L’ottimismo della pratica.
Un vecchio Maestro quale era Enzo Del Re ci ha lasciato una indelebile testimonianza sulla differenza fra il lavoro e la fatica.
Claudio Frascella ieri, nella rubrica “Storie” (che vi invito a leggere) ha raccontato, meglio, documentato i risultati di un percorso di integrazione che ha portato un gruppo di persone, potenzialmente destinate ad un destino escludente, al raggiungimento di un livello di autonomia che non è solo rappresentato dall’aspetto economico, ma sostanzia la riacquisizione di una dignità, di un ruolo attivo nella società, nella comunità.
Io, da qualche giorno e non so per quante ore senza sentire addosso la fatica, mi dimeno per scrutare, conoscere, prendere coscienza di un problema diffuso quanto sconosciuto che tocca una sfera del mio essere particolarmente sensibile legata ai bambini.
Tutti i bambini sono speciali, ma ci sono bambini che lo sono ancora di più!
“Disturbo dello spettro autistico”, questa la diagnosi che rinvia ad una serie di risposte e ipotetiche soluzioni tecnicistiche che mi hanno riportato indietro negli anni, quando crescevo leggendo “Le conferenze brasiliane” di Franco Basaglia.
Ma, avendo ormai incarnato lo spirito che muove Costruiamo Insieme e rispondendo ad una esplicita volontà da tempo espressa dalla Presidente, non potevo esimermi dal dedicare tempo/lavoro (non fatica) a questo tema ragionando con gli amici di A.S.F.A. Puglia (associazione fondata da famiglie che vivono quotidianamente la realtà dell’autismo) cercando di mettere in gioco le nostre professionalità per cercare insieme di mescolare le competenze per immaginare di costruire una risposta diversa dai soliti canali istituzionalizzanti senza mettere in discussione la fondatezza delle risultanze scientifiche rispetto ai metodi riabilitativi in uso.
“Da dove partiamo? Da dove iniziamo? Quale obiettivo ci poniamo?” le prime domande che ci siamo posti.
Partiamo dai Maestri, ho detto con grande spontaneità, condividendo una riflessione di Franco Basaglia:
“Un altro caso tipico è quando il parente di un malato si rivolge al medico per sapere come sta il suo congiunto e il medico gli risponde in un linguaggio incomprensibile. Questa è una reazione di difesa del medico, è la conservazione del suo sapere attraverso una relazione di potere che alla fine è l’unica verità del suo sapere. Questo è vero in tutta la medicina dove per esempio il mal di testa si chiama “cefalea”. Scusatemi se gioco un po’ con questi esempi, ma io credo sia bene violentare i medici perché non si capisce perché il medico debba rapportarsi agli altri umiliandoli. La relazione di potere è uno strumento fondamentale di fronte all’impossibilità di risolvere la contraddizione fra il potere e il sapere del tecnico. Tutto questo non cambierà finché il tecnico non avrà sottoposto a verifica la sua scelta della professione, le ragioni di questa scelta. Senza questa verifica, il mal di testa sarà sempre cefalea, il padre dirà al figlio “mangia e stai zitto”, l’uomo continuerà a dire alla donna “ti amo” quando in pratica non sarà vero. Finché non cambia la relazione di potere, non potranno cambiare le condizioni della salute, della vita. Saremo sempre più malati, sempre più folli, sempre più bambini e non saremo mai persone, perché chi comanda determinerà sempre il nostro pensiero in un’unica direzione, e uno più uno farà sempre due.
Noi che sosteniamo “l’ottimismo della pratica” vogliamo sconfiggere definitivamente i tecnici che lavorano nella logica che abbiamo chiamato del “pessimismo della ragione”. Lasciamoci con questa speranza che in futuro possiamo organizzare un mondo migliore”.
Da dove iniziamo?
Dalle cose che riteniamo diano senso al nostro essere parte di una società della quale non condividiamo i processi e gli atteggiamenti escludenti, a partire dalla de istituzionalizzazione e dalla de medicalizzazione dei contesti in cui, oggi, sono costretti i bambini, compresa la lotta a qualsiasi forma di discriminazione a partire dalla scuola.
Con quale obiettivo?
Rompere tutte le barriere che creano isolamento ed esclusione per creare uno spazio di socialità aperto a tutti e all’apporto di tutti capace di rendere naturale, e non veicolata o indotta, la capacità di relazionarsi, di rapportarsi all’altro dentro una dimensione spaziale consona ad un bambino dove ci siano alberi, giostre, giochi, animali, campagna, pineta, mare e, soprattutto, altri bambini in alternativa agli ambienti ospedalieri o allo studio dello specialista.
Seguendo la logica dell’ottimismo della pratica, i bambini avranno quel luogo ispirato dalle Fate che si chiamerà “La Casa di Pandora”!
All’ingresso troverete un cartello con scritto “Da vicino nessuno è normale!”.
E’ solo una opportunità fornita a tutti per fare un’auto analisi e rivedere la propria idea di diversità.
Ciò che per tanti è un problema, per me è una fonte di ricchezza!