Enzo Garinei, novantaquattro anni, una vita dedicata al “tavolaccio”

«Amo questa terra, gli occhi delle donne del Sud», confessa il grande attore romano. «Palcoscenico, cinema e tv; Pietro, mio fratello, e Sandro Giovannini, star del “Sistina” e delle commedie musicali. Gino Bramieri, un grande. Totò e le due anime, attore e principe». Non ha paura dell’età, «vivo alla giornata, penso a Peppino, Fabrizi, Taranto, Modugno e Manfredi che “lassù” stanno allestendo lo spettacolo più bello del mondo».

Novantaquattro anni e non sentirli, settanta spesi sulle tavole dei palcoscenici italiani. Tra un impegno e l’altro, il cinema, i film con Totò, poi Sordi, Celentano, Pozzetto, Tomas Milian, Bud Spencer e Terence Hill, rivista e commedie brillanti, la tv con Bramieri e Vianello. Spalla ideale, generoso comprimario, fratello di Pietro, della Premiata ditta “Garinei e Giovannini”, come dire la commedia musicale italiana (Rinaldo in campo, Rugantino, Aggiungi un posto a tavola), Enzo Garinei è uno che ama il teatro e questo angolo d’Italia.

«Il teatro è galantuomo”, attacca infatti, quando parla del lavoro che tanto gli ha dato, in termini di soddisfazioni professionali e tanto ci ha dato in fatto di allegria e divertimento. Affascinato dal Salento, confessa che il lavoro, complicato dal covid da oltre un anno, “è stato sempre ripagato dall’affetto del pubblico”. Anche doppiatore, tono riconoscibile e familiare, è stato la voce fuori campo (“Dio”) nell’ultima edizione di “Aggiungi un posto a tavola».

 

Di episodi, anche legati al nostro territorio ha da raccontarne a non finire.

«Brindisi, aeroporto. Quella sera in scena a Casarano, non sappiamo come risolvere il problema di spostamento, telefono in albergo, al “Silver” per chiedere informazioni: risponde un signore gentile, mi rassicura in un attimo. In aeroporto, poco dopo arriva un’auto. A bordo del mezzo, bordo proprio l’uomo della reception. Aveva appena staccato dal lavoro: nessun taxi da chiamare, accompagna personalmente in albergo me e i miei colleghi. Non c’è alcun verso di fermarsi in una stazione di servizio perché io possa ricambiare un gesto così gentile, non so con un “pieno”».

 

Senza dubbio un bel gesto, maestro.

«Non finisce qui, all’indomani lo stesso signore ci riaccompagna in aeroporto. Cosa volete che vi dica: benedico questo lavoro, la gente che va a teatro, che quasi come un debito di riconoscenza compie gesti così affettuosi; “Il nostro è solo un modo per ricambiare quanto ha fatto e farà per noi”, mi dicono spesso, e io vado fiero di tutto questo».

 

TOTO’, PRINCIPE E COMICO

Garinei, ama passeggiare per le strade delle nostre città.

«Nella provincia, anche piccola, ci sto bene; se il teatro non è molto distante dall’albergo, esco e faccio lunghe passeggiate: amo guardare le vetrine, entrare in un bar, fare colazione e scambiare due chiacchiere con la gente; poi gli occhi delle donne di qui non li trovi tanto facilmente in giro, esprimono bellezza e solarità».

 

Attaccare con una domanda è un’impresa, non sai da dove cominciare. Proviamo, Totò?

«Il mio debutto nel cinema risale a “Totò le Moko”, poi tanti altri film. Ho interpretato anche una gag che tutti ricorderanno, “Totò cerca moglie” il film: la mia fidanzata e i suoi genitori praticamente miopi, occhiali con lenti spesse. Quando Totò partiva con le sue proverbiali improvvisazioni le risate scoppiavano anche sul set, primo segnale di quello che sarebbe diventato un film di successo. Una grande scuola la sua, con Totò dovevi stare sempre in campana, ti rovesciava un copione come un guanto e dovevi seguirlo con mestiere».

