PALA, MA ANCHE…

Molti i pizzaioli che hanno migliorato, diversificando, per esempio, gli impasti per sottoporre alla clientela specialità sempre diverse: oltre alla tradizionale pizza alla pala, infatti quest’anno sono state considerate piccole “opere” pizza in teglia, pizza al padellino, pizza al vapore.

Per non parlare di quanto, nel frattempo, come già segnalato lo scorso anno, vale a dire gli orti di proprietà per assicurare una pizza sempre più agricola e sostenibile. Cresciuta l’offerta del bere con bevande sempre più centrate, con un consolidamento del binomio pizza-cocktail, con un servizio in sala iperprofessionale.

Considerando i parametri utilizzati anche quest’anno dal Gambero rosso, dunque, non si può che essere lieti di una “chart” che rende onore alla Puglia, alle attività del posto e agli imprenditori che hanno sempre creduto alle mille possibilità che aveva questo angolo d’Italia in periodi particolarmente critici: quello che gravitava intorno al lockdown o pandemia che dir si voglia, e, a seguire, quello del conflitto Russia-Ucraina con aumenti esponenziali circa prodotti, energia elettrica e gas.

«Antonio, 110 e lode!»

Ventitré anni, pugliese, un esempio per tutti noi

Affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo, ha conseguito una laurea col massimo dei voti. La sua emozione e quella di mamma Lucia. I complimenti di colleghi, docenti e rettore. «Sogno l’insegnamento, per quanto non mi dispiacerebbe fare il bibliotecario», dice il neolaureato.

Foto Corriere del Mezzogiorno

Foto Corriere del Mezzogiorno

«Studiare il passato aiuta a costruire un futuro migliore». E’ il pensiero di Antonio Losavio, ventitré anni, castellanese, appena laureatosi con 110 e lode all’Università “Aldo Moro” di Bari e Taranto. Stretta di mano, applausi e, a seguire, spumante per tutti, è avvenuto a Bari. Mamma visibilmente commossa, emozionati anche il rettore Stefano Bronzini, il questore Giuseppe Bisogno e l’onorevole Gero Grassi.

Antonio, ventitré anni, ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo in cui chi ne è colpito fatica a capire i pensieri e le emozioni delle altre persone, con conseguente difficoltà a interagire. «Dovreste pensare a noi Aspie – dice, senza giri di parole, chi ne è stato colpito – come a robot da programmare: più siete precisi con noi e più riuscite ad ottenere ciò che chiedete». E non finisce qui, aggiunge: «Attenzione, non è trattarci da deficienti: è, invece, solo parlare il nostro linguaggio».

Il percorso, insomma, è complicato. Non ha aiutato molto a comprendere di cosa parliamo, “Rain man”, film magistralmente interpretato nell’88 da Dustin Hoffman. La sindrome di Asperger è anche altro. «Il suo obiettivo, alla fine della scuola elementare, era quello di riuscire a scrivere una fase di senso compiuto – spiega mamma Lucia – oggi, dopo la triennale di Storia e Scienze sociali, ha un sogno: diventare un insegnante». Il primo passo, Antonio, lo ha compiuto, con il massimo dei voti, con grande orgoglio, compreso quello di chi lo ama, e sono tanti, compagni di corso, docenti e gli amici di tutti i giorni.

Foto La Repubblica

Foto La Repubblica

DA CASTELLANA GROTTE…

La storia, interessante, l’ha pescata fra le mille notizie che circolano fra le strade e i social, Repubblica, il quotidiano che nell’edizione regionale Antonio lo ha anche intervistato. Autore del servizio, brillantemente riportato e scritto, si dice in gergo, in punta di penna, Gennaro Totorizzo, cui vanno anche i nostri complimenti.

Per la storia, ha scritto Totorizzo, che da cronista ha raccolto appunti e steso l’articolo, spiegandoci che Antonio ha un’inclinazione naturale oltre che una grande passione, considerando che riesce a memorizzare perfettamente date ed eventi, per esempio. Ma nel percorso universitario è andato oltre le nozioni: la conquista più grande per lui è stata aprirsi e tessere relazioni con compagni e docenti, quando all’inizio faticava persino a stabilire un contatto visivo. Alla seduta – nella quale ha discusso una tesi su Aldo Moro e i costituenti – una grande festa.

Antonio e la scelta di questa facoltà. «Quando frequentavo l’Industriale, alle superiori, avevo sviluppato una forte passione per il campo umanistico e la letteratura, cresciuta poi anche per la storia: in particolare sono molto appassionato di rivoluzione industriale, sviluppo delle invenzioni, Risorgimento italiano e prima e seconda guerra mondiale; penso che studiare il passato aiuti a costruire un futuro migliore ed è anche importante attraversare le epoche precedenti attraverso le fonti arrivate a noi nel corso di centinaia e migliaia di anni».

L’approccio agli studi, all’università. “Amo studiare, mi ritengo un ragazzo curioso – dice Antonio – nel corso di questi quattro anni ho vissuto momenti indimenticabili: ho fatto amicizia, per esempio, con due signori che si sono iscritti all’università nonostante la maggiore età, un sessantenne ufficiale della Marina e un settantenne ex Consulente finanziario, entrambi in pensione. Tra i corsi che mi sono piaciuti di più: quelli di Letteratura italiana contemporanea, Storia medievale, moderna e contemporanea, così come quella Greca e romana, ma anche Storia del cinema».

Foto: FanPuglia

Foto: FanPuglia

…A BARI

Ma come più di qualche studente, anche Antonio non ha un buon rapporto con tute le materie. «Ho difficoltà a studiare argomenti più astratti, come quelli di filosofia, sociologia e diplomatica: mi toccava spremere le meningi ogni volta ed elaborare i concetti molto intensamente per riuscire a trovare un senso».

Nel frattempo, a detta dello stesso neolaureato, è migliorato nelle relazioni sociali: grazie a colleghi e tutor è riuscito a cavarsela e a prendere appunti durante le lezioni. Senza loro, confessa, non ce l’avrebbe fatta. E’, infine, consapevole di aver fatto qualcosa di eccezionale. «Tutto questo mi fa sentire come se fossi una campana di Pasqua che suona continuamente – ha spiegato a Repubblica – allo stesso modo, continuo ad essere davvero, davvero felice; anche durante la proclamazione, per tutto il tempo sono stato davvero gioioso – forse come non mai nel corso della mia vita – per questo traguardo raggiunto. Mi sento come se ci fossero fuochi d’artificio a scoppiare nel cielo».

Un pensiero rivolto a qualche studente in difficoltà e un pensiero al personale futuro. «Agli studenti: seguite le vostre passioni, utilizzate le risorse e contare sulle vostre forze; voglio conseguire la Magistrale in Scienze e documentazione storica. Lavoro? Mi piacerebbe, un giorno, insegnare oppure diventare un ricercatore storico o un bibliotecario». Questo il nostro Antonio, al quale vanno i nostri complimenti per aver piegato pregiudizi e una sindrome che non si riesce ancora a debellare. Merito di questo successo, oltre alla determinazione di fare, stupirsi e stupire di Antonio, di amici, colleghi, docenti, rettore e quanti, anche in piccola parte hanno contribuito a fare di lui un grande esempio per tutti noi.