Intervista a Simone Cristicchi e “Abbi cura di me”

«L’indifferenza è il problema principale della società di oggi». Con l’Orchestra della Magna Grecia, a Taranto il cantautore registra tre “sold out” in due giorni. I successi del cantautore, da “Vorrei cantare come Biagio” a “Ti regalerò una rosa”, dedicata al povero Cosimo Antonio Stano picchiato e ucciso selvaggiamente.

E’ stato un grande successo quello registrato da Simone Cristicchi con lo spettacolo “Abbi cura di me” in scena al teatro Fusco di Taranto per tre volte in due giorni (sabato scorso un matinée per le scuole) con l’Orchestra della Magna Grecia diretta da Valter Sivilotti all’interno della Stagione orchestrale 2019/2020 con la direzione artistica del maestro Piero Romano. Ospite, applauditissima, la cantante Amara, autrice di successi, fra questi “Che sia benedetta”. Con l’artista romano, uno degli autori più sensibili del nostro panorama musicale, una lunga chiacchierata su temi diversi e sempre delicati.

Cominciamo dalle fragilità, tema del quale si occupa spesso. «Siamo esseri umani, dunque se viviamo non possiamo non avere riportato delle ferite: alcune di queste, ferite profonde, le ricordiamo: quando eravamo nella pancia materna percepivamo già che atmosfera ci fosse in casa; se ti avevano desiderato, se esisteva armonia: ferite, proprio così, ce le portiamo dietro e dobbiamo avere il coraggio di trasformarle in qualcosa di bello da condividere con gli altri.

Ripeto spesso: non siamo venuti al mondo per essere perfetti, ma per essere veri, e quando ti togli quella maschera di perfezionismo diventi più forte: perché sei te stesso e nessuno può distruggerti. Ho perso mio padre a dieci anni, un dolore che mi ha spinto a chiudermi in me stesso, nella mia stanza. Ma è proprio lì che ho scoperto la cura, la terapia dell’arte; per curare questa grande ferita ho cominciato a disegnare, raccontare, scrivere storie e racconti, e da lì in poi, la musica, le canzoni. Come dice un mio amico, Ermes Longhi: da una ferita può nascere una feritoia e da questa puoi riuscire a vedere l’infinito che esiste oltre. Anche Leonard Cohen dice “in ogni cosa c’è una crepa ed è da lì che passa la luce”, parole sacrosante».CRISTICCHI Foto 01Gran brutta cosa la distrazione, volontaria o, in qualche modo, indotta. «Il problema principale del momento storico in cui viviamo – dice Cristicchi – è la disattenzione, è questa a generare indifferenza. “Avere cura” può sembrare uno slogan, in realtà è un modo di vivere, un ritorno all’essenza, alle priorità: cosa ci serve per essere davvero felici? Alla fine avvertiamo la sensazione che a renderci felici siano poche cose, una di queste è lo stare attenti; non farsi pregare, non farsi addormentare dal frastuono del mondo. Ai ragazzi cerco di comunicare questo: state attenti, rivolgete l’animo verso qualcosa che è fuori di voi, non siate egoisti e attenti al solo vostro orticello. Cominciate, invece, ad immaginare come può essere il mondo e come, questo, può cambiare: il potere, in qualche modo ci addormenta, ci fa sentire inutili, come se ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, scelta, non abbia valore».

Ogni sorriso, ogni piccola azione compiuta può cambiarci una intera giornata. «Un consiglio spassionato: state vicini gli uni vicini agli altri, consapevoli di partecipare a una comunità che non è virtuale, ma reale e che si può toccare con mano. I social con il tempo sono diventati uno specchio per le allodole. Lo slogan iniziale di Facebook e del suo inventore, Mark Zuckenberg, era il seguente: “Mai più soli”. Paradossalmente, invece, siamo diventati più soli. Ci siamo chiusi in noi stessi, schiavi di un telefonino, tanto che oggi è difficile trovare l’essenza a cui mi riferisco: tornare all’umanità, alle poche cose che davvero ci servono per sentirci vivi».

