«I poveri sorvegliati da uno stretto controllo». Ismail, venti anni, ivoriano, si racconta. «Negato lo studio a causa dei pochi soldi. Morto papà ho lasciato i libri. Ho fatto pulizie, il muratore, l’elettricista per staccare il biglietto dalla Libia all’Italia, naturalmente su un gommone, stretti in centododici»

WhatsApp Image 2017-12-21 at 14.15.30«Undici mesi di lavoro, dalle pulizie in una università all’aiutante muratore in Libia, i soldi guadagnati e messi da parte rinunciando anche all’irrinunciabile, poi finalmente le risorse economiche per pagare il mio viaggio della speranza e, infine, eccomi qua». Ismail, venti anni, nato a San Pedro, Costa d’Avorio, si racconta in un francese misto a un buon italiano. Sorseggia, seduto, un caffè in un bar del centro. Guarda alle sue spalle. Uno spicchio di mare, bello sì, ma evoca l’ultimo sforzo compiuto mesi e mesi fa per arrivare al traguardo della libertà, un viaggio su un gommone, stretti in centododici. Non è un bel ricordo, ma il peggio è passato. «Da un anno sono qua, mi dicono che faccio grandi progressi nel parlare italiano, comprendo la vostra lingua, sono meno pratico nel rispondere, ma dove non arrivo a farmi capire mi esprimo a gesti». Sorride Diakite Allhassen, un operatore di “Costruiamo Insieme”, che a tratti fa da interprete nella conversazione.

«In Costa d’Avorio parlano francese – dice Allhassen – loro lingua ufficiale, con questa si fanno capire anche da chi abita nei Paesi confinanti: di solito gli ivoriani fra loro preferiscono conversare in dialetto, uno dei tanti di ciascuna zona…». Dunque, Ismail, in teoria conosce già tre lingue, il suo dialetto, il francese, quasi l’italiano.

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DUE LINGUE E MEZZA: DIALETTO, FRANCESE E ITALIANO, QUASI

«Due lingue e mezza – scherza – fosse stato per me avrei proseguito gli studi nel mio Paese, purtroppo quando è venuto a mancare papà, non ho più frequentato la scuola: in famiglia non avevamo i soldi per pagare la scuola, in Italia esiste il diritto allo studio, tutti devono imparare, progredire nell’arte e nella cultura; da noi, purtroppo, non è così: hai i soldi studi, non hai soldi…fatti tuoi!». Non conosce bene l’italiano, ma in quanto a farsi comprendere, Ismail ci riesce. E bene anche.

«Quando ero a San Pedro non giocavo solo al calcio, che poi è lo sport più praticato, infatti basta una palla da prendere a calci, quattro canne di bambù per fare le due porte, e via, a sognare di diventare Cristiano Ronaldo… Amavo il teatro, lo frequentavo, non mi sarebbe dispiaciuto prendere lezioni e, un giorno, salire sulle tavole di un palcoscenico a recitare; amo il cinema e la tv, qui a Taranto vado spesso a Lama, vedo i cartoni animati, amo il mondo della fantasia, in tv invece seguo la serie “24 Ore”, tanto che il mio attore preferito è Jack Bauer…». Sfiora il cellulare, digita, appare un’immagine. «Questo è Bauer! Mi piacciono gli intrighi politici, i polizieschi, gli action-movie…».

Torniamo ai campetti, alla scuola negata, alla fuga. «Quello che a noi non manca è lo spazio, lunghe distese, tanto che non comprendiamo come, qui, la gente abiti in palazzi così alti, uno accanto o di fronte all’altro; noi, invece. se vogliamo socializzare basta partita di pallone; in Costa, purtroppo, non esistono classi medie: tanti poveri, pochi ricchi; per questo amo la Festa del sacrificio, che per importanza, da noi, è forse paragonabile al vostro Natale: ci fa sentire tutti uguali; è un’illusione, lo so, ma per uno, due, tre giorni, volutamente vestiamo tutti allo stesso modo, non si distingue il ricco dal povero, mangiamo senza limiti e tutti le stesse cose: insomma, non c’è chi mangia e chi guarda».

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«AIUTIAMOLI NEL LORO PAESE», SOLO UNO SLOGAN

«Durante la Festa avvertiamo il principio di democrazia, nonostante da tempo sia in corso una guerra etnica; check-point di polizia ovunque, i poveri reclusi nei loro quartieri, per contenere eventuali focolai di protesta: fa sorridere il concetto “Aiutiamoli nel loro Paese”: con il popolo non parla nessuno, gli accordi sono fra i governi, di benefici per la gente povera e disperata non se ne parla». Non era più vita, così Ismail è scappato. «Ho lasciato mamma, con la quale mi sento quando posso, una sorella più piccola e un fratello più grande». Ismail vive l’Italia poco per volta. «Mi piacerebbe trovare lavoro – sogna – una ditta di pulizie, lavoro che ho fatto per mettere insieme i soldi necessari per pagarmi il viaggio, oppure l’elettricista, il muratore, non mi tiro indietro: in Libia da anni costruiscono case, dunque c’è bisogno di mano d’opera, ma per noi “neri” non è facile stare lì sereni, tanto vale cercare la libertà altrove; ogni tanto gioco al calcio, lo guardo in tv, tifo Juventus, Chelsea e Real: nella finale Champion’s fra “Juve” e Real non ho sofferto come gli amici bianconeri, per me era indifferente che vincesse una o l’altra, “Vinca il migliore!” mi dicevo: anche questa è democrazia…».