 

Totò e il Principe de Curtis, dicono che fossero diversi fra loro.

«Grande attore sulla scena, uomo riservato nel privato, lontano da pettegolezzi quando appendeva al chiodo bombetta e frac. Un esempio su tutti: non si è mai saputo per chi avesse scritto “Malafemmena”, se per sedurre Silvana Pampanini o perdonare la moglie Franca Faldini per la sofferenza provocatagli prima di cedere alla sua corte spietata. Quando arrivava a Cinecittà, accompagnato dal suo autista, non appena Totò metteva piede sul set e indossava gli abiti di scena diventava un altro, si trasformava nel grande attore comico che tutti conosciamo. Parlo al presente, perché Totò vive nelle cose che ha fatto».

 

Direttore artistico del “Sistina”, a Roma, nella capitale ha aperto una scuola di recitazione, “Ribalte”.

«Un tempo arrivavano folate di ragazzi e ragazze dal Salento. Mi auguro tornino a credere nel teatro, perché è da lì che parte tutto. I miei ragazzi me li trovo ovunque, sono cresciuti professionalmente, diventati star del teatro e della tv.  Quando li incontro faccio loro sempre la stessa raccomandazione: se fate la tv, ma amate il teatro, dovete decidervi: il contatto con il pubblico è fondamentale, dunque, tornate a misurarvi con “il tavolaccio”».

 

VECCHIA GUARDIA…

Quando le pongono più o meno le stesse domande, dica la verità, a cosa pensa?

«Che sono uno dei superstiti di una vecchia guardia. Capisco il lavoro dei cronisti. Ripeto spesso, e lo dico sinceramente, non ho paura della morte: tanti colleghi mi hanno solo preceduto. Gli stessi Pietro Garinei, mio fratello, e Sandro Giovannini, il mio grande amico Gino Bramieri. Penso a Totò e Peppino, Fabrizi e Taranto, Modugno e Manfredi. Penso che “lassù” stanno allestendo lo spettacolo più bello del mondo. Per quanto mi riguarda, faccio programmi a scadenza solo per il giorno dopo, per il domani; il dopodomani lo vedo già un po’ più distante».

 

Gino Bramieri, ci dica.

«Gino, un fratello. Grandissimo attore, uomo di enorme statura. L’ho assistito nel suo ultimo tratto di vita, nel ’96, con la morte nel cuore: il Premio alla carriera a lui intitolato, consegnatomi a Taranto dal direttore artistico Renato Forte, è uno dei riconoscimenti che conservo con maggiore affetto. Di premi ne ho vinti, molto importanti anche, ma Gino… Gino è una cosa difficile da spiegare».

 

A lui la univa e la divideva la passione per il calcio.

«Lui tifoso dell’Inter, io della Lazio. Ricordo nel ’64 lo spareggio Bologna-Inter per lo scudetto. Andammo all’Olimpico insieme:  io, lui e Pietro, mio fratello. Purtroppo per lui, vinse il Bologna, 2-0. Io, non la davo a vedere, ma tifavo più che per il Bologna, per Fulvio Bernardini, allenatore dei rossoblù. Romano come me, Bernardini era stato calciatore della Roma, ma nel passato anche della “mia” Lazio. Alla sconfitta Gino reagì lanciandomi un’occhiataccia, come a dire: “anche tu…”».

 

Una delle ultime commedie portate in scena a teatro, “Facciamo l’amore” di Arthur Miller. Compagni di viaggio, fra gli altri, Gianluca Guidi e Lorenza Mario.

«Non lo dico per piaggeria, sono stati splendidi. Fra le proposte che mi sono piovute generosamente, con un pizzico di sano egoismo ho sempre scelto la più indicata per me: il lavoro, lo spessore del personaggio, ma soprattutto loro, i miei compagni di viaggio. Guidi è un attore brillante, un regista sapiente e generoso, la Mario una showgirl completa. Quella commedia si apriva con un mio lungo monologo. Non sono un monologhista, amo il botta e risposta, il dialogo serrato, incalzare e attendere. Spalla si nasce e io, modestamente, lo nacqui…».