“Io speriamo che me la cavo”, girato trentuno anni fa in città
Protagonista Paolo Villaggio diretto da Lina Wertmuller. I vicoli della Città vecchia come quelli del capoluogo partenopeo. I bambini diventati adulti, qualcuno diventato attore professionista, qualche altro imprenditore. I ricordi di Adriano Pantaleo nel docufilm “Noi ce la siamo cavata” diretto da Giuseppe Marco Albano
Un pomeriggio con Paolo Villaggio, nella hall dell’Hotel Plaza di Taranto. Dalle cinque, ora del thè, alle otto di sera. Una lunga intervista, come fossimo vecchi amici, in realtà non era così. Parlammo di tutto, di Totò e Sordi, del cinema di Kurosawa e di Fantozzi. Non la finivamo più. Ma questa è davvero un’altra storia. Poi, alle otto, un responsabile della produzione chiamò un taxi e imbarcò Villaggio invitato a cena in un ristorante della Città vecchia.
Nell’Isola stavano facendo le riprese di “Io speriamo che me la cavo”. Il film era “Io speriamo che me la cavo”, ispirato al best-seller del maestro Marcello D’Orta, diretto da Lina Wertmuller. I vicoli tarantini sostituivano quelli napoletani. Nella hall c’era tutta la classe nella quale “insegnava” Villaggio. Bambini vispi, che mostravano di saperla lunga. Disinvolti, alcuni si stringevano a mamma e papà. La produzione, tassativa, assicurava ai piccoli la presenza di almeno un genitore. Parlavano ch’era una bellezza. Qualcuno di questi si è fatto strada, è diventato un volto popolare; altri hanno desistito dalla carriera cinematografica o televisiva e, dopo quella esperienza, hanno scelto di inseguire altri sogni, di fare altro.
Fra i più vivaci, un ragazzetto, dentini in disordine, orecchie a sventola, ma già sveglio: Adriano Pantaleo, che farà strada al cinema e in tv. Proprio in questi giorni, Fanpage, servizio a cura di Gennaro Marco Duello ha incontrato il popolare “Vincenzino” cinematografico per chiedergli se fosse al corrente su cosa facessero oggi quei suoi “compagni di classe” di allora. In realtà Pantaleo ha fatto di più. Nel tempo, quando è stato possibile, ha mantenuto rapporti con qualcuno di loro, tanto da aver curato un documentario dal titolo “Noi ce la siamo cavata” diretto da Giuseppe Marco Albano.
«COSA FACCIAMO OGGI…»
«Che fine avessimo fatto? È una domanda che mi ha accompagnato praticamente in tutti questi anni – spiega – tutte le volte che mi riconoscevano: mi chiedevano che fine avessero fatto quei miei compagni di classe. Un giorno la stessa domanda me l’ha posta Albano, il regista del docufilm. Abbiamo annodato insieme, dove è stato possibile, i fili di alcune di quelle storie personali, ma anche di una città, di un paese, di una società cambiata nel tempo. Ci sono voluti quattro anni per realizzare un lavoro soddisfacente».
Fra le storie che Adriano racconta a Fanpage, quella di Mario Bianco, «l’ex bambino cicciottello della classe, Nicola: tutti si ricordano di lui per essere il bambino della “prima brioche”, della “seconda brioche”, tanto che da grande ha aperto cornetterie, esportando a Torino un cornetto notturno e la cucina napoletana aprendo un ristorante».
Altro ex giovanotto vispo, tanto da aver proseguito come Adriano l’attività di attore, Ciro Esposito. «Un grande amico che ho incontrato più volte artisticamente: altra storia, quella di Dario Esposito con cui sono diventato parente. Mia madre e sua madre erano diventate molto amiche negli anni di “Io speriamo che me la cavo”, tanto che lui ha finito per innamorarsi di mia cugina Alessia, che poi ha sposato: vivono a Piacenza, lui è militare, lei un’ostetrica, hanno due figli fantastici».
«COME, NON E’ “FANTOZZI”?»
Nel docu ci sono tratti coraggiosi, la storia di tre “compagni” che hanno scelto altre strade, tanto da aver conosciuto il carcere. Ma le storie, racconta Adriano, sono state documentate con molto tatto. Poi torna il sorriso, quando gli chiedono di Paolo Villaggio.
«Eravamo quasi scioccati. Noi bambini tra i sette e i dieci anni, vedevamo “Fantozzi” in tv, il nostro personaggio preferito: insomma, pensavamo di incontrare una persona che ci avrebbe parlato come il suo grande personaggio, invece ci siamo trovati al cospetto di un grande attore, un grande uomo che ci ha spiegato la differenza che passa una cinepresa accesa e una spenta. Quando è spenta, si spegne un po’ di quella magia. Venni a sapere che era stato proprio Villaggio a chiedere al produttore Ciro Ippolito, di interpretare il ruolo del maestro elementare che per errore invece di andare a Corsano, in Liguria, viene spedito a Corzano, praticamente Napoli. Grande concentrazione sul set, poi a cinepresa spenta, se avevamo fatto i bravi ci premiava interpretando “Fantozzi” solo per noi».
Infine la regista di “Io speriamo che me la cavo”. «Lina Wertmuller è tra le persone che porto nel cuore. L’ho incontrata spesso negli anni; per me è sempre stata un punto di riferimento, tanto che è stata fra le prime a sapere che sarei diventato papà: “Vedrai, ti cambierà la vita ma soprattutto ti cambierà il modo di vedere e intendere il tuo lavoro” mi disse: aveva ragione».