Nigeriano, poco più di trent’anni, confessa la sua debolezza

«Sogno di fare il poliziotto locale, sono i più eleganti, i più educati», dice. «Per quanto sono tutti bravi quelli che fanno questo mestiere», corregge. «I carabinieri, quelli sì, ti mandano fuori controllo: ti danno del “tu”, ti dicono di non agitarti e, intanto, ti fanno mille domande», si sbilancia. Sogno di indossarla, per recuperare quel rispetto che nel mio Paese non ho mai avuto».

«Il traffico dalle mie parti è un’opinione». Fa cenni con le mani, Mike, nigeriano, per far comprendere cosa sia la circolazione stradale nel suo Paese. A far rispettare le leggi, un “poliziotto universale”, esiste un solo corpo militare. «Non è come qui da voi, ho visto – dice Mike – ci sono i vigili urbani, la polizia, poi cos’altro… i finanzieri». Lo ha visto su internet. Si sforza per far capire che le divise sono un dettaglio che non gli sfugge. Fosse per quello, ci sarebbero anche i carabinieri. «Più tosti, dimenticavo!». E, invece, Mike che ha compreso la gerarchia dei corpi militari, in un attimo si aggancia alla considerazione apparentemente sfuggitagli.

«E’ vero, i carabinieri, quando ti fermano ti fanno mille domande: gentili sono gentili, ma non si accontentano della prima risposta e se non parli bene l’italiano hanno tutta la pazienza di questo mondo. A me è successo qualcosa di simile: circolavo in città, mi chiesero i documenti, entrai nel panico; da noi, i poliziotti in divisa fanno paura: devi sempre tenere la testa bassa, mai fissarli negli occhi, la prendono come un’offesa, un gesto di sfida; qui, invece, se non li guardi negli occhi è come se avessi qualcosa da nascondere. E il bello è che ti danno subito del “tu” e si prendono tutto il tempo per capire dove il tuo ragionamento stia andando». Storie 02FINALMENTE UN SORRISO…

Ora ride, Mike. «Sapessi, invece, la paura quando mi fermarono: “Normale controllo”, mi dissero. E poi, “Stai calmo, devi avere paura solo se combini qualche pasticcio… hai combinato guai? No? E allora non avere timore…”.  La divisa nel mio Paese mette paura, dicevo, qui in Italia al cittadino dà sicurezza: almeno questo è capitato a me che, come disse il carabiniere, non avevo nulla di cui avere paura».

Da mesi in Italia, Mike le domande in italiano le afferra senza problemi. Riprende a sorridere. «Voi italiani, poi, potreste andare in qualsiasi Paese del mondo, viaggiare fino a dove vi pare: quando parlate muovete le mani, da lì si comprende se siete sereni o agitati, se qualcosa vi è andato di traverso». Fa il gesto del mulinare le mani a un palmo dal viso, Mike. «Quando un italiano fa così, brutto segno». Insomma, il linguaggio dei segni, il giovanotto nigeriano lo ha imparato. Fosse interrogato, per come parla e spiega le sue impressioni, a scuola strapperebbe la sufficienza.

Perché parliamo di poliziotti e carabinieri. «Ho sempre subito il fascino della divisa, per un senso di giustizia che ho dentro, ma da quando sto in Italia è diventata una malattia: vorrei fare il vigile urbano, dirigere il traffico; pensa che bello, alzo il braccio verso l’alto, apro il palmo della mano e… stop! Vero? Le auto al mio segnale si fermano, faccio attraversare i pedoni, aspetto che bambini e anziani si prendano tutto il tempo necessario e poi… segno alle auto ferme, “potete riprendere a circolare”». I vigili, oggi, si chiamano poliziotti locali. «Bella la divisa, blu d’inverno, bianca d’estate; girando per la città ho notato che sono i più eleganti di tutti: gentili come gli altri agenti delle forze di polizia, ma più eleganti, anche se qualcuno ha chili di troppo ha sempre gesti eleganti».

SARA’ PERCHE’ SOGNO RISPETTO…

«Hanno grande rispetto dei cittadini – prosegue Mike – sono disponibili, quando forniscono informazioni lo fanno sempre con il sorriso: che questo, il pedone, sia bianco, nero o giallo». C’è poco da fare, il modo di operare dei nostri “vigili urbani” è rimasto impresso a Mike. «Da pochi giorni a Taranto, un giorno mi sono rivolto a un agente di polizia locale – va bene così? – per chiedere quale strada avessi dovuto fare per tornare da via D’Aquino alla sede di via Cavallotti. Non indossavano ancora la divisa estiva, come invece accade in questi giorni: attesi qualche istante, il tempo che l’uomo in divisa finisse di dare indicazioni ad alcuni turisti: non appena ebbe finito, mi dette con la massima calma tutte le indicazioni per tornare nel mio Centro di accoglienza».

Avesse pelle bianca, Mike arrossirebbe, ma la sensazione è quella giusta, viso e occhi non tradiscono. Con la divisa cerca quel rispetto che a casa sua non ha mai avuto. «E’ la cosa che più ci manca – confessa – e che molti di noi, in Nigeria, cerchiamo dall’età della ragione: non è giusto che un tuo simile si serva della forza, di una pistola per avere ragione di te: sono cristiano, siamo tutti fratelli, abbiamo gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti, non è così? Fin da piccolo ho fatto i conti con violenza e ingiustizia: se una divisa invita al rispetto, non c’è niente di male, forse desiderarla, un giorno indossarla è la strada giusta per recuperare un mio diritto».