Mohammed, somalo, condannato a centoquarantadue anni

«Abbandonato in mare aperto da trafficanti turchi insieme con altri trentatré migranti, mi sono messo alla guida dell’imbarcazione», dice. Intervento della Guardia costiera greca, condotto a riva, prima fermato poi arrestato. Secondo il giudice, applicata la legge: chi è alla guida del mezzo è colpevole. Nonostante otto testimoni  stiano dalla parte del giovane, c’è attesa per l’appello. Il caso finisce sul “Corriere”. E con questo, altri quarantotto casi simili. 

 

Mohammed, somalo, condannato a centoquarantadue anni. Un processo che non dura più di tre quarti d’ora, come il tempo di una gara di calcio. Gli avvocati d’ufficio, come spesso accade, si rimettono alla clemenza della Corte, che applica la legge secondo un criterio unico, unilaterale. L’uomo era alla guida dell’imbarcazione, per chi lo ha prima fermato e poi arrestato, Mohammed è accusato di traffico internazionale di esseri umani. Lui, invece, era alla guida di quella imbarcazione con altri trentatré migranti perché abbandonato in mezzo al mare su quella “carretta” dai veri trafficanti, dei turchi che hanno collaudato un sistema remunerativo: acquistano una barchetta a motore, si fanno pagare dal numero più alto possibile da gente disperata, la stipano sull’imbarcazione e l’abbandonano al largo. Da quel momento i poveracci sono in balia di se stessi, a meno che qualcuno non prenda il coraggio a due mani, afferri il timone e, a motore acceso, si diriga verso la spiaggia amica più vicina.

Così ha fatto Mohammed che di esseri umani ne ha salvati trentatré. Fermato dalla Guardia costiera greca, insieme con la barca da lui guidata, non è stato scortato a riva. Il fermo è stato subito tradotto in arresto, processo per direttissima, condanna di centoquarantadue anni. Da non crederci. Accusa e condanna sono stati già impugnati da deputati che altro non fanno che far rispettare i diritti umani.

Lui, Mohammed non si sconfessa. Rifarebbe tutto daccapo. «Non ci penserei su due volte», ha dichiarato davanti al giudice. «Si trattava di salvare la mia vita e quella di altre trentatré persone, per questo dico che rifarei tutto esattamente quello che ho fatto».

 

DICEMBRE SCORSO…

Dicembre 2020. Hanad Abdi Mohammed, somalo, sale sul barcone che deve trasportarlo insieme ad altri “passeggeri” dalla costa turca in Grecia non pensa minimamente cosa sta per accadergli. «Una volta abbandonati in mare aperto al nostro destino dai trafficanti turchi, sono stato subito assalito dalla paura di annegare; tutto immaginavo, che io e la gente a bordo saremmo stati trattenuti per essere identificati, assistiti dopoun viaggio simile, ma non che fossi arrestato».

Cos’era accaduto. Al largo dell’isola di Lesbo i trafficanti turchi avevano abbandonato quel catorcio, uno dei tanti acquistati a quattro soldi, nelle mani dei migranti. Mohammed, non ci aveva pensato su due volte. Aveva afferrato il timone e si era messo alla della bagnarola. Il giovane somalo viene assalito dalla paura, ma l’istinto di conservazione fortunatamente è più forte, così si mette alla guida dell’imbarcazione malconcia.

Scortato dalla Guarda costiera turca, arrivato a terra, Mohammed viene tratto in arresto con l’accusa di traffico internazionale di esseri umani. Tanto che, in primo grado, viene condannato a centoquarantadue anni di prigione.

«È una sentenza ingiusta e crudele», ha spiegato al Corriere della Sera il deputato greco di Syriza Stelios Kouloglou, dopo aver fatto visita a Mohammed in carcere sull’isola di Chios in compagnia di una delegazione di eurodeputati. «Nonostante la situazione, l’ho trovato calmo e lucido», spiega ancora al cronista del Corriere. Per arrivare a questa sentenza, entra nel merito, «i giudici si sono basati su una legge greca del 2014, articolo 30 della legge 4251/2014chi prende il timone è considerato un contrabbandiere e riceve una condanna a 15 anni per persona trasportata e l’ergastolo per ogni persona morta durante il viaggio».

Kouloglou prosegue. «All’imputato sono stati forniti inizialmente avvocati d’ufficio che non hanno studiato il caso e non gli è stata fornita un’appropriata assistenza nella traduzione durante gli interrogatori». L’udienza dura quarantacinque minuti, dopo un’ora e mezza di Camera, ecco il verdetto scioccante: Hanad Abdi Mohammed, cittadino somalo, è condannato a centoquarantadue anni per traffico internazionale di esseri umani. Il giudice avrebbe solo applicato la legge.

 

“CORSERA” PUNTUALE

Ma il Corriere della Sera nel suo ampio, esaustivo servizio apparso in questi giorni, segnala che il caso di Mohammed non è l’unico caso. Secondo un rapporto reso noto un anno fa da una ong tedesca, sono stati individuati altri quarantotto casi solo fra Chios e Lesbo. Anche in questi casi gli imputati non hanno tratto alcun profitto dal contrabbando.Nella prigione di Chios sono reclusi due giovani afghani, anche loro condannati a pene esemplari: cinquant’anni di prigione, sulla base della stessa accusa.

Incredibile, se si pensa che uno di questi ha viaggiato con moglie incinta e un figlio: quale trafficante farebbe una cosa del genere, fa notare il deputato. C’è anche il caso di un siriano di ventotto anni, scrive il Corriere, in prigione ad Atene e condannato a cinquantadue anni ad aprile dopo aver attraversato la Turchia con sua moglie e tre figli. Un altro afghano è stato accusato per la morte del figlio durante la traversata, a seguito di un incidente provocato da uno speronamento. Solita modalità, sostengono le associazioni per i diritti umani.

La condanna di Mohammed, poi sarebbe aggravata dal fatto che due donne sono annegate durante la traversata incriminata. E tutto questo, nonostante otto migranti presenti sulla stessa imbarcazione hanno testimoniato come il trafficante turco che li aveva trasportati per un tratto li avesse abbandonati alla vista  della Guardia costiera turca, che a sua volta avrebbe spinto la barca ad entrare in acque greche.

 

SOLITA PRASSI

La modalità, secondo Syriza Stelios Kouloglou sarebbe sempre la stessa: accusare, cioè, i migranti per cercare di fermare il flusso. Un sistema, secondo gli esperti, che oltre a violare i diritti umani non funziona. La pratica di “processare i migranti per traffico di migranti”, scrive il Corriere, è iniziata nel periodo della crisi del 2015-2016, quando più di un milione di rifugiati hanno attraversato la Grecia. «E si è intensificata – dicono osservatori – da quando la Turchia all’inizio del 2019 ha smesso di far rispettare un accordo raggiunto con Bruxelles nel 2016 per fermare il flusso e rimpatriare tutti coloro che riescono a entrare illegalmente in Grecia che non hanno diritto alla protezione dell’Unione Europea». Difficile per la Grecia, ma anche per l’UE, cooperare con la Turchia per reprimere il traffico. La Grecia, da parte sua si giustifica sostenendo che i suoi tribunali sono equi e che ha l’obbligo di sorvegliare i propri confini.

Negli ultimi due anni, secondo gli avvocati che difendono Mohammed e altri sui quali pendono lo stesso tipo di condanne, le accuse vengono mosse senza prove reali. Senza contare che nei confronti dei veri trafficanti di esseri umani non viene fatto niente. Attualmente recluso, attende con speranza l’appello.