Giorgio Verdelli, a Taranto, ha presentato “Vengo anch’io”, il suo ultimo docufilm

Enzo aveva origini pugliesi. Scherzava con Abatantuono, che gli rispondeva: “Ridi, ridi: tu sei più “terrone” di me”. Di Diego la definizione più bella dell’artista: “El portava i scarp del tennis” e “Vincenzina e la fabbrica”, capisaldi del neorealismo. “Quelli che” e “Se me lo dicevi prima”, ispirarono Vasco

 

 

Quando passa da Taranto, Giorgio Verdelli, regista e produttore televisivo e cinematografico, viene a trovarci. Per un caffè, due chiacchiere. Non viene mai a mani vuote. Fra i più dinamici autori, non solo radiofonici e televisivi, nel tempo ci ha regalato special televisivi di grande spessore programmati in Rai (“Unici”) e autentiche perle programmate nelle sale cinematografiche. Basterebbe menzionare gli ultimi della serie: “Pino Daniele – Il tempo resterà” (premiato con il Nastro d’argento), “Paolo Conte – Via con me” ed “Ezio Bosso – Le cose che restano”.

Dunque, perché Taranto. Verdelli, autore, regista e produttore di documentari, programmi musicali e ritratti cinematografici di celebri artisti, è stato ospite di Spazioporto in occasione del “Cinzella d’inverno” per presentare il suo ultimo docufilm, un vero gioiello: “Enzo Jannacci – Vengo anch’io”.

Il documentario, introdotto dallo stesso autore e dal critico cinematografico Massimo Causo, ripercorre la figura e le opere di Enzo Jannacci, scomparso a settantotto, anni anche attraverso le parole del figlio Paolo, Vasco Rossi, Claudio Bisio, Diego Abatantuono, Paolo Conte, Roberto Vecchioni, Paolo Tomelleri e altri ancora.

 

 

«Non lo dico solo io – attacca Verdelli – ma Jannacci è stato un genio multiforme della canzone, ma soprattutto una persona a cui ero molto affezionato, avendo stabilito con lui negli anni un bel rapporto, tanto che il docufilm “Vengo anch’io” nasce da una mia intervista inedita, che nel tempo ho conservato gelosamente».

Solo a dieci anni dalla scomparsa. «Avrei voluto farne uno speciale televisivo, ma non appena stavo per lavorarci sopra, arrivava qualcuno che faceva qualcosa che aveva in qualche modo attinenza con Jannacci; così ho deciso di farne un docufilm con l’aiuto prezioso del figlio Paolo, la sua storica Casa editrice Ala Bianca e Nicola Giuliano della Indigo film (Oscar con “La grande bellezza”) che hanno creduto nel progetto; lo abbiamo presentato a Venezia, dove è stato programmato nella categoria “Evento speciale fuori concorso”, insieme con un altro film dedicato a Sakamoto, e, addirittura, con Woody Allen e Roman Polanski».

Cosa ha emozionato a Venezia Giorgio Verdelli. «La grande standing ovation, un tributo al mio lavoro, ma soprattutto alla stella del progetto: il grande Jannacci. E, a seguire, una grande accoglienza in tutte le sale, non solo al Nord, considerando la “milanesità” dell’artista, anche se non molti conoscono le origini pugliesi di Enzo, visto che il papà era di Bisceglie; tante volte, in privato, con Diego Abatantuono scherzava sulle loro origini e su chi dei due fosse più “terrone”».

 

 

A proposito di Sud. «Lui era profondamente milanese, ma aveva dentro questa grande creatività tipicamente del Sud; mi ha commosso il ricordo del suo passato da medico chirurgo: avrebbe voluto esercitare quella professione, ma era troppo sensibile; gli americani con cui si confrontò in un corso di specializzazione negli Stati Uniti, gli dissero, che lui prendeva troppo a cuore il destino dei pazienti, mentre loro cercavano qualcuno che “tagliasse” senza crearsi tanti problemi».

Risposta alla Jannacci. «Ogni vita ha grande valore – conclude Verdelli – non è un caso che lui abbia dedicato “El purtava ‘e scarpe de tennis”, canzone eterna, dedicata a un barbone; oppure “Vincenzina e la fabbrica” dal film “Romanzo popolare” del quale lo stesso Jannacci ha scritto la sceneggiatura, con Beppe Viola e Maurizio Costanzo; canzoni, queste, pubblicate quando Gianni Morandi cantava “Fatti mandare dalla mamma…”: insomma, Enzo era un artista dai mille talenti, capace di fare molte cose, avendo una straordinaria sensibilità nello scrivere canzoni “non solo umoristiche”, bensì caposaldi del neorealismo,  per usare un concetto espresso da Abatantuono nel docufilm. Per concludere, lo stesso Vasco, fra quanti intervengono nel docufilm, confessa che canzoni come “Quelli che” e “Se me lo dicevi prima”, lo ispirarono: sembravano fatte su misura per lui, del resto, Enzo da quella persona sensibile che era, aveva riconosciuto la genialità di Vasco in quel manifesto straordinario che è stato e resterà “Vita spericolata”».