Sekou, una famiglia infamata, la fuga verso il nostro Paese

«Mio padre inghiottito da una di quelle “prigioni del silenzio”. Mia madre morta lontano da casa, mio fratello scomparso in mare in prossimità delle coste italiane. Mi resta mia sorella che sogno di riabbracciare. Intanto studio da insegnante, adoro la cultura»

Foto: Redattore Sociale

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«Sono arrivato in Italia quattro anni fa; avrebbe dovuto raggiungermi mio fratello, che mi aveva aiutato a mettere insieme la somma utile per il viaggio dalla Libia in Italia: non potrò più riabbracciarlo, il suo viaggio della speranza è finito in mare; qualche ora prima, il suo ultimo messaggio in vista delle coste italiane». Sekou, guineano, ventotto anni, titolo di studio scuola superiore, racconta la sua storia fatta di toni drammatici.

La vita non gli ha risparmiato immagini drammatiche. «Mio padre trascinato a viva forza in quelle che chiamiamo “prigioni del silenzio”, che poi significa sparire per sempre». Coltiva un sogno. «Fare l’insegnante, non mi impressiona lo studio: ho ricominciato dalla terza media, provando a dimenticare tutto quello che mi è accaduto in questi anni, ma, credetemi, non è facile». «Se mi piace l’Italia? Cosa posso dire di un Paese così bello, libero e rispettoso, sarebbe bello se un giorno ricominciassi proprio da qui»

Nel suo Paese esiste un forte conflitto etnico. Indossa un paio di occhiali, maschera a malapena il dolore mentre ricorda i particolari di quella. «I “miei” mi avevano aiutato a mettere insieme quei soldi che mi avrebbero permesso di lasciare la Guinea, Paese invivibile». Torna sul dramma vissuto dal papà, accuse infamanti che presto hanno sommato dolore ad altro dolore. «Mio padre, dicevo, un brutto giorno è stato prelevato con la forza e fatto letteralmente sparire: sapevamo come sarebbe andata a finire, nonostante quei militari che vennero a prelevarlo ci rassicurassero che, dopo un controllo, ci avrebbero restituito papà».

Foto: Avvenire

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PAPA’ SI OPPONEVA ALLA VIOLENZA

«Facevamo una vita rispettabile – racconta Sekou – mio padre, commerciante, comprava e vendeva merce, alimentari, abiti; tutto scorreva nella normalità, andavo a scuola, studiavo con grande applicazione; il mio obiettivo era arrivare a un titolo di studio che mi permettesse di insegnare: amo la cultura e l’idea di poterne fare regalo agli altri».

«Mio padre, fatto sparire da un giorno all’altro, aveva un unico torto: non essere d’accordo con il partito, autoritario, che sarebbe andato successivamente al potere; così un brutto giorno, con un pretesto lo portarono via, in una di quelle che noi chiamiamo “prigioni del silenzio”: tre mesi dopo ci informarono che era morto: non si sa come, anche se lo intuimmo, non c’era da fare grandi ragionamenti: pensavamo alle sofferenze subite prima di chiudere gli occhi».

Da quel momento ogni tipo di accusa. «“Siete etiopi!”, ci urlavano contro, come se fosse un delitto essere nati altrove: io sono nato in Guinea; la mia parola contro quella di gente che aveva deciso di sopraffarci: in breve ci affamarono, non avevamo più risorse, era praticamente finita».

Ancora Sekou. «Mia sorella scappò con mia madre, piangevano a dirotto tutto il giorno: tempo dopo altra brutta notizia, anche la mamma era morta, non mi restavano che lei, mia sorella, e mio fratello più piccolo, scomparso successivamente in mare prima di arrivare sulle coste italiane, e quella gentaglia era riuscita a realizzare quell’obiettivo bestiale: annientare la nostra famiglia».

Foto: Calciomercato.com

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CIO’ CHE MI RESTA

Ciò che le resta della famiglia. «Sento spesso mia sorella un giorno ci riabbracceremo, ma su un territorio libero come l’Italia, che sento come fosse casa mia: libera e rispettosa, mi piacerebbe restare qui».

Spesso viene assalito da una grande nostalgia per il suo Paese e quei pochi familiari che gli restano. «Guardare al passato è un lusso che non posso concedermi, non voglio pensare e ripensare a quanto accaduto, devo provare a rimuoverlo; sento alcuni miei compagni di scuola, ma alla fine tocchiamo sempre quel tasto: la nostalgia di non stare insieme, un Paese letteralmente cambiato e la voglia, un giorno, di riabbracciarci, praticamente un sogno».

Quando stiamo per salutarci ci regala un’ultima emozione, uno sguardo alla sua infanzia. Ricomincia dal dolore, però. «Ho ereditato da papà l’amore per il calcio; quando con gli amici giocavo al pallone pensavo di essere una stella di una delle squadre più titolate d’Europa, il grande Milan, il Barcellona, il Real, il Liverpool: il campo era un perimetro in terra battuta, le porte ricavate da maglie e scarpe, tanto giocavamo a piedi nudi…».

Il desiderio di Sekou. «Ritrovare un giorno, in un agolo del cuore e della mente, anche un briciolo di spensieratezza: niente può restituirmi mio padre, nemmeno la giustizia, lo stesso mia madre o mio fratello, partito per l’Italia con il solo scopo di riabbracciarmi: con le lingue me la cavo, conosco inglese, francese e, benino ormai, l’italiano: la mia vita ricomincia da qui».