Samba, gambiana, operatore di “Costruiamo Insieme”
«Ho trovato un Paese ospitale e rispettoso, amici e compagni di lavoro splendidi. L’impegno con la cooperativa mi ha aiutato ad alleggerirmi del peso della nostalgia. Ho lasciato a casa, mia madre e mio fratello, praticamente la mia famiglia. Mi manca Bitonto, ma appena posso torno lì»
«Anche per me, come per i miei connazionali, far parte della squadra di “Costruiamo Insieme”, è motivo di orgoglio e soddisfazione».
Samba, ventisei anni, madre gambiana, la sua stessa nazionalità, padre senegalese, un fratello, rimasto a casa, non nasconde neanche un po’ la gioia di essere arrivata in Italia, solito viaggio tribolato, e di avere trovato dopo alcuni mesi di ambientamento un posto di lavoro all’interno della cooperativa sociale che l’aveva già ospitata in un Centro di accoglienza.
Un viaggio non molto semplice, con la paura nel cuore e negli occhi. Quegli stessi occhi che, oggi, quasi parlano. Volendo interpretarli, esprimono felicità. Samba è arrivata in un continente del quale aveva solo letto, sentito parlare. In pochi mesi è diventata un elemento importante di quella che lei stessa chiama “squadra”. Tracce di malinconia. Non fa piacere dover lasciare il proprio Paese, il Gambia nel mio caso. «Ma quando si presentano problemi non semplici da risolvere, sei chiamata a compiere una scelta dolorosa: e non importa se per la maggior parte a fare i bagagli e lasciare alle proprie spalle storia e radici, siano in buona parte uomini; anche a te, donna, tocca prendere una decisione, coraggiosa, impacchettare quelle tue poche cose, soprattutto i tuoi affetti, e tentare l’avventura».VIAGGIO AVVENTUROSO
Ecco, il viaggio avventuroso. «Pur sforzandomi, non riesco a trovare una parola facilmente traducibile che possa dire quale sia stato il tragitto, tormentato, dal mio Gambia fino a qui, in Italia. Non sapevo, infatti, cosa mi aspettasse “là fuori”: parlo da ragazza gambiana che non ne poteva più di stare in un Paese in continuo conflitto, a fare ragionamenti non sempre condivisi o condivisibili, specie per una donna: alla fine, a malincuore, ho preso una decisione: sana o sbagliata, me lo avrebbe detto quel viaggio che avevo nella mente da tempo».
Che viaggio si immaginasse, Samba, ce lo racconta a tratti. L’epilogo sì, anche perché va ogni oltre più rosea previsione. «Non pensavo che una volta in Italia – spiega l’operatrice di “Costruiamo” – avrei trovato un lavoro che mi aiutasse a tracciare un percorso sereno per il mio futuro in un Paese bello come e ospitale come l’Italia. Il rispetto, poi, altra cosa importante, che purtroppo cominciava a mancare nel mio Paese, il Gambia: insieme con la libertà, il rispetto è una risorsa fondamentale della vita: le due cose, insieme, sono doni di grande valore».
Samba e la “sua” Italia. «Da due anni in questo Paese – spiega – non ci ho messo molto ad ambientarmi, anche grazie alla voglia di apprendere in fretta: l’italiano l’ho imparato subito, ospite in uno dei Centri di accoglienza di “Costruiamo insieme”: in qualità di ospite, non ho mai avuto la sensazione di essere un numero, uno dei tanti extracomunitari ospiti di un CAS; gli operatori avevano grande rispetto nei confronti degli ospiti, offrivano a tutti la massima assistenza; oggi, precisamente da un anno e cinque mesi, questo lavoro lo svolgo io: proprio sulla scorta della mia esperienza in qualità di ospite, ho imparato come ci si muove nei confronti del prossimo».GAMBIA, LIBIA, FINALMENTE ITALIA
Non vorrebbe parlarne, lo comprendiamo. Ma le chiediamo, se possibile, uno strappo alla regola. «Il viaggio dal Gambia fino alla Libia – racconta Samba – è durato sei mesi; una volta lì, non avendo soldi per pagarmi il viaggio, ho dovuto adattarmi: così ho fatto la badante, mi sono presa cura del prossimo, una cosa che evidentemente mi è tornata utile anche nel lavoro che svolgo qui, con “Costruiamo”, da circa un anno e mezzo».
Finalmente il viaggio. «Partenza da Tripoli, mentre i ragazzi facevano i muratori, i giardinieri, i meccanici, io mi sono inventata un mestiere: così anche io ho staccato il mio biglietto per l’Italia». Ricorda l’imbarco. «Eravamo in 115 sull’imbarcazione, solo cinque donne, in balia di un mare che faceva impressione per quanto fosse sconfinato: alla fine, una nave ci ha fatti salire a bordo, ci ha rifocillati e accompagnati verso l’Italia e le autorità italiane».
La sua famiglia. «Sento spesso mia madre e mio fratello, sono loro quello che resta della mia famiglia: la loro felicità nel sapermi serena e con un lavoro, qui in Italia, mi rende tutto più semplice; ho nostalgia, ma mi pesa meno se penso di aver trovato anche qui una famiglia, gli operatori di “Costruiamo Insieme”, con cui ho un ottimo rapporto». A proposito di nostalgia. «Provo nostalgia anche di amici e colleghi di Bitonto, dove sono stata ospite e operatore: la vita ti mette davanti a delle scelte, il dolore è sicuramente un’altra cosa, se penso a quanti nella traversata del Mediterraneo verso la libertà, non potranno mai raccontarlo, ma non posso nascondere che ragazzi e ragazze di Bitonto mi mancano; ma anche a questo c’è rimedio, appena posso vado a trovarli, lì ho ancora casa: il peggio è passato, oggi guardo serena il mio futuro».