Si è tolto la vita, aveva vent’anni, lascia una lettera e tanti ricordi
«Quand’ero piccolo mi guardavano con affetto e curiosità, poi qualcosa è cambiato», ha scritto tre anni fa sui social. «Avevo trovato lavoro, ma gli anziani proprio non riuscivano a sopportarmi», dice il ragazzo di origine etiope. «Vi prego, non strumentalizzate il gesto di mio figlio; non è stato causato dal razzismo», dice Walter, papà adottivo. «Farò una smentita pubblica, se necessario, il mio ragazzo era molto amato e benvoluto, al suo funerale c’erano tanti ragazzi come lui e intere famiglie; ci sono tante cose di cui tener conto, in questi casi, ma sicuramente le discriminazioni non c’entrano», ha aggiunto papà Visin.
«Chi l’ha fatta finita, Seid? Non ci posso credere, così solare, sempre sorridente». Gigio Donnarumma, portiere del Milan e della nazionale di calcio, è esterrefatto quando gli dicono cosa sia successo a quel ragazzo che aveva incrociato ai tempi delle giovanili della squadra rossonera.
Seid è il giovane ragazzo etiope, un passato calcistico nelle giovanili del Milan, che nei giorni scorsi ha deciso di “farla finita”, togliersi la vita impiccandosi nella casa dei suoi genitori adottivi. «Ho conosciuto Seid Visin appena arrivato a Milano – ha raccontato l’azzurro all’agenzia nazionale Ansa – vivevamo insieme in convitto, sono passati alcuni anni ma non posso e non voglio dimenticare quel suo sorriso incredibile, quella sua gioia di vivere: era un amico, un ragazzo come me». E adesso, caro Gigio, Seid non c’è più. Ci resta una sua lettera scritta, però tempo addietro, prima cioè che il ventenne si impiccasse in casa dei suoi genitori adottivi, a Nocera Inferiore, due passi da Salerno.
«Sono stato adottato da piccolo – aveva scritto tre anni fa, tanto che, come leggeremo più avanti, i genitori adottivi invitano a non attribuire la decisione di Seid a motivi legati al razzismo – ricordo che tutti mi amavano; ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sento che si è capovolto tutto – è uno dei passaggi della lettera – ovunque io vada, comunque sia, sento sulle mie spalle come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone». Non è finita, Seid aveva voglia di riscattarsi, mostrare a chiunque avesse cominciato ad indicarlo. Non sono tutti razzisti, c’è chi infischiandosene di quei pochi che lo evitavano, gli avevano offerto un lavoro. «Ero riuscito a trovare un lavoro – spiegava in una sua lettera di tre anni fa il ventenne etiope – che ho dovuto lasciare: troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me. E, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani non trovavano lavoro».
“COSTRUIAMO INSIEME” E LE STORIE…
Argomenti che abbiamo sentito spesso e dai quali abbiamo preso debita distanza. Si tratta di una minoranza, non tutti sono così. Le pagine di Costruiamo Insieme sono piene di storie molte delle quali a lieto fine. Dolorose all’inizio, poi con il passare del tempo cambiate grazie al processo di integrazione e agli italiani che hanno aperto le porte del Paese e quelle del cuore. L’Italia non è un Paese razzista anche se in Italia ci sono persone razziste. C’è chi invita a non agitare la morte di quel ragazzo come una bandiera. Preghiamo e piangiamo per lui e impariamo a rispettarci.
«Quella lettera era uno sfogo – dice Walter Visin, padre adottivo dell’ex calciatore – Seid era esasperato dal clima che si respirava all’epoca in tutto il Paese, ma nessun legame con il suo suicidio, basta speculazioni». E’ determinato il papà di Seid. «Farò una smentita pubblica, se necessario – prosegue – Seid era molto amato e benvoluto, al suo funerale c’erano tanti ragazzi come lui e intere famiglie; ci sono tante cose di cui tener conto, in questi casi, ma sicuramente le discriminazioni non c’entrano. Non voglio parlare delle questioni che riguardavano mio figlio da vicino, delle sue sofferenze personali. So che era un ragazzo straordinario, e tanto basta: è molto triste che io e mia moglie, nonostante il dolore che ci attanaglia, dobbiamo continuare a ripetere che Seid non se n’è andato via per questo e che non vogliamo speculazioni».
MILAN, BENEVENTO, IL LICEO
Seid, adottato da una coppia di Nocera Inferiore, aveva debuttato nelle giovanili del Milan, poi era tornato a casa a studiare e prendersi il diploma di liceo scientifico. Giocava ancora a calcio, ma nella squadra di “Calcio a 5” dell’ Atletico Vitalica. L’estremo saluto nella chiesa di San Giovanni Battista a Nocera Inferiore, accompagnato dalla famiglia e dagli amici che indossavano una maglietta con la scritta «Arrivederci fratello. Ciao talento».
La giovane ex promessa del calcio, che aveva militato anche nel Benevento, tre anni fa aveva denunciato in un post su Facebook atteggiamenti razzisti, anche se i genitori del giovane – come anzidetto – hanno specificato che non vi è alcun legame tra i fatti raccontati in quello sfogo e il gesto estremo e hanno stigmatizzato il tentativo di strumentalizzazione delle parole del figlio.
Anche i i suoi compagni dell’Atletico, che lo avevano salutato via social ricordandone il sorriso, «l’indiscusso talento, la naturale straordinaria predisposizione a dare del tu alla palla, che restano impressi nella nostra mente e la refrattarietà a vedere il calcio come fonte di guadagno: vai via come sei arrivato, lasciandoci attoniti senza parole. A-Dios talento enorme dal cuore fragile».
«La città è affranta per la scomparsa di Seid, per la sua giovanissima età, per la sua storia, per come se ne è andato, per il suo talento e la sua eleganza”, ha dichiarato all’agenzia AGI il sindaco di Nocera Inferiore, Manlio Torquato. “Non sappiamo cosa dire per una tragedia simile – prosegue il primo cittadino – forse ora non è il momento di farsi domande: ci sarà il tempo, ammesso che ci sappiamo dare risposte».
«Il cuore dell’uomo è il mistero più grande: ci sono cuori fragili che implodono – ha detto don Andrea Annunziata nel rivolgere l’ultima preghiera al ragazzo – quello di Seid è uno di quelli: non deve più accadere, a lezione che siamo chiamati a imparare è quella che ci vede impegnati a uscire dalle solitudini».