Vittima di cori gravemente offensivi, il campione reagisce con classe

«…e orgoglioso», scrive sui social il portiere del Milan preso di mira da “alcuni tifosi della Juventus”, puntualizza nel suo sfogo. Il resto dello stadio ha sommerso di fischi quei quattro imbecilli. «Finché potrò usare la voce per cambiare le cose, lo farò», promette. Non vuole impartire lezioni sul razzismo, ma assume una posizione netta, decisa che fa riflettere chi governa il calcio. «Uniti in una battaglia contro un problema sociale più grande del calcio stesso»Conosciamolo meglio attraverso un profilo della società rossonera.

 

Vittima di insulti razzisti all’Allianz Stadium durante Juventus-Milan, Mike Maignan, ventiseienne portiere della squadra rossonera, ha voluto pronunciarsi con un post pubblicato sul suo profilo Instagram.

«Domenica sera all’Allianz Stadium alcuni tifosi bianconeri mi hanno preso di mira con insulti e grida razziali. Cosa volete che dica? Che il razzismo è sbagliato e che quei tifosi sono stupidi?».

Una lettera aperta, una lezione a quanti usano le parole come se fossero sciabolate, seminando i social di odio. Mike, nato a Cayenne, nella Guyana francese, invece, conta fino a tre ed esterna come fosse un fratello di quanti si sono lasciati andare in quei cori irripetibili e stupidi. Roba da branco, perché gran parte dei tifosi bianconeri non solo si è dissociata da quelle urla, ma ha preso a fischi quella sparuta minoranza. Tanto che lo stesso Magic Mike nel suo pensiero scrive solo di “alcuni tifosi”, facendo salva la maggior parte dei presenti nello stadio torinese.

Maignan, riprende. «Non si tratta di questo – razzismo sbagliato e tifosi stupidi – non sono né il primo né l’ultimo giocatore a cui questo succederà; finché questi eventi vengono trattati come “incidenti isolati” e non viene intrapresa alcuna azione globale, la storia è destinata a ripetersi ancora e ancora e ancora…».

 

GRANDE LEZIONE…

Giocatore di grande tecnica, educazione e lealtà sportiva, però, si concede un’entrata dialettica a gamba tesa e pone delle domande, cominciando con il porle a se stesso per primo. «Cosa facciamo per combattere il razzismo negli stadi? Crediamo veramente che ciò che facciamo sia efficace? Faccio parte di un club impegnato come leader nella lotta contro ogni discriminazione. Ma bisogna essere di più e uniti in questa battaglia contro un problema sociale che è più grande del calcio stesso. Nelle stanze che governano il calcio, le persone che decidono sanno cosa si prova a sentire insulti e urla che ci relegano al rango di animali? Sanno cosa fa alle nostre famiglie, per i nostri cari che lo vedono e che non capiscono che possa ancora succedere nel 2021? Non sono una “vittima” del razzismo. Sono Mike, in piedi, nero e orgoglioso. Finché potremo usare la nostra voce per cambiare le cose, lo faremo».

Conosciamolo meglio attraverso un profilo dei profili rossoneri, milanpress.it. La sua carriera – come del resto la sua vita – non è stata sempre facile. Nel 2018 era finito fuori rosa al Lille, ma da lì è ripartito e nel 2019 è stato eletto miglior portiere di Ligue 1. E adesso in nazionale ha scalzato anche Areola diventando il candidato principale a diventare titolare. Da giovane, però, Maignan faceva prima l’attaccante e poi il centrocampista, mentre da bambino, lui – tifoso del Liverpool – sarebbe potuto diventare un delinquente alla Scarface: del resto è cresciuto in uno dei Paesi più malfamati della periferia di Parigi, dove nel 2007 scoppiò una rivolta dopo la morte di un paio di ragazzini inseguiti dalla polizia.

 

…E TANTO DI CAPPELLO

Poi è cresciuto e oggi si autodefinisce «organizzato, esigente, perfezionista e molto rancoroso». Ha uno strano hobby: “Metto in ordine il mio garage, almeno due ore a settimana, così posso trovare tutto anche a occhi chiusi». Un duro dal cuore tenero. «Vincere quattro Champions non ha valore, il vero trofeo è far felice la mia famiglia e rendere fiera mia mamma». Prima di fare il titolare a Lilla, Maignan si è fatto le ossa al Psg: il suo futuro compagno di squadra al Milan Zlatan Ibrahimovic lo prendeva a “sassate” in allenamento e lo insultava se non parava: “Zlatan mi piace, è un tipo vero che ti dice le cose in faccia, ma mi è capitato di rispondergli a tono, anche se all’epoca ero un ragazzino; ricordo un allenamento, avevo diciassette anni, primo anno da professionista: Ibrahimovic calciava pallonate a quattrocento orari, nemmeno dovesse segnare a Buffon o a Julio Cesar. Non riuscivo a parare e allora mi dice: “Sei un portiere di m…”, mi diceva. Quando subito dopo gli parai un tiro, gli risposi a tono: “E tu sei un attaccante di m…”. Sul momento mi ha ignorato, ma poi in spogliatoio mi ha detto che mi apprezzava e ho capito che mi piaceva non solo come giocatore ma anche come persona”.

Altre scintille Maignan le ha avute con lo iuventino Rabiot. “Con Adrien ci siamo quasi menati, la seconda volta che ci siamo visti. Colpa di una battuta che lui ha preso come mancanza di rispetto. È un tipo tranquillo, ma ha un carattere molto forte. Da allora andiamo d’accordo…”. Del resto, se Maignan non avesse avuto una personalità così forte, diciamo pure a soli ventisei anni, non avrebbe scosso il calcio con quelle parole pesanti come macigni proprio perché leggere. Chapeau, Mike magic. Tanto di cappello, magico Mike.