Cristicchi e la forza della parola. «“Abbi cura di me” è dedicato alla potenza della parola, al messaggio che questa riesce a trasmettere. Dice Amara, che ho il privilegio di ospitare nei miei concerti: “la responsabilità del microfono”. Ha perfettamente ragione: avere fra le mani questo strumento non è cosa scontata; salire su un palco significa poter toccare certe corde, andare in profondità, smuovere gli animi, soprattutto quelli dei giovani. Lo scopo è riuscire a dare messaggi che siano riflessioni all’interno di un concerto; vero, si assiste a una esecuzione orchestrale meravigliosa, però l’attenzione deve essere rivolta a questa parola che può davvero cambiare il corso della vita».

Cresciuto ascoltando i nostri grandi cantautori. «De André, De Gregori, Battiato, Fossati, li considero i miei “padri”: con le loro parole hanno cambiato il mio modo di guardare il mondo. Ed è ciò che cerco di fare nel mio piccolo: riprodurre sensazioni simili. Endrigo, poi, è stato in qualche modo il mio mentore; con me condivise un duetto nel mio album di esordio. Sono molto affezionato a lui, con l’Orchestra della Magna Grecia propongo “Io che amo solo te”, che però faccio cantare alla sola platea: un’esecuzione speciale per orchestra e pubblico. Altro omaggio, “Emozioni” di Battisti, che con Mogol ha impresso una bella scossa alla canzone italiana»CRISTICCHI Foto 02Diversi i suoi tributi ai grandi della canzone. Non ci sono progetti simili nell’immediato futuro. «Per ora no, in un recente passato ho reso omaggio a Sergio Endrigo con uno spettacolo dedicato interamente lui, poi a “La Buona novella”, quarto album di De André; oggi, avendo fra le mani un repertorio che rappresenta il mio cammino artistico, riesco spesso ad ospitare contributi di altri artisti. Così capita di cantare “Vorrei cantare come Biagio” e “Abbi cura di me”, due opposti: la prima, divertente, ironica, scanzonata, tormentone dell’estate; l’altra, una sorta di preghiera. E, in mezzo, un intero percorso che mi piace raccontare al pubblico».

Una piacevole scoperta, Amara, sua ospite sul palcoscenico del teatro Fusco. Sembrava vi conosceste da tempo. «Invece l’ho conosciuta la scorsa primavera. Ci siamo incontrati ad Assisi e da lì è nata l’idea di invitarla a cantare in un mio concerto a Firenze: ci sono pochi artisti con cui sento la stessa vibrazione e la stessa voglia di trasmettere dei messaggi forti. Io e Amara siamo sulla stessa frequenza e cerchiamo di bilanciare le nostre due personalità; invitarla sullo stesso palcoscenico e collaborare a questo progetto, per me è una cosa naturale: è lei che fa un regalo a me: i suoi messaggi sono un po’ anche i miei, e i miei sono un po’ anche i suoi. E credo che questo si senta».

A proposito di strumenti potentissimi, la canzone è uno di questi. «In tre minuti riesce a smuoverti quello che hai dentro, a farti sentire emozioni, a trascinarti dentro una storia. “Ti regalerò una rosa” è l’esempio, il mio manifesto: raccontare una storia e mettere al centro che non ha voce, chi è privo di visibilità, in questo caso gli emarginati; ognuno di noi potrebbe cadere nella follia da un momento all’altro ed è proprio questo che ci spaventa nella malattia mentale. Trovo, dunque, interessante utilizzare il palcoscenico, mettere in luce queste realtà di cui poco si parla e dire: “Esiste Antonio Cosimo Stano!”. Lui è uno dei miei “santi silenziosi”, a volte agnelli sacrificali che muoiono per risvegliarci. Nei miei concerti dedico spesso questa canzone all’anziano disabile picchiato selvaggiamente a Manduria, che il caso ha voluto si chiamasse proprio come il protagonista di “Ti regalerò una rosa”: quando penso ad Antonio, immagino che finalmente voli libero, ora che ha fregato tutti trasferendosi in un’altra dimensione. Chi ha compiuto quell’aggressione ha sì una grande responsabilità, ma, attenzione, è anche il mondo ad averne una enorme: che mondo abbiamo costruito, che mondo stiamo dando a questi ragazzi se poi compiono questo tipo di azioni così violente?».