«Amin, israeliano, lancia un appello»

Inviato al confine con la Siria, mentre osservava i nemici giocare una partitella di calcio gli balenò un ragionamento. “Una cosa che fa sorridere, perché è un’idea bambina: perché devo combattere ragazzi che, come me, in questo momento sorridono, fanno le stesse cose che io e i miei commilitoni facevamo nelle ore di riposo. Ho vissuto da piccolo in Perù, poi sono tornato in Israele, tre anni di leva a sorvegliare oltre quella linea immaginaria e a riflettere…”. Intanto, ha fondato un social, diffuso un ideale…

 

«Se solo ci fermassimo a pensare un solo minuto al giorno, a quanto siano sciocchi e inutili i conflitti, di qualsiasi natura, avremmo già risolto metà problema”. Amin, israeliano, nato a Gerusalemme, vissuto in Perù e alla maggiore età tornato nel suo Paese, ha in testa un’idea, forse bislacca, forse troppo bambina, insomma semplice, tanto che nessuno si pone mai una simile domanda. “E se smettessimo le armi, qualsiasi proposito di imbruttire il “nemico” che hai di fronte e nel quale il male e combatterlo con più odio?». Questa una delle domande che Amin si pone e che spesso rivolge agli amici sui social.

«So quanto siano forti i social oggi – dice – tanto che potrebbero essere usati per compiere una rivoluzione, smetterla una volta per tutte di spararci addosso perché “io sono meglio di te”, e non la metto sul piano del ragionamento, della discussione per quanto animata possa essere; no, la metto sul piano della forza e questa cosa, fratello, permettimi non va affatto bene».

Amin e il suo outing. «Sboccia quando meno te lo aspetti – spiega – una volta arruolato per il servizio di leva, che in Israele dura tre anni: appena maggiorenne ero tornato nel mio Paese insieme con la mia famiglia; avevamo vissuto per diversi anni in Perù, quando decidemmo di tornare nella nostra terra: succede, le radici in queste scelte hanno un ruolo sicuramente importante». Servizio di leva, primo impegno importante con un’arma fra le mani. «Dopo mesi di addestramento – dice il giovane israeliano – mandano me e la mia compagnia sulla linea di confine; provate a immaginare: me, pacifista nato, con un fucile ad alta precisione fra le mani e, per giunta, sulla linea di confine a sorvegliare i militari dell’esercito siriano, con il pericolo che quell’arma dovessi usarla davvero per ferire o, peggio, ammazzare il nemico che, forse, nemico non era e mi spiego…».

 

AMIN, PAROLE CHE PESANO

Misura le parole Amin, non vuole essere frainteso. Fino a quando ha indossato la divisa, sapeva che doveva rispettare gli ordini, osservare oltre la linea di confine perché ai militari con addosso una divisa diversa dalla sua non venisse in mente di fare scherzi. Fino a quando, galeotto fu un pallone di calcio. «Certo, lo sport più famoso al mondo – dice Amin – che puoi fare con quattro grosse pietre a segnare le due porte e una sfera che puoi prendere a calci anche se non sei un fulmine di guerra». Un giorno era di guardia Amin, attrezzato di binocolo e perfino di telescopio per sorvegliare distanze maggiori. «Cominciai ad osservare un gruppo di militari siriano divisi in due squadre, da una parte una squadra a torso nudo, dall’altra quelli con addosso una maglietta: correvano all’impazzata; un mio collega sorvegliava, io per qualche istante a guardare quella partita, ma forse a fare quanto dovremmo provare a fare un po’ di più tutti: a pensare; pensavo a quei ragazzi non da avversari in un conflitto che non porta mai a nullo di buono, ma ad esseri umani, come me, che di sparare addosso a un altro francamente non gliene frega nulla».

 

UNA RIVOLUZIONE “BAMBINA”

Un ragionamento che sulle prime fa arrossire Amin. «Ma sì, perché è un ragionamento elementare, che potrebbe fare anche un bambino; anzi, sono proprio i bambini, che non hanno idee politiche nella testa, a spiegarci le cose in modo semplice: perché dovrei aggredire uno che in questo momento ride insieme con i compagni, rincorre un pallone che prende a calci? Anche io, quelle volte che mi ritrovo a fare una partitella con amici e commilitoni, ho la stessa spensieratezza, come se non dovesse accadere nulla, perché non puoi avercela con chi mostra la tua stessa serenità, la tua stessa allegria». Magari bisognerebbe lavorare più su quelli che si ostinano a spararsi addosso. «Ma per fortuna sono una minoranza; siamo molti ma molti di più quelli che vogliono deporre le armi, sedersi intorno a un tavolo e prendere a calci anche certi pensieri, certi documenti: pensiamo ai confini, alle espansioni – e, in questo, non mi riferisco a Israele e Siria – senza comprendere che si vive una volta sola e ad ognuno di noi tocca sempre un metro nel quale muoverci, le lunghe distese, il nostro benessere a discapito dell’altro, del nemico, dell’avversario, non va bene: e, allora, proviamo a scendere in campo per un ideale comune, la libertà, giocare insieme a fare i bambini, posto che fare gli uomini il più delle volte porta alla violenza».

Per concludere, Amin. «Mi sto impegnando sui social, io stesso ne ho fondato uno, parola chiave “idealist”: ho ideali da condividere con altra gente, di qualsiasi Paese, qualsiasi latitudine; ecco, conto di arruolarne a migliaia, centinaia di migliaia, per armare di sola pace un esercito sterminato che abbia un unico scopo: deporre le armi e stringersi la mano».