Silvia Scola, martedì sera allo Yachting di San Vito ha ricordato l’immenso papà Ettore
Uno dei più grandi registi italiani raccontato dalla figlia in un’altra serata sold-out all’interno della rassegna “L’Angolo della conversazione”. E’ l’occasione per parlare di film come “C’eravamo tanto amati”, “Brutti, sporchi e cattivi”, “Una giornata particolare”, “La terrazza”, “La famiglia”, fino al suo ultimo suo film in ricordo del suo amico Fellini: “Che strano chiamarsi Federico”. Aneddoti a non finire, ripresi dal libro “Chiamiamo il babbo”
Ettore Scola, uno dei più grandi registi italiani di tuti i tempi. La sua storia di autore comincia a soli quindici anni. Con la famiglia si trasferisce dalla minuscola Trevico, provincia di Avellino, all’infinita Roma. Ha le idee chiare, si presenta al Marc’Aurelio, bisettimanale che ad ogni pubblicazione vende qualcosa come mezzo milione di copie. Scrive, disegna, inventa, conia una battuta dietro l’altra, piace subito a personaggi come Flaiano e Fellini, principi di quella redazione che non fa sconti a nessuno, nemmeno al fascismo, benché al tramonto.
Dal Marc’Aurelio nascono gli sceneggiatori, i registi, che racconteranno l’Italia del Dopoguerra, anche se i primi riferimenti di un attento Ettore, saranno Rossellini e De Sica. Fra i maggiori registi italiani, ha diretto, fra gli altri, film come “C’eravamo tanto amati” (1974), “Brutti, sporchi e cattivi” (1976), “Una giornata particolare” (1977), “La terrazza” (1980), “La famiglia” (1987) e “Che ora è” (1989). Se “C’eravamo tanto amati” è dedicato alla memoria di De Sica, l’ultimo suo film è un ricordo su Fellini, “Che strano chiamarsi Federico”.
MEGLIO RIDERCI SOPRA
Per restare nell’area-tributi, bene hanno fatto Paola e Silvia Scola, figlie del grande regista e sceneggiatore, a dedicargli il film “Ridendo e scherzando”. Scola, restio alle interviste, per una volta si presta allo sguardo delle figlie Paola e Silvia, con clip dai film e filmati inediti, e con Pierfrancesco Diliberto (per tutti Pif) a fare da intervistatore. Ed è proprio di “Ridendo e scherzando” che si è parlato martedì 20 agosto allo Yachting Club di San Vito nell’“Angolo della conversazione”, rassegna giunta alla ventesima edizione e a cura di Gianluca Piotti e Daniela Musolino.
Come per l’imbarazzato Pif, nel trovarsi di fronte a buona parte della storia del cinema dai Quaranta in poi, anche il modesto cronista al cospetto della figlia Silvia, si fa assalire da una giustificabile emozione. Cosa chiederle, su cosa soffermarci, su cosa sorvolare. La risposta è alla Scola. «Se proprio dobbiamo fare conversazione, andiamo a braccio, ma niente domande, meglio improvvisare». In realtà, Silvia, come la sorella Paola, purtroppo assente, dispone di una infinita serie di aneddoti che solo la metà della metà basterebbe a mettere a tacere chiunque abbia ambizioni di battutaro.
C’è anche un testo che ci accompagna nella chiacchierata, “Chiamiamo il babbo”, libro dedicato al papà. Pieno di battute che circolavano per caso.
«CHIAMIAMO IL BABBO, E’ MEGLIO…»
«”Chiamiamo il babbo”, è una battuta di uno straordinario Totò, per il quale papà ha scritto numerosi dialoghi, firmati e non, ma questo ai tempi di quello che “Ettore” chiamava il periodo dello schiavetto, della gavetta: bisognava farlo, era la chiave d’ingresso in un mondo nel quale fu subito accettato, solo che, giovanissimo, doveva farsi le ossa: e così fu. Chiamiamo il babbo, è l’invocazione del Principe quando nel film si trova davanti al giovane e inesperto dentista che temporaneamente fa le veci di suo padre: da qui, “Chiamiamo il babbo”, come a dire forse sarebbe meglio chiamare uno del mestiere; altra battuta, me ne avrei mille, “Insieme alle valigie”: vi dice niente “Totò a colori”, l’onorevole Trombetta, quando Totò lancia dal finestrino ogni cosa appartenga al deputato, perfino la valigia? Bene, quando Trombetta gli passa anche le scarpe, che fanno la stessa fine del bagaglio, e chiede all’occasionale compagno di viaggio dove le abbia poste, Totò risponde “Insieme alle valigie!”. A casa, quando dovevamo disfarci di qualcosa, non ci interrogavamo nemmeno: questa va insieme alle valigie!».
A proposito del libro “Chiamiamo il babbo”, ma in particolare del film-tributo “Ridendo e scherzando”. «Essendo nostro padre – dicono Silvia e Paola – noi figlie abbiamo avuto la possibilità di rappresentarlo anche come uomo e come persona, raccontandolo nel suo privato, con un occhio di riguardo; nel titolo, quello che io e mia sorella Paola abbiamo sempre riscontrato nel cinema di nostro padre, che “ridendo e scherzando” ha affrontato tematiche severe, drammatiche, situazioni sociali critiche; pensiamo, infatti, che ridendo e scherzando si possa essere molto più seri. Così, senza essere seriosi e con la sua stessa cifra stilistica, abbiamo realizzato questo ritratto, pensandolo come un documentario da ridere: leggero».