Omar, il giovane che sogna di raccontare l’America
«Mi piacerebbe diventare un insegnante, magari di francese. Oppure di storia: potrei raccontare la storia di Cristoforo Colombo, la mia preferita». Omar sorride, gli occhi scuri e stretti a fessura che brilla. Porta spesso le mani al volto prima di rispondere. Forse per imbarazzo. Forse per abitudine. È nato e cresciuto a Soubre, nella Sassandra a pochissima distanza dal fiume Bandame.
È scappato dal suo Paese per motivi familiari. «Avevo problemi con la mia famiglia. Problemi gravi, ma preferirei non dire niente di più». Una ferita forse ancora aperta. Eppure quando ripensa alla sua terra, il 18enne sembra tornare sui suoi passi: «Non mi trovavo