John, Rex e altri connazionali, hanno incassato “negativo”
Nigeriani, arrivati in Italia a gennaio, si sono imbattuti nelle nuove norme volute dal Governo. «Dobbiamo rifare i documenti, senza il nuovo “codice fiscale numerico” non abbiamo accesso al mondo del lavoro, l’iscrizione a servizio sanitario e scuola. Quando tutto sembrava andare per il meglio, è ripresa la nostra corsa contro il tempo»
Negativo. Un aggettivo più pesante degli altri. Specie per quei ragazzi che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni etniche piuttosto che politiche, e dopo essere sbarcati dall’Africa in Europa cominciavano a guardare al proprio futuro con quel pizzico di ritrovata fiducia. Oggi esistono misure più ristrettive. Il nuovo ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha posto nuovi paletti. L’extracomunitario sbarcato nel nostro Paese deve ripresentare la sua domanda e in caso di esito “negativo”, eventualmente rifare i documenti per ottenere il “codice fiscale numerico” e sperare che non ci siano altri scomodi intoppi burocratici. Secondo associazioni, le istituzioni fino ad oggi preposte all’attivazione di questo documento non saprebbero crearlo, né convertirlo, rendendo impossibile a migliaia di ragazzi accesso al lavoro, all’iscrizione al servizio sanitario e nelle scuole.
In Nigeria non sanno cosa significhi la burocrazia, qualsiasi documento lo consegnano in giornata, è sufficiente rispettare le linee guida. Per chi dovesse schivare astutamente anche il più piccolo articolo di legge è previsto il carcere, senza appello alcuno. Lì, scritte minuscole che più minuscole non si può, postille e post scriptum, non esistono. Vai a spiegare a Rex e John che in Italia si vive anche, soprattutto, di norme. E quel che è peggio, di interpretazioni. Non fosse così dalle grandi industrie all’ultima società a conduzione familiare, giudici e avvocati non saprebbero di che vivere. Così i tribunali sono affollati di cause, piccole e grandi, stanze piene di carte e i computer pieni di file danno la sensazione che da un momento all’altro tutto possa esplodere.
«LE MIE BRACCIA PER QUESTO PAESE!»
Rex, trentaquattro anni, nigeriano, fede cattolica, arrivato sette mesi fa in Italia, a Catania, pensava che il più fosse fatto. «Non avevo nulla da temere – spiega – la mia è stata una fuga per evitare dolorose persecuzioni, per me e la mia famiglia rimasta a casa; purtroppo lì non esiste, come dite voi, il contraddittorio, quella democrazia che permette di esprimere un giudizio su qualsiasi cosa, anche la cosa apparentemente più banale; il Paese è diviso fra gente con divisa e gente senza divisa: i primi hanno come una sensazione di onnipotenza, pensano, anzi sono arciconvinti, che la divisa che hanno addosso permetta ogni cosa; esiste una forte corruzione, la parola di un normale cittadino conta poco rispetto a quella di un militare, qualsiasi tipo di denuncia il più delle volte finisce in una bolla di sapone; piuttosto, se ti sei opposto a tentativi di estorsione, sei stato minacciato e non ne puoi più di essere spremuto come un limone, c’è chi fa trapelare informazioni e lì comincia la fase più dolorosa, la persecuzione: vieni picchiato, bastonato, preso a calci; se non ti basta, minacciano anche i tuoi familiari, così l’unica soluzione per evitare di ritrovarti con una palla in una schiena arrivata da non si sa dove, è scappare, gambe in spalla: scappare a più non posso!».
E’ una giornata fatta di documenti custoditi in una busta trasparente. Rex, John e altri loro compagni, mentre c’è chi scatta qualche foto, quelle carte non le abbandonano un solo istante. Lasciate in auto. «Chiudi bene!», consigliano. Non possiamo dare quattro “mandate”, li rassicuriamo: è tutto a vista, possono consegnarsi sereni all’obiettivo. «Da gennaio in Italia – argomenta John, ventotto anni, anche lui nigeriano – non ho potuto iscrivermi a scuola, occorre il codice fiscale che possono darti solo una volta fatte altre domande: adesso quei documenti sono diventati altri ancora, così mi tocca fare tutto daccapo, con il nuovo anno scolastico alle porte: ero in procinto di iscrivermi, respinta della domanda, il “negativo” mi ha fatto fare marcia indietro; devo rifare tutto, perderò tempo prezioso che avrei voluto impiegare per fare i documenti per l’iscrizione a scuola».
«NON POSSO ISCRIVERMI A SCUOLA»
Il desiderio di John. «Amo i banchi scolastici, fossi rimasto nel mio Paese, la Nigeria, avrei continuato a studiare nel liceo artistico, ero già a buon punto: volevo diventare un docente, avere tanti studenti a cui insegnare il valore della libertà, del rispetto». Quello che un brutto giorno è venuto a mancare proprio alla sua famiglia. «Mamma e zio morti ammazzati, per essersi ribellati a continue estorsioni e rapine: sarebbe toccato anche a me, figlio unico, se papà non mi avesse scosso e indicato che l’unica strada da prendere era quella della fuga».
Se non arriva in tempo il benestare, John rischia di perdere l’anno scolastico, lui che ama il profumo dei libri freschi di stampa. «E’ più forte di me – confessa – stavo cominciando ad accarezzare un sogno, finire il ciclo di studi in Italia e poi vedere sul da farsi: restare qui o se, conoscendo bene l’inglese, avrei potuto trasferirmi altrove, per insegnare, fare l’interprete: quando provo a spiegarmi a qualche amico italiano, cerco di fargli capire che il dolore di chiunque fugga da una zona dove esiste un qualsiasi conflitto, ti matura prima, ti fa crescere, tanto da risultare utile a tutti: conosciamo tre, quattro lingue, in un mondo che va aprendosi alla rete, a scambi culturali e commerciali, possiamo essere una risorsa, non un peso».
Ma la doccia fredda arriva quando meno te lo aspetti. «Con l’ingresso di Salvini nella politica attiva di questo Paese – riprende Rex – sapevamo che la nostra richiesta d’asilo avrebbe necessitato di più tempo: personalmente chiedo solo che mi sia data la possibilità di lavorare, mostrare che le mie braccia possano tornare utili a questo Paese che dal primo giorno si è dimostrato ospitale».