Allul, sudanese, quarantadue anni, operatore
«Dallo scorso giugno la mia vita è cambiata grazie a un contratto con la cooperativa. Venivo da esperienze da dimenticare e un viaggio lungo anni. Saldatore a sedici anni, sono scappato per via di una guerra civile. In Libia, altro conflitto e otto anni fa, l’ultimo viaggio, a Lampedusa, poi Taranto»
Allul è un maratoneta, da sempre. Vanta medaglie e trofei da riempire scaffali. Ha quarantadue anni, parla e scrive arabo, corre fin da piccolo. E’ dovuto anche scappare. Qualche anno fa dal suo Sudan, dove è nato. Imparare a mettere chilometri sotto le scarpe e alle sue spalle gli è servito. Si è impegnato nel percorso complicato della vita, fra Paesi, sentieri e vicoli, accoglienze disinvolte e lavoro non retribuito.
Ora Allul vive sereno, il suo inseparabile zainetto in spalla. Non si sa mai, ci fosse un terreno sterrato sulla sua strada, ci mette un attimo a tirare fuori tuta e scarpette per riprendere a correre. Come Dustin Hoffman nel “Maratoneta” di John Schlesinger. Il dolore, non solo fisico, finalmente alle spalle. Il volto, nero, scuro per mille motivi. Su molti di questi, Allul sorvola. Nel tempo è diventato saggio. Lo aiuta un’espressione del volto e un gesto con una mano, come a volersi gettare alle spalle episodi neri come la sua pelle. Ricordarli fa solo male. Per uno che vuole guardare avanti, sereno, è meglio non pensarci. Il miglior “outing”, non pensarci più.
«La svolta, nel giugno dello scorso anno, quando Nicole Sansonetti, presidente di “Costruiamo Insieme”, mi propose di collaborare con la sua cooperativa». Allul veniva da una delusione dopo l’altra, quando finalmente arrivò l’occasione buona. Quella che avrebbe potuto dargli serenità. «Più del lavoro, mi colpì la frase con la quale mi avanzò la proposta: “Questa è casa tua!”; felice e commosso in un colpo solo, fino ad allora non avevo mai avuto la forza di pensare a un Centro di accoglienza, a una città come Taranto, a un Paese bello come l’Italia, come “casa mia”».AMORE E RICONOSCENZA
Sorride, poi si fa serio. Quasi temesse che il messaggio arrivi incompleto. Riconoscenza e dichiarazione d’amore sbucano dal profondo del suo cuore. «Per tre anni, sbattuto come quell’imbarcazione in mare aperto che otto anni fa mi portò a Lampedusa; ho lavorato altrove, ma il mio impegno quotidiano di operatore non mi veniva riconosciuto, in termini economici come in termini professionali: un disastro; ecco perché quando mi aprii al presidente e lei mi rispose, secca, con quella frase, il mondo intorno a me cambiò in un attimo, capii cosa significasse essere felice».
Finalmente sereno. «Dal giugno dello scorso anno; la mia vita fino ad allora era stata un’odissea: nato in Sudan dove da cinquant’anni è in atto una guerra, una volta in Libia, dopo tre anni, altro conflitto civile e fuga; mi chiedevo cosa avessi fatto di male per sentirmi perseguitato; la mia professione, saldatore, l’avevo svolta a partire dall’età di sedici anni, prometteva bene: la mia era una terra in via di sviluppo, cresceva, si espandeva; costruzioni, edifici si perdevano a vista d’occhio, poi gli interessi di pochi hanno soffocato quelli di un intero Paese…».
Il lavoro con “Costruiamo”. «Fatto di organizzazione: appello, accoglienza, carta d’identità e documenti per i ragazzi, possono sembrare pura routine, invece è come un lavoro teatrale: anche se la commedia è la stessa, quando cambiano gli interpreti, cambia in qualche modo anche il risultato; ogni ragazzo ha una sua storia, un suo vissuto, uno non ha lo stesso carattere dell’altro, così devi lavorare per far comprendere ad ognuno di questi qual è ruolo che la vita ci ha assegnato…».FUGA DAI CONFLITTI CIVILI
Non fa una grinza il paragone. Sentiamo, ora, che interprete è Allul. «Saldatore a sedici anni, ho sempre lavorato, non fosse stato per le guerre civili in Africa diventate una costante; nove fratelli, me compreso, sento spesso mia madre e il resto della famiglia; mio padre l’ho perso circa tre mesi fa, non sono potuto tornare per l’ultimo saluto, per me – come per altri miei connazionali – tornare a casa è un problema serio; ma un giorno conto di tornarci, anche se “casa mia” è ormai qui».
Otto anni fa, coraggio a due mani. «Imbarcato il 6 agosto del 2011, con tre miei amici ero già andato via dal Sudan; in mare fummo salvati da una nave mercantile maltese, per essere trasferiti successivamente a Lampedusa, da lì in poi, solo la provincia di Taranto, nei Centri di accoglienza di Manduria e Palagiano, poi in città; ero uno degli ospiti, una prima esperienza come operatore mi aveva lasciato l’amaro in bocca…».
Poi, finalmente, il sereno, “Costruiamo Insieme”. «Casa mia!».