Niccolò, un eroe dei nostri tempi
Archeologo, ha raccontato di un contratto debole in tv, ha fatto rimbalzare il servizio televisivo sui social: incarico ritirato. Ne avevano parlato ad “Agorà Estate” (Rai) e scritto su Fanpage: prima che intervenisse qualcuno, sono arrivati i “datori”. Solita storia, raccontare posizioni scomode, gestite con costose partite Iva, non va bene. E la storia si ripete
Raccontare la propria posizione lavorativa, senza esagerare – perché si corre il rischio di essere smentiti dai fatti – ma riportando solo quale sia il rapporto con una qualsiasi società, azienda, evidentemente non paga. Un gioco di parole che non ci esalta affatto, non può rallegrarci una battuta specie se consumata ai danni di un ragazzo che perde il suo posto di lavoro. Si chiama Niccolò, un eroe dei nostri tempi, grami purtroppo, al quale non va giù tutta una serie di impegni che lui e altri colleghi, tanti sparsi ovunque, deve assumere in cambio di pochi euro all’ora.
Fanno bene programmi come “Agorà Estate” (Rai) e siti, coraggiosi, come Fanpage, con tanto di cronisti d’assalto (come Enrico Tata), che riprendono servizi che correrebbero il rischio di passare in cavalleria se non fossero in qualche modo “taggati”.
Ma che è successo a Niccolò. «La mia paga – aveva raccontato in tv – arriva a sei euro netti l’ora: il mio lavoro consiste nel tutelare i Beni archeologici che possono essere rinvenuti durante i lavori di edilizia stradale. Lavoriamo come “partite Iva” e, quindi, non abbiamo alcun bonus del lavoro autonomo, ma abbiamo tutti malus della partita Iva: non abbiamo tfr, non abbiamo ferie pagate, non abbiamo malattia e non possiamo accedere agli ammortizzatori sociali».

Foto Lastampa
LAVORO GIOVANILE, UN DISASTRO
Situazione disastrosa, quella di Niccolò, che fa il paio con le tre storie di quei tre ragazzi – da noi riportata in questi giorni – che pur di non stare a casa, andavano a lavorare in un ristorante o lavare le scale. Niccolò è un giovane archeologo romano intervistato da una giornalista del programma televisivo della Rai “Agorà Estate”. Alle telecamere racconta dei tantissimi lavoratori, come lui, impegnati in musei e siti archeologici italiani, costretti a lavorare con uno stipendio bassissimo e senza tutele.
Come spesso accade in questo Paese, prima che un politico, un’associazione, una istituzione intervenga, qualsiasi soggetto che potrebbe in qualche modo fare qualcosa, viene nettamente anticipato dalla scure del datore di lavoro. I tagliatori di contratto, maestri in cavilleria sanno come muoversi, così impugnano il contratto di Niccolò e trovano la via d’uscita. Come fare accomodare il ragazzo, che aveva solo manifestato un punto di vista legittimo, con il sedere per terra. Detto, fatto.
Così, torna a raccontare Fanpage.it, Niccolò sarebbe stato licenziato dopo la messa in onda del filmato. «Naturalmente non licenziato in senso tecnico: dato che lavoro a partita IVA, neppure quell’onore posso permettermi», le sue parole rilasciate all’associazione “Mi Riconosci?”, che dal 2015 lotta per cambiare la situazione lavorativa del settore culturale in Italia. «Poche ore dopo che il video del servizio – commenta – era stato condiviso in un grosso gruppo FB di archeologi, sono stato rimosso (senza alcuna comunicazione) dalla chat whatsapp in cui la cooperativa assegnava le commissioni per i vari cantieri».
Quindi, Niccolò? «Quindi, ho perso il lavoro. Mi sembra giusto raccontarlo, perché è segno di dove siamo adesso: siamo ricattabili e ricattati. Non avevo raccontato nulla su quella cooperativa, avevo parlato di un sistema che non va: compensi orari medi intorno ai 6 euro l’ora, obbligo di aprire la partita IVA per lavorare, lavoro “da libero professionista” che in realtà si configura come lavoro para-dipendente senza diritti. Una cosa che qualsiasi archeologo romano, ma vorrei dire italiano, sa. A quanto pare però si può sapere, si può fare, ma non si può dire».

Foto ADNKronos
MA QUALE ATTIVITA’ SUBORDINATA!
«Sappiamo che lavorare in Italia – prosegue Niccolò – come archeologo non è facile, però scontrarsi con realtà di sfruttamento e di lavoro subordinato mascherato da lavoro autonomo è una cosa a cui non eravamo assolutamente preparati».
Prosegue nel suo lavoro da cronista, Enrico Tata. «Ho raccontato la situazione di sfruttamento all’interno delle cooperative delle società archeologiche a Roma e ho rivelato che il mio compenso netto era intorno ai sei euro netti l’ora. Dopo che il servizio della Rai è finito in un gruppo Facebook dove sono presenti molti archeologi di fama nazionale, sono stato estromesso dalla chat di lavoro della società per cui lavoravo».
Bello il lavoro di archeologo, ma solo sulla carta. «Subivamo pressioni attraverso la chat dalla società, che cercava di capire se ci fosse modo di mandarci via prima delle 14.00, per pagarci una mezza giornata», raccontato ancora al sito Fanpage.it. «Sappiamo che lavorare in Italia come archeologo non è facile, però scontrarsi con realtà di sfruttamento e di lavoro subordinato mascherato da lavoro autonomo è una cosa a cui non eravamo assolutamente preparati. Abbiamo una lettera di incarico in cui ci viene somministrato il lavoro come liberi professionisti, anche se come liberi professionisti non abbiamo niente, perché la paga ci viene imposta dall’alto e non abbiamo alcun modo di trattare il nostro compenso. Ci pagano a trenta giorni, ma sono rarissime le società che lo fanno, e spesso a sessanta o novanta giorni». E non è finita, perché «ci sono società che pagano anche a quattro o sei mesi di distanza il primo stipendio». Dovrebbe intervenire qualcuno. Certo, è estate e magari chi potrebbe è steso al sole, rimanda tutto a settembre, possibilmente a quando una soluzione qualcuno l’avrà trovata. C’è, invece, chi in estate lavora: “Agorà Estate”, per dirne una. “Fanpage”, per dirne due.