Senegalese, 22 anni, sogna di fare l’elettrauto. «Magari proprio qui. In Libia, prigione, torture, cicatrici, poi un gommone e lo sbarco in Sicilia, finalmente “a casa”…».

WhatsApp Image 2017-11-16 at 17.35.53«Adoro la pioggia, non che al mio Paese, il Senegal, non piova: diciamo che adesso guardo tutto con più gioia di vivere…Sarà per questo motivo che amo qualsiasi tempo faccia: sole, pioggia, vento…». Omar, ventidue anni, arriva da Kolda, città senegalese («non molto piccola, né molto grande»), parla ancora poco l’italiano. Ma lo comprende, anche se in Italia è solo dallo scorso 25 maggio. «Non pioveva quel giorno, ma anche se fosse piovuto, lo avrei ricordato come una giornata piena di sole, che poi in qualsiasi lingua significa felicità».

Parte dal suo Senegal, lascia mamma, fratello e sorella. Il suo è un viaggio che dura a lungo.«Solo una manciata di giorni – spiega aiutandosi a gesti – per superare Mali, Burkina Faso e Niger; i problemi, purtroppo, cominciano come sempre in Libia, sei mesi da recluso: acciuffato col pretesto di documenti insoddisfacenti, mi hanno sbattuto in prigione, pane e acqua, come tanta altra gente; in un angolo e zitto, unica azione consentita: una telefonata a casa, per chiedere soldi, unica condizione per essere lasciato libero».

Come fosse un riscatto. «Millecinquecento dinari libici, poco meno di mille euro, per noi davvero tanto: ma in Libia è così, paghi ed esci, non paghi e resti lì, pane e acqua; e quando gli gira, e purtroppo ai nostri sorveglianti girava spesso e volentieri, ti picchiano con qualsiasi cosa abbiano fra le mani».

…In Libia, torture e soldi per il riscatto

Un calcio di un fucile, una pistola, il tacco di uno stivale. Il dramma è il volto di Omar. Cambia espressione in pochi istanti, smette di sorridere, si fa serio. Scopre una spalla. «Quando si stancano di riempirti di botte, perché per un qualsiasi motivo non sono ancora arrivati i soldi, passano al coltello: queste sulla mia spalla sono cicatrici provocate dall’uso di un coltello con una lama tagliente, di quelle che ti aprono in due un ananas lanciato per aria: è il loro sistema di metterti paura, poi passano alle vie di fatto; ti si avvicinano, mostrano la punta della lama e te la fanno “assaggiare”…».

Omar, al collo una sciarpa, tifa Senegal. «Felice di andare ai Mondiali di calcio – dice orgoglioso –ma nel nostro Centro di accoglienza di “Costruiamo Insieme” abbiamo visto le due partite dell’Italia con la Svezia: abbiamo tifato come se fosse la nostra squadra del cuore; molti amici italiani il giorno dopo l’esclusione dalla competizione erano addolorati, mi è dispiaciuto molto: loro hanno vinto un sacco di Mondiali, per noi è un motivo di vanto già parteciparvi».

Ancora calcio. «Gioco nel campo di calcio di Talsano – racconta Omar – allenato da mister Diego Lecce, è il tecnico che ha “inventato” l’Africa United, che il Cielo lo benedica! Gioco in attacco, ma il giocatore senegalese più forte è Kara Mbodj, un difensore, uno che sa farsi rispettare».

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Impegno, uguale rispetto

Rispetto, Omar ha un’idea su cosa significhi. «Il rispetto, nel campo di gioco come nella vita, te lo conquisti con il massimo impegno, la costanza, il lavoro…».

Lavoro, dunque. «Sono elettrauto – spiega – amo questa attività che ho cominciato da piccolo, lavorando in una officina meccanica della mia città; mi piacerebbe farlo anche qui, a Taranto, città bellissima, quanta storia, un amore a prima vista, magari restassi qui…».

A casa ha lasciato mamma, un fratello e una sorella. «Papà l’ho perso da piccolo, avrò avuto tre mesi; sento spesso i miei familiari, anche solo per salutarci, chiedere come stanno e dire come sto io qui, in Italia: cerco un lavoro e non appena avrò imparato meglio l’italiano, mi darò da fare; ora comincio a comprendere la vostra lingua, ma non ao parlo ancora bene».

Cosa ricorda ancora, prima dell’arrivo in Italia. «La libertà, uscire dalla prigione libica, una volta arrivati i soldi, anche per il viaggio su un gommone; partire insieme ad altri ragazzi come me per la Sicilia e, poi, finalmente “a casa”, perché l’Italia la considero casa mia…».