Extracomunitari fra i banchi per imparare. Non attendono l’esame di docenti o direttore didattico per l’ammissione nella scuola pubblica partendo dalle medie. Non vogliono farsi cogliere impreparati, provano a bruciare le tappe. Provano, non danno niente per scontato. Ci mettono l’impegno di ragazzi che hanno vissuto sulla propria pelle la miseria, esperienza che gli stessi non augurerebbero mai al prossimo. Provano ad imparare i fondamentali per dare il più presto possibile un senso decoroso al futuro. A cominciare dall’integrazione, tema che sta a cuore non solo a questi giovani studenti che frequentano il corso di alfabetizzazione in programma al “Cas Cavallotti” a Taranto. Provano.
Fanno, infatti, di più. Molti di loro sono già a buon punto. Questo dice una lezione alla quale assistiamo in mattinata. Arrivano alla spicciolata, ma si presentano alle 11, puntuali, alla lezione di italiano, tocca a Raffaella. Indossano tute, i giovani allievi, hanno sottobraccio computisterie, qualcuno un cappellino, altri una cuffietta. Chi ascolta musica tiene il ritmo, non riesce a starsene fermo, neppure per qualche istante. Scandisce i suoni, muove a tempo un piede. Poi, l’insegnante per un giorno, batte un paio di volte le mani, reclama attenzione: via le cuffiette, quaderni aperti, ci sono i nuovi appunti da prendere. Fra i banchi: Mamadou, Dioulde, Cysse e Mohamed, attenti ad ogni sillaba.
Balza agli occhi l’abitudine dello scrivere a stampatello. Tutto maiuscolo, tranne per “e”, “i” e “q”. Solo queste ultime sono minuscole. Perfetto l’accento sull’ausiliare “è”. Per il resto, il ragazzo invitato alla lavagna è preciso, lineare, distingue un aggettivo da un verbo, declina passato, presente e futuro. Come se fosse un mago, avesse una sfera di cristallo. Distingue i numeri cardinali da quelli ordinali. E se qualche volta scivola è solo per precipitazione. Ma c’è l’amico, il compagno nel primo banco, l’alunno più attento che fa da notaio e lo mette sulla strada giusta.
Una lezione nella lezione. Raffaella è concentrata, nemmeno per un istante intende far calare l’attenzione della ventina di allievi. Spiega e interroga con l’impegno di chi si cimenta nell’insegnamento per passione. Senza questa, la passione, tutto sarebbe vano. I ragazzi vogliono imparare, ma la lezione di vita la conoscono fin da piccoli. Si accorgerebbero subito se una persona in una qualsiasi attività ci mette il cuore. Dunque, mentre l’insegnante spiega e lo studente è alla lavagna, c’è chi a se stesso dà le risposte sottovoce. A volte anche prima dell’interrogato, in piedi accanto alla lavagna. «Uno, numero cardinale!», dice. «Primo, numero ordinario». E via discorrendo. Un breve stop, verbo da declinare. Niente paura, «Io sarò, tu sarai, egli sarà…». «Futuro!». Fossimo in tv, ci verrebbe da dire «Risposta esatta!». Ma i ragazzi, appena conosciuti, ci stupiscono per molto altro ancora. Aggettivi, pronomi, particelle pronominali sono strumenti dei quali ormai dispongono a piacimento.
Verrebbe voglia di tornare. E ci torneremo senz’altro. Ma una ripassatina alla nostra grammatica, che di bello ha sfumature ma anche percorsi complicati – per gli italiani figurarsi per gli stranieri – non farebbe male. I ragazzi intanto mandano a memoria mesi dell’anno, giorni della settimana, tabelline. Compiono passi straordinari.
Appassiona la passione. Vederli attenti e mai distratti, spiega senza parole come credano in questa seconda occasione della vita. E lo fanno da alunni studiosi che non vogliono perdere una sola virgola della lezione. Quello che impareranno tornerà fondamentale nei rapporti sociali, per ricambiare l’abbraccio della gente che li ha accolti a braccia aperte. E far ricredere, se ancora ce ne fosse bisogno, quel po’ di scettici che osserva il processo di integrazione con inutile sospetto.