Specchia tra le parole e l’esempio
Ha ragione Oscar Iarussi che nel suo commento sulla Gazzetta dopo tragici fatti di Specchia, ha scritto che «nonostante il pudore che spingerebbe a tacere, viene il sospetto che le parole servano: pacate, riflessive, ferme». La tragica storia di Noemi lo chiede. Ma chi ha il diritto di parlare? «Quelle dei giudici, quando toccherà a loro. Quelle degli adulti, ogni giorno» aggiunge Iarussi.
Già, gli adulti: genitori, educatori e insegnanti prima degli altri hanno un «dovere di prelazione» di usare le parole, ma ancora di più l’esempio. Le parole senza una testimonianza credibile non servono.
Perché il rispetto dell’altro sesso è materia che i giovani (ma non solo) hanno bisogno di vivere, non di ascoltare. L’atrocità di quanto accaduto non può non interrogare sul livello di testimonianza che oggi i «grandi» sanno offrire: i modelli propinati dalle aberranti trasmissioni come Temptation Island, Grande Fratello, Geordie Show e altro dominano in modo incontrastato l’immaginario adolescenziale.
Quando l’autore dell’omicidio di Noemi ha rischiato il linciaggio sfoderando un atteggiamento di sfida con un saluto inquietante e una smorfia derisoria verso la folla, probabilmente ha solo cercato di (a modo suo) di apparire ciò che non è. Forse ha solo rielaborato quei modelli di cui si è imbibito. Probabilmente ha sentito la necessità di sfoggiare, sfidare, osare, non mostrare debolezza. Eppure «tenerezza e gentilezza – scrive Khalil Gibran – non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e di determinazione». Quel ragazzo ha sbagliato e deve essere punito secondo ciò che prevede la legge. Indubbiamente. Ma non servirà a nulla se tanti altri non saranno toccati dalle parole e dalla testimonianza di chi – coi fatti – è in grado di raccontare il rispetto per l’altro. Chiunque sia.