Fofana, insulti razzisti durante una gara di Prima categoria
«Non è la prima volta: ho ricevuto insulti, sputi, me ne hanno dette di tutti i colori: non ci ho visto più e ho reagito; accade spesso, a volte piango…». Gran parapiglia, il ragazzo guineano espulso, giocatori a darsele di santa ragione. Ci piacerebbe leggere il referto: gara sospesa per insulti razzisti o per il parapiglia fra avversari?
«Negro di m…!», «Scimmia!», «Tornatene al tuo Paese!». E altro ancora. Ma a che gioco giochiamo? «Era dall’inizio della gara che ricevevo offese simili, alla fine non ce l’ho fatta più e ho reagito, ma ho anche pianto e tanto: non è la prima volta che accadeva una cosa così». Abdoullaye Fofana, ventuno anni, originario della Guinea francese, non ci ha visto più. Era dall’inizio di quella partita di calcio, fra la sua Heraclea, società di Rocchetta Sant’Antonio, e l’Altavilla Irpina, che il ragazzo subiva offese pesanti. Alla fine non ci ha visto più, così all’ennesima offesa subita al suo avversario ha rifilato una sberla.
A quel punto prima l’espulsione, poi la sospensione della gara perché quell’episodio ha generato un gran parapiglia fra le due squadre in campo. Ci incuriosisce il referto arbitrale. Vorremmo conoscere il motivo del triplice fischio finale del direttore di gara: partita di calcio sospesa per insulti razzisti, oppure perché non c’erano più le condizioni per proseguire considerando che le due squadre erano venute alle vide di fatto? Dopo la sberla, infatti, si è generata una gran confusione con i calciatori che hanno cominciato a darsele di santa ragione.
La storia delle offese razziste sui campi di calcio non finisce più. Il pubblico dei grandi appuntamenti di calcio sarà forse anche pronto, le società attente ad educare i propri tifosi, ma nei campi di periferia, con tutto il rispetto per quelle piccole società che fanno salti mortali per divertirsi e divertire piccole platee, la storia si ripete.
SOLITA STORIA…
Anche all’andata era successo qualcosa di simile. Era stato lo stesso Fofana ad invitare i propri compagni a non intervenire. E, invece, è andata a finire in rissa. «Non ce l’ho fatta più – dice il giovane calciatore – pensavo di farcela anche stavolta, ma evidentemente ho chiesto troppo al mio carattere solitamente molto tollerante: quando il capitano della squadra avversaria mi è venuto incontro continuando ad offendermi ho reagito; da lì l’espulsione, giusta sia chiara, perché non puoi colpire violentemente l’avversario, ma forse il direttore di gara avrebbe dovuto prendere provvedimenti nei confronti del mio avversario che dall’inizio della gara me ne diceva di tutti i colori: forse non ha sentito, ma vi assicuro che era un’offesa continua…».
Fofana il giorno dopo. «Smetto di giocare – dice – il calcio è divertimento, è disciplina, è rispetto per l’avversario: dovrebbe insegnare la lealtà, invece, qualcuno pensa che provocando l’avversario e inducendolo a una reazione possa giovarsene, chi può dirlo…”. In realtà nei campi di periferia, negli spogliatoi, dove i ragazzetti provano a scimmiottare – con il massimo rispetto per gli animali – i grandi della serie A, che spingono, provocano, colpiscono, offendono gli avversari. Insomma, se tanto mi dà tanto. Comunque non va bene. Fofana non lo dice, ma nonostante sia giovane, ne ha le tasche piene. “Il presidente della squadra avversaria si è scusato, è giovane come me, ha compreso la mia reazione, si è vergognato di quell’episodio incivile».
Vediamo che farà il presidente, ora. Se richiamerà il capitano, gli sfilerà la fascia dal braccio che solitamente indossa il giocatore di maggiore esperienza, il più rappresentativo, per consegnarla ad un altro giocatore sicuramente più equilibrato. Per natura non ci piace origliare, stare a sentire, ma sarebbe bello ascoltare la conversazione fra il massimo dirigente e il capitano della sua squadra. Se una volta convocato nel suo ufficio insieme con il suo tecnico, gli dirà: «Domenica hai offerto uno spettacolo che avresti potuto risparmiarti, giochiamo al calcio per divertirci e non per offendere gli avversari in modo meschino!»; oppure: «Ma cosa ti è saltato in mente? Purtroppo devo toglierti i gradi di capitano, siamo nell’occhio del ciclone, giornali e tv non fanno altro che parlare di noi, che figura facciamo?».
FATTI, NON PAROLE!
C’è una sottile differenza, ma la sostanza cambia. Perché esiste un atteggiamento di comprensione nei confronti dei propri giocatori e, allora, suggeriamo di accendere un riflettore. Magari, una volta tanto, una delle trasmissioni di Mediaset, “Iene”, “Striscia”, si spostasse al Sud per seguire gli sviluppi di questa storiaccia. Detto che il presidente dell’Altavilla è stato dirigente irreprensibile, ci piacerebbe che quell’episodio fosse di esempio per altri colleghi, altre società che giocando nei dilettanti pensassero di poter godere di una certa impunità, proprio perché lontane dai riflettori.
Fofana, intanto, è tornato sulla sua personale storia. «Ho compiuto mille sacrifici – ha raccontato – fatto un viaggio: sono partito dal mio Paese, arrivato su un barcone dalla Libia, sbarcato in Sardegna, per poi trasferirmi in provincia di Avellino dove vivo e lavoro; come molti ragazzi della mia età amo il calcio, ma dopo quanto accaduto e, forse, dopo una squalifica, quasi quasi smetto di giocare».
E, invece, caro Fofana, permettici di suggerirti di insistere. Divertiti, gioca al pallone. Troverai un pubblico sugli spalti che ti applaudirà, incoraggerà. E’ questa la gara più impegnativa della tua vita, prendere coraggio e farti portavoce di ragazzi come te che cercano una speranza. Non solo la domenica, ma tutti i giorni.