Isabella, trentatré anni, da otto in Australia
Da cameriera pagata male e sottoposta a stress, a direttrice di uno dei ristoranti di maggior prestigio in Australia. «Rispetto piacere di vivere in un Paese meraviglioso come l’Italia purtroppo passa in secondo piano», spiega. «Nel Paese in cui oggi vivo e lavoro, posso continuare ad aspirare ad una carriera ancora più importante». «Manco da otto anni, ho nostalgia, ma qui devo seguire la mia strada…». Il lavoro, lo studio della lingua, del food, dei vini e tanto altro ancora
«Rispetto alla priorità, il lavoro, il piacere di vivere in un Paese meraviglioso come l’Italia purtroppo passa in secondo piano; sotto il profilo lavorativo, nel Paese in cui oggi vivo e lavoro, ho raggiunto un livello a dir poco importante: posso continuare ad aspirare ad una carriera ancora più importante».
Isabella si sfoga, rilascia un’intervista che fa male e fa bene un po’ a tutti. In Italia, cameriera, pagata male e a nero, sottoposta a orari insostenibili, oggi a Melbourne, dove risiede da otto anni, svolge un lavoro di direttrice in uno dei ristoranti australiani più importanti. «In Italia – dice – non so se sarebbe stato possibile; a Milano, quando facevo la cameriera, mi hanno offerto un regolare contratto solo dopo mesi in nero: però prima volevano che firmassi le dimissioni in bianco; sono cose che qui, in Australia, molto semplicemente, non succedono».
La storia di Isabella, raccolta dalla redazione di “Leggo”, ottimo lavoro, potrebbe chiudersi qui. Invece crediamo sia giusto rifletterci. Specificare perché questa è una storia “fa male e fa bene un po’ a tutti”. Male, perché tutti vorremmo che i nostri figli restassero in un Paese che abbiamo ricostruito prima, ma demolito successivamente, a colpi di astuzia, furbizia e soprattutto a danno di ingenui e bisognosi. Questi siamo noi, inutile nasconderlo.

BICCHIERE MEZZO PIENO
Fa bene, ecco il bicchiere mezzo pieno, perché la storia di Giulia insegna che la forza di volontà può spingerti a riscattarti, non senza il dolore di una mezza sconfitta perché ti è toccato andare a settemila chilometri da casa per farti riconoscere un ruolo che in Italia, nemmeno in due vite, ti avrebbero riconosciuto. A cominciare da contratto e stipendio. Siamo un Paese che non si stupisce più. Non ci fanno più effetto politici e magistrati corrotti e indagati, così come dar torto ad Isabella. Che, per inciso, non torna in Italia da otto anni.
E’ la storia di un’emigrata che con il dolore nel cuore, ce l’ha fatta. Chi resta incollato al proprio Paese, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di fiducia, sperando magari nel cambiamento. E chi il guizzo, il cambiamento se lo crea. Isabella, trentatré anni, origini calabresi, cresciuta a Firenze – dunque una che non si spaventa di togliere le tende e trasferirsi altrove – che stanca di fare la cameriera per giunta a Milano – altro trasloco per lavoro – ha lasciato tutto e si è trasferita in Australia, dove oggi è direttrice di «uno dei ristoranti italiani migliori», come spiega in una sua intervista rilasciata al Corriere della sera.
La sua vita è cambiata radicalmente. Sembra un romanzo lieto fine. «Sono scesa dal bus, 44 gradi all’ombra e mi sembrava di essere finita su un altro pianeta», ha raccontato al Corsera. Tutto nasce da una riflessione maturata giorno dopo giorno, aveva bisogno di una terapia d’urto. «Nel 2014, a Milano, ero ad un bivio, non ce la facevo più. Fino a quando mio fratello Claudio non mi ha detto: “Devi andartene”. Mi ha pagato il biglietto per l’Australia, dove ho raggiunto nostro fratello, che viveva lì da tempo: l’idea era quella di stare via qualche mese, lavorando per mantenermi e, invece, sono qui da otto anni». Brava Isabella. Come avresti fatto comodo a un’Italia che perde pezzi per strada.

MILANO, IMPOSSIBILE…
«A Milano pagavo 550 euro di affitto e facevo la cameriera: lavoravo dieci ore al giorno e guadagnavo sei euro l’ora, in nero», racconta al quotidiano italiano più letto. Oggi Isabella è “venue manager”, ovvero direttore, e “head sommelier”. «Mi occupo delle prenotazioni, dello staff, dei rapporti con i fornitori e di tutto ciò che riguarda i vini; il direttore, in un ristorante, è il responsabile che tiene unita la squadra: è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene dal posto di lavoro: deve saper gestire la pressione, lo stress e ogni incidente; il nostro è un lavoro contante di problem solving: non puoi essere raccomandato o inventarti un curriculum di sana pianta; se non sai lavorare si vede già da come entri in sala o da come impugni un coltello».
Come in una favola. «Ero senza soldi – spiega Isabella – ho bussato ad un ristorante chiedendo un lavoro qualunque, così Stefano mi ha dato una possibilità: è stato l’unico a farlo. E da quel momento mi ha sempre supportato: il resto, però, l’ho fatto io. A Napoli avevo lavorato con Nunzio, un grande della ristorazione. Lui mi ha insegnato che la conoscenza è potere. Per questo ho studiato molto: la sala, i vini, la cucina, anche la lingua, perché un conto è saper parlare inglese per fare quattro chiacchiere, un conto è riuscire a fare gli ordini con i fornitori. Quando gli altri uscivano, io stavo a casa a studiare, perché volevo diventare la più brava. Ambivo a fare la manager. Così ho lavorato sodo e ho cercato di farmi valere. Non è stato facile, anche in quanto giovane donna: alcuni colleghi uomini, più grandi di me, non mi hanno accettata subito come direttore».
Isabella, si diceva, non pensa di tornare in Italia a breve. «Purtroppo, il piacere di vivere in un Paese meraviglioso come l’Italia passa al secondo posto quando si guarda a certe dinamiche. Dal punto di vista lavorativo, il livello che ho raggiunto qui e a cui posso aspirare per la mia carriera futura…in Italia, non so se sarebbe stato possibile…».