Billy, ventidue anni, da gennaio è operatore nella cooperativa
«Un contratto, guadagno e mando soldi per gli studi al figlio di un mio connazionale che non c’è più e a mio fratello perché diventi medico. Anche alla mia matrigna, che mi cacciò. Se fai del bene, questo prima o poi ti ritorna…». Ha visto morire in mare centotrenta persone e salvato la vita a Ibrahim, giovane gambiano. Poi un miracolo, anzi due: trova lavoro e il ragazzo tratto in salvo.
«“Costruiamo insieme” mi ha salvato la vita, in tutti i sensi!». Billy, ventidue anni, guineano, operatore, una storia da raccontare, unica nel suo genere, parla della doppia svolta impressa dalla cooperativa nei giorni successivi alla sua fuga da mille problemi, dalla sua Conakry, capitale del suo Paese. «Mi ha assistito da profugo, poi offerto un posto di lavoro come operatore: meglio di così…E’ quello che sognavo, un’occasione per ricomporre i pezzi di una vita fatta di momenti altamente drammatici; avere l’assistenza giusta dopo giorni tremendi trascorsi in mare, successivamente un posto di lavoro, dunque, un guadagno sul quale poter contare, è qualcosa che non potrò mai dimenticare!».
Billy, il sorriso stampato sulle labbra, una voglia di comunicare superiore alla media rispetto a suoi connazionali o comunque extracomunitari incontrati in questi tre anni di Italia. E non solo, la sua storia comincia almeno un paio di anni prima. Prova a fare dei conti a memoria, riavvolge il nastro della memoria per noi, comincia per gradi.
Fosse stato italiano, Billy, spalle impressionanti, sarebbe stato eletto “Uomo dell’anno”: la generosità del giovane guineano va oltre qualsiasi tipo di immaginazione. Americano, i suoi gesti sarebbero stati un film di sicuro successo. Giapponese, grossomodo uno di quei “cartoon” con il quale il Sol Levante ha emozionato per decenni tre, forse quattro generazioni.
IBRAHIM, SALVATO DALLE ACQUE
Dunque, la storia di Billy, in due battute, prima che sia lo stesso ad entrare nel dettaglio. In viaggio per l’Italia l’imbarcazione che ospita centocinquanta ragazzi in fuga dalla Libia, prende fuoco in un attimo. Imbarca acqua, urla, gente in mare, molti muoiono, lui si aggrappa a un bidone vuoto che lo tiene a galla. Vede un ragazzino, Ibrahim, che boccheggia, gli cede quel suo “salvagente”: «Aggrappati, io ce la faccio, ho la forza, tu sei debole…». Intanto intorno sono in molti a scomparire fra quelle acque. Muoiono in tanti, anche un suo connazionale che non abbraccerà mai suo figlio Mamadou. Billy aiuterà la mamma del piccolo, perché possa studiare. E gli atti di generosità di quel ragazzone di ventidue anni, proseguono con un fratello e la sua matrigna, seconda moglie di suo padre che non c’è più.
«Anche mia madre non c’è più – dice Billy – ho tre fratelli, uno vive a Roma, due sono rimasti in Guinea, ci sentiamo spesso, oggi che sono in Italia e ho un posto di lavoro, sia loro che i miei amici sono orgogliosi di me, la vedono come una vittoria anche loro».
Via dalla Guinea. «Problemi soliti, conflitti etnici, una famiglia che non esiste più: una matrigna, seconda moglie di papà, mi fa secco: “Qui non c’è posto per un’altra bocca da sfamare!” e cinque anni fa mi sbatte fuori di casa. Mi fermo otto mesi in Algeria, faccio il muratore, metto qualcosa da parte, ma sempre poco per pagarmi il viaggio per andare in un Paese nel quale finalmente smettere di soffrire; la situazione in Algeria degenera, molti stranieri vengono accompagnati alla frontiera, praticamente cacciati; io che non voglio subire questa umiliazione, faccio da solo, prendo quella poca roba che ho e vado in Libia».
MURATORE, BOTTE E FUGA
Anche lì, Billy, compie più di un sacrificio. «Faccio il muratore – spiega – i lavori dove occorre metterci la forza non mi hanno mai spaventato; lo faccio per un anno, con due brutte parentesi, finisco infatti due volte “dentro”, in una di quegli stanzoni che utilizzano come fossero galere: mi tengono sottochiave, una volta per un mese, un’altra volta per tre settimane; mi sfilano dalle tasche quei pochi spiccioli appena guadagnati, vogliono che mi faccia riscattare dai miei parenti che avrei ancora in Guinea; gli spiego che non ho più i genitori, me la cavo con un po’ di botte, prese di santa ragione: sempre meglio quelle che un colpo di fucile alla schiena mentre tenti di scappare».
Non uno, ma due viaggi della speranza. Il primo una tragedia. «E’ il 27 settembre di tre anni fa, trecento euro, salgo su una imbarcazione che salpa dalla Tunisia; in mare aperto il barcone sul quale viaggiamo in centocinquanta, stretti come tante sardine, prende fuoco e comincia a imbarcare acqua: urla che ancora sento nelle orecchie, qualcuno resta intrappolato e cola a picco con il barcone, altri si lanciano in mare, fra questi c’è chi non sa nuotare, chi a malapena riesce a stare a galla comunque provato dalla grande fatica; trovo un bidone vuoto, galleggia, mi ci tengo stretto, fra corpi che scompaiono fra le onde e altri che tornano a galla privi di vita: un dolore tremendo al cuore, non c’è più un mio connazionale, Thierno, non abbraccerà nemmeno una sola volta il suo piccolo Mamadou, il figlio rimasto in Guinea fra le braccia della mamma. Una carneficina: da centocinquanta, alla fine ci salveremo in venti!».
«CENTOTRENTA PERSONE MORTE IN MARE!»
Urla strazianti, in mare c’è anche il giovane Ibrahim, un gambiano. «Debole – ricorda Billy – l’ho avvicinato e gli ho offerto il mio bidone-salvagente al quale lui si è aggrappato con tutte le sue forze: non ci ho pensato due volte, io mi sentivo forte, lui non ce la faceva più. La riva era lontana, tre marocchini a larghe bracciate ci avevano provato con scarso risultato. Qualche ora dopo, una petroliera dalla quale ci fanno segno di aggrapparci, ci trascinano non lontani dalla spiaggia: salvi!».
Il secondo viaggio, quasi due mesi dopo. «E’ il 15 novembre del 2015. Tornati a riva, io e gli altri scampati alla morte, dormiamo in un capannone abbandonato, poi ecco la seconda occasione: ci imbarchiamo insieme ad altri, stavolta non vogliono soldi, evidentemente abbiamo già dato… Alle 23 siamo in mare, alle 2, dunque due ore dopo, siamo a bordo dell’Aquarius, il Cielo benedica la nave e il suo equipaggio. Arrivo a Catania, in bus fino a Taranto, fra le braccia di “Costruiamo Insieme”».
Finalmente salvo, poi un altro sogno. «A gennaio – riprende il sorriso, Billy – arriva il contratto di “Costruiamo Insieme”: senza parole dalla gioia, con quello che guadagno come operatore aiuto il piccolo Mamadou, rimasto senza papà, a studiare; mio fratello a laurearsi medico in Guinea; anche la mia matrigna che mi allontanò: mi ripete “Dovresti odiarmi, non merito il tuo affetto!”. E io: “Faccio del bene, prima o poi mi torna: lavoro per “Costruiamo”…». Non è finita. «Qualche settimana fa, passeggiando sul Lungomare di Taranto ho incontrato Ibrahim, mi ha abbracciato e pianto di gioia, io con lui: è vivo, a Martina Franca, sta bene ed è quello che più conta. Visto? Se fai del bene, il bene ti ritorna!».