Andrew, ventisei anni, nigeriano, “cuoco”
«“Costruiamo Insieme” mi ha dato serenità. Dalle sedici ore di lavoro, malpagate, in un autolavaggio, alla cucina aperta mesi fa dalla cooperativa. Un attestato conseguito a Confcommercio, “piatti” italiani e nordafricani. In trecento a bordo di un gommone, la grande paura, poi Lampedusa. Ringrazio il Cielo!»
«Fino a qualche tempo fa non avevo troppa fortuna con il lavoro; mi sbattevo da mattina a sera per pochi spiccioli, fino a quando non ho trovato l’occasione con “Costruiamo Insieme”: oggi lavoro in cucina, mi diletto fra fornelli e pietanze, da otto mesi la mia vita è cambiata grazie alla cooperativa!».
Andrew, nigeriano, ventisei anni, quando si racconta alza gli occhi al Cielo. Un cielo con la “c” maiuscola. Il suo riferimento è il Signore. Durante la nostra chiacchierata lo invoca spesso. Con garbo, come se stesse maneggiando un pacco con la dovuta cura. Accompagna questa sua grande forma di rispetto con il segno della croce. Andrew è cattolico. Prende il suo zainetto. Come fosse la borsa di Mary Poppins, tira fuori da questo l’impossibile. C’è di tutto, svuota e riempie una scrivania. Sulle prime non comprendiamo cosa stia cercando. Nonostante parli italiano, non pensa nemmeno lontanamente ad anticipare la mossa a sorpresa. «Aspetta un momento!», dice. Passa un minuto. Ne passano due, anche qualcosa di più. Ecco, ha trovato. Mostra l’oggetto della sua ricerca con grande orgoglio. «Ecco, Papa Francesco!». Un quadretto, a colori, una stampa con foto di Sua Santità. «Padre, Figlio, Spirito santo!», altro segno della croce. Andrew, adesso, ha il volto sereno. Voleva solo mostrare quanto quel suo segnarsi fronte e petto, invocando la Trinità, non fosse solo frutto di abitudine. «Credo in Dio, è a lui che mi sono rivolto nei momenti difficili e se mi ha aiutato a trovare un lavoro importante, vuol dire che le mie preghiere sono arrivate a destinazione».
Amabile Andrew. Raccontaci la tua storia. «Vengo dalla Nigeria, una vita fatta di grandi sacrifici e mille motivi perché non restassi più a casa, con mio fratello di ventidue e mia sorella di venti anni: loro, grazie al Cielo, stanno bene dove stanno, non corrono alcun rischio, io non potevo più restare; se sei contrario, ostinato nei confronti di qualcuno, corri il rischio che ti facciano male: ma non con sonore bastonate… Oggi, grazie al cellulare, fratello e sorella li sento molto spesso, lo stesso la mamma: quest’ultima la sento in continuazione, l’ultima volta che le ho parlato non stava bene e questo è anche uno dei motivi perché ogni giorno trovo del tempo per rivolgere preghiere a Dio: deve fare il possibile per far stare bene i miei due fratelli e mia madre, perché possa riprendersi al più presto»FUGA E VIAGGIO, DAL NIGER ALLA LIBIA
Prima di “Costruiamo Insieme”, la fuga. Un lungo viaggio. «Ho attraversato, non senza qualche problema, il Niger: sono arrivato in Libia, unico sistema per mettere da parte un po’ di denaro con il lavoro e trovare un’occasione di imbarco; ho fatto un po’ di lavoretti, fino a quando per un periodo di otto mesi ho trovato un lavoro un po’ più stabile: non pagato bene, ma almeno costante, mi sfiancavo, andavo a dormire con la schiena a pezzi, ma il giorno dopo sapevo che il mio lavoro era quello e basta; lavoravo in un autolavaggio, a contatto con acqua, detersivi, schiuma e spray, tutte cose che a lungo andare, per almeno quattordici, sedici ore al giorno, rappresentavano un tormento; ma lavoravo, mettevo un po’ di soldi da parte…».
Quando finalmente un giorno arriva l’occasione. «Un gommone enorme, occhio e croce avrebbe potuto ospitare cento, centocinquanta persone: uno sull’altro, invece, arrivammo a qualcosa come trecento ragazzi! Pensavo che se il gommone fosse affondato prima di avvistare una nave, una imbarcazione più solida, sarebbe stata una vera sciagura; mi imbarcai, fummo soccorsi, fortunatamente, da una motonave, salimmo a bordo, arrivammo a Lampedusa: tre giorni lì, poi dritti nell’hot spot di Taranto, ospiti in un Centro di accoglienza, dopo del tempo “Costruiamo Insieme”, come sentirsi a casa, massima assistenza: nostalgia, tanta, ma almeno non dovevo domandarmi cosa stessi facendo qui, in Italia».
A proposito di Italia. «Sono arrivato in Italia il 5 aprile di quattro anni fa; non appena sbarcato ho fatto lavoretti, qualcuno soddisfacente, qualcuno un po’ meno; non era come trovarsi in Nigeria, però, dove le giornate si trascinavano fra lavori sempre di fatica con zero soddisfazioni dal punto di vista economico». Sfrega appena, uno con l’altro, pollice e indice. Di italiano ha imparato la lingua, ma anche i gesti, eloquenti. Quelle due dita “parlano” di soldi. Ora Andrew sta tranquillo.UN CORSO DI QUALIFICA, FINALMENTE UN ATTESTATO
«Prima dell’opportunità di lavoro con “Costruiamo” insieme con i mei due colleghi, Ali e Waseem, ho fatto un corso in Confcommercio. Ho imparato i segreti della cucina, come si mantiene nella massima pulizia l’ambiente di lavoro e come si cucinano certe pietanze: non solo cucina italiana; diciamo anche che, oggi, il massimo è la cucina nordafricana, piatti che i ragazzi ospiti della nostra cooperativa mostrano di apprezzare: non puoi, però, cucinare sempre la stessa roba, devi cambiare; ho imparato che anche il miglior “piatto” mangiato tutti i giorni, alla fine può nausearti».
Dunque, “Costruiamo”. «Quando la cooperativa ha aperto la sua cucina per assistere i suoi ospiti, ha pensato a noi che avevamo avuto già esperienza e, soprattutto, un attestato che ci qualificasse».
Cosa ricorda Andrew del suo Paese. «Le partite di calcio, quelle che giocavamo da ragazzi, da mattina a sera: non importava chi segnasse, l’importante era vincere; oggi sento di aver vinto la partita della vita: ho un lavoro importante, spalle al sicuro e non posso che ringraziare il Signore; devo a Lui – segno della croce – se ho incontrato presidente, direttore e colleghi che mi hanno aiutato a inserirmi nel quotidiano; a tutta questa gente sarò riconoscente a vita».