Michele Riondino, attore, sceneggiatore e regista spiega il film

«Politico, ideologico e di parte, per raccontare una storia che non molti conoscevano», dice il protagonista. «Per me è stata come una chiamata alle armi», ha aggiunto l’attrice Vanessa Scalera, brindisina che già conosceva l’intera vicenda. Tutto nasce nel ’97, quando impiegati vengono retrocessi al ruolo di operai. Gli intolleranti finivano in un immobile, “condannati” a non far nulla. Fra gli interpreti anche Elio Germano

 

“Palazzina Laf”, acronimo di Laminatoio a freddo, è il titolo del film scritto dallo stesso attore Michele Riondino che sul grande schermo debutta in veste di regista e sceneggiatore. “Laf”, un reparto dell’Acciaieria, come la chiamano a Taranto, che ha arricchito prima e steso, poi, un intero territorio. In quella “palazzina” tristemente nota venivano indirizzati quei dipendenti che si opponevano al declassamento. Non potendo licenziare personale in qualche modo scomodo per via dell’Art. 18, l’azienda confinava quegli elementi di disturbo a far nulla. «L’idea nasce dal contrasto dei racconti di quello che successe all’Ilva negli anni Novanta – racconta Riondino all’agenzia Ansa, durante la conferenza stampa di presentazione del film – dove lavoravano anche mio padre e i miei zii, e dove c’era, appunto, chi diceva che alcuni “lavativi” rubavano lo stipendio; per me, “Palazzina Laf”, alla fine, risulta un film politico, ideologico e di parte: ho impiegato tanto per dire con questo film verità che hanno portato poi alla prima sentenza sul mobbing quando questa parola ai più appariva sconosciuta».

Il film, ci conduce alla fine degli anni Novanta, più precisamente al 1997, quando un nuovo contratto sottoposto ai dipendenti riportava la cancellazione del ruolo svolto fino a quel momento da impiegati retrocessi a una posizione minore, quella di operai, che suscitò proteste.

 

 

E CHI PROTESTAVA…

Chi protestava, racconta il film di Riondino, finiva nella “Palazzina Laf”, per essere stipendiato per fare nulla. L’anno successivo, nel 1998, un processo condannò i dirigenti dell’Acciaieria per aver assunto questo comportamento nei confronti dei dipendenti “ribelli”.

Riondino interpreta Caterino, che ha un’ambizione: trasferirsi in città insieme con la fidanzata. Uno dei dirigenti, un perfido e impeccabile Elio Germano, decide di fare di lui una spia. Così Riondino-Caterino diventa l’ombra dei suoi colleghi, prendendo parte agli scioperi solo per denunciarli. Tutto cambia, però, quando anche “l’infame” viene trasferito alla “Palazzina Laf”: non conoscendo a quale degrado amici e colleghi siano sottoposti, scopre a sue spese che in realtà quello è mobbing, una pressione psicologica esercitata sui lavoratori per spingerli a dimettersi o ad accettare il demansionamento, la retrocessione dal ruolo impiegatizio a quello di operaio («…perché l’azienda ha deciso così»). Un vero inferno, altro che paradiso.

 

 

STRATEGIA DELLA TENSIONE

«All’epoca – ricorda Riondino – esisteva una sorta di strategia della tensione: non avanzavano i lavoratori capaci, ma solo quelli che voleva l’azienda: troppi quadri e a loro servivano operai, questa la filosofia aziendale».

Anche il sindacato, nel bene e nel male aveva un ruolo. «Era complice, faceva finta di non vedere», spiega ancora l’attore-regista. Vanessa Scalera, attrice, interprete di una delle mobbizzate: «Conoscevo quella storia, sono della provincia di Brindisi, un territorio stretto tra l’Ilva e la Centrale termoelettrica di Cerano; dell’Ilva si conoscono i processi, la questione ecologica, ma della “Palazzina Laf” si sapeva poco: così, quando mi è stato prospettato un ruolo nel film, l’ho considerato come una chiamata alle armi».