Godfrey, nigeriano, trentasette anni, fede cristiana, non ha più famiglia. «Mio padre e mia madre morti, mio fratello scomparso, forse vittima di una “morte bianca”: lavorava nel sottosuolo. Ho studiato da artigiano, rivesto sedie e poltrone, ma mi accontento di fare il muratore». Sei mesi di lavoro, il viaggio su un gommone, un datore di lavoro alla fine anche generoso.
Sorride e parla poco. Un carattere chiuso, anche se basta parlarci qualche minuto per comprendere da quante e quali esperienze venga Godfrey, trentasette anni, nigeriano, fede cristiana, in Italia dall’ottobre del 2016. Non ha più nessuno, papà e mamma morti. L’unico legame familiare lo aveva con un fratello del quale non ha più notizie da più di venti anni. In città, a Edo Stete, ci sono due versioni che male si combinano. E Godfrey ne accennerà più avanti, durante la breve conversazione.
Comprende l’italiano, ma per evitare equivoci, educatamente chiede due cose: la presenza di un operatore e rivolgergli le domande lentamente. A qualcuna, infatti, risponde con il cenno del capo, in senso positivo o negativo, dipende dall’argomento. Pochi istanti e il trentasettenne nigeriano, parla, si racconta.
«La mia storia è simile a tante altre – confessa – ma anche un po’ diversa, di mezzo ci sono affetti persi negli anni, i miei genitori, e il dolore vivo di mio fratello, del quale non ho mai più avuto notizie definitive; nel tempo ho maturato una certa diffidenza nei confronti del prossimo; quando qualcuno mi avvicinava e mi dava notizie su dove fosse o come fosse finito mio fratello: come se avesse voluto sviare le ricerche o allontanarmi dalla verità».
La storia dell’ultimo grande affetto perso da Godfrey, va raccontata. «Mio fratello lavorava per un’azienda che scavava pozzi petroliferi – dice – insieme con altri compagni si spezzava la schiena da mattina a sera; spesso lui e altri facevano pericolosi interventi nel sottosuolo, passavano in rassegna le attività svolte fino a quel momento; si sinceravano dello stato di mezzi e strumenti utilizzati per estrarre il greggio da raffinare successivamente: una vitaccia, ad arricchirsi erano i padroni della concessione e quanti, alle loro dipendenze, facevano rispettare orari di lavoro insopportabili».
L’UNICO FRATELLO SCOMPARSO IN CIRCOSTANZE MISTERIOSE
Un brutto giorno, dopo una di queste ispezioni, Godfrey non ha più notizie del fratello. Sono trascorsi ventitré anni. «Era il ’95. Mai saputo cosa sia successo in realtà in quel maledetto sottosuolo; è lì che comincia il dramma nel dramma: alcuni amici e compagni di lavoro, che sembrano sinceri, mi dicono che purtroppo mio fratello insieme con altri è rimasto sepolto lì sotto e non c’è modo di tirarlo fuori e forse sarebbe il caso di mettermi l’animo in pace; altra versione, altrettanto dolorosa, a cui non credo e che ti fa capire come per pochi soldi da quelle parti la gente sia disposta a mentirti, illuderti, senza pensare quanto male possa farti: “Tuo fratello è andato via, ha preso di corsa tutto ed è fuggito, insieme con quei compagni con cui stava ispezionando i pozzi!”».
Del fratello da quel momento, Godfrey, non ha più notizie. Una “morte bianca”, nemmeno un corpo sul quale piangere, rovesciare la disperazione per aver perso l’unico fratello. «La moglie, piuttosto – un dolore si somma ad altro dolore – nel giro di qualche giorno, spoglia la casa nella quale abitavano e porta via tutto; anche lei di colpo scompare, non credo proprio per raggiungere mio fratello, ma solo per cambiare aria; da allora non l’ho più vista, né sentita, mentre di mio fratello si inseguono notizie sempre più contraddittorie: è morto e sepolto; no, è ancora vivo, è andato a vivere altrove».
Godfrey, la Nigeria, l’Italia e un viaggio durato sei mesi. «Quanto cioè mi ci è voluto per mettere insieme soldi guadagnati con il lavoro e pagarmi il viaggio dalla Libia – passaggio obbligato per chi vuole trasferirsi in Europa – all’Italia; ho lavorato duro, nei campi, la schiena a pezzi: ci accompagnavano con mezzi improbabili, bus e camion, e poi venivano a riprenderci; scappare nemmeno a pensarci: intanto perché, a piedi, ci sarebbero volute quindici ore di marcia e poi perché soldi ne avevamo davvero pochi».
LE PREGHIERE ASCOLTATE DAL CIELO
Ma le preghiere vengono ascoltate dal cielo. L’aiuto arriva da una persona che non t’aspetti. «E’ stato il mio datore di lavoro – ricorda Godfrey – fu lui a comprendere che nonostante l’impegno nei campi le disponibilità economiche non erano tante; forse per lui erano stati sufficienti sei mesi di ininterrotto lavoro per lasciarmi libero; sta di fatto che, senza dirlo agli altri miei compagni di lavoro, mi accompagnò al porto, lì c’era un gommone ad aspettarmi: eravamo in tanti, non chiedermi quanti fossimo, in quei momenti ti passa la vita davanti e certamente non pensi a contare quanti siamo su quell’imbarcazione di fortuna; di sicuro eravamo tanti e stavamo strettissimi; io, poi, ero immerso nei miei pensieri: non avevo più radici con la Nigeria, niente genitori, niente fratello, vedevo la costa africana allontanarsi, mi sarebbe toccato riscrivere la mia storia, ricominciare da zero».
Godfrey ha studiato, a scuola ha imparato un mestiere. Esegue rivestimento di sedie e poltrone. Uno come lui tornerebbe utile ad un’azienda che fabbrica mobili artigianali. «Mi piacerebbe fare questo lavoro – conclude il trentasettenne nigeriano – anche qui, in Italia, sarei utilissimo con l’esperienza e le tecniche imparate a scuola e con il lavoro pratico; ma se proprio non c’è bisogno di un artigiano, anche il lavoro di muratore andrebbe bene: la mia vita ricomincia dall’Italia».