Ernesto Chevanton, la salita, la discesa, la serenità

Calciatore amatissimo nel Salento, dopo aver smesso di giocare al calcio entrò in depressione. «Non vedevo l’ora che arrivasse sera, per mettermi a letto e dormire», dice l’attaccante. «Soffrire, compravo auto, cose costose e inutili, ma nessuno si accorgeva del mio “mal di vivere”»

 

«Dopo il ritiro dal mondo del calcio mi ero sentito solo, non avevo più la voglia di vivere; mi svegliavo la mattina e non vedevo l’ora che fosse sera per tornare a dormire e staccare la spina». Essere un idolo, in una città di provincia, o in una metropoli, uno sportivo amato ovunque, forse cambia poco. Ernesto Chevanton, calciatore uruguaiano che ha indossato la maglia giallorossa con il Lecce, potrebbe spiegarcelo. Con parole sue, di quelle che ti lasciano di stucco. Può un giocatore amato da un popolo calcistico eclissarsi, desiderare che venga subito sera per staccarsi da un mondo che non gli appartiene più e andarsene finalmente a letto? O peggio, staccarsi dal mondo intero? Non solo quello calcistico, che lo ha reso popolare, ma che a quarantatré anni, se potesse, forse cancellerebbe.

Una cosa è certa, Ernesto, amico di tutti qui, in Salento, un giorno ha deciso di restare in quella che sente la sua terra, la sua casa, scacciando finalmente quegli incubi. Pensava addirittura di farla finita, non appena lascò il calcio. Di colpo la gente che lo aveva osannato, applaudito, portato in spalla, era scomparsa, aveva eletto altri calciatori a propri beniamini. E’ la parabola del calcio. Ernesto, ormai, faceva parte del passato, ma non aveva ancora messo in conto che da mattina a sera la sua vita cambiasse radicalmente.

 

 

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

Ernesto in questi giorni ha compiuto un altro colpo di tacco, uno dei suoi, da fuoriclasse. Ha regalato a Sportweek, settimanale della Gazzetta dello sport, la sua storia. Una storia fatta di gioia e amarezza. Anche il sito calciomercato.com ha ripreso il suo sfogo, una parabola dalla quale tutti, nessuno escluso, possiamo trarre insegnamento.

«Dopo il ritiro – racconta Chevanton – mi ero sentito solo, avvertivo forte il peso di quel macigno rappresentato da un brutto sentimento: non avere più la voglia di vivere; chi mi stava vicino non percepiva segnali inequivocabili, non avvertiva quanto invece soffrissi. Mi svegliavo la mattina e non vedevo l’ora che fosse sera per tornare a dormire e staccare la spina. Ho toccato il fondo, sono stato depresso. Come provavo a combattere la depressione? Compravo auto e altre cose costosissime, quasi volessi farmi del male, finire i soldi e poi, non so… Pensavo che non avrei più visto la luce, invece la campagna mi ha rigenerato. Arrivo qui, nel mio bel pezzo di campagna, stacco il telefono, felice di rimboccarmi le maniche».

Chevanton, la sua vita dopo il ritiro. «Mi sveglio alle prime luci del mattino, qui fa già caldo: vado dal fruttivendolo, faccio un bel “pieno” di frutta e verdura e la porto qui, nella mia terra, per sfamare i miei animali. Ho trovato il terreno per caso; quando l’ho comprato, qui c’era solo una piccola casetta. A due chilometri da qui c’è la villa di Corvino, un’istituzione per il Lecce, è stato lui – grande direttore sportivo – a trascinare il Lecce ai fasti una squadra e un popolo che meritano il palcoscenico della serie A».

 

 

CORVINO, DIRETTORE E INSEGNANTE

Riconoscenza per Corvino, il direttore. «Dopo avermi acquistato dal Danubio Montevideo nel 2001, mi portò a vedere la sua campagna. Rimasi folgorato dalla personalità di un uomo che aveva a che fare con i potenti del calcio internazionale, considerare quel fazzoletto di terra la sua gioia. Quella volta ci pensai a lungo, oggi capisco perfettamente il senso di quell’insegnamento. Spero che un giorno il direttore venga a trovarmi: stavolta sarei io a mostrargli la terra che mi ha salvato».

Ernesto e il Lecce. «Mi sarebbe piaciuto arrivare a un traguardo importante come le cento reti con la stessa squadra, ma gli anni passavano e le nuove esperienze calcistiche bussavano alla porta. Qui mi vogliono bene, un affetto ricambiato. Lecce, nel frattempo, è diventata la città delle mie figlie». Oggi Ernesto Chevanton non è solo un uomo che ama quel fazzoletto di terra e quegli animali che nutre con frutta e ortaggi che il suo amico gli fa trovare ogni mattina. Allena una squadra giovanile. Con la maglia della nazionale uruguaiana ha disputato 22 gare dal 2001 al 2008, mettendo a segno 7 reti e giocando con la Celeste la Copa América del 2001.

Nell’estate del 2001 si trasferisce al Lecce, nella Serie A italiana. Militerà per tre anni nel club giallorosso. Il debutto in Serie A nel 2001: Lecce-Parma (1-1), gara in cui segna il suo primo gol; ruba il pallone al portiere avversario, Sebastien Frey, impegnato in un rinvio dalla sua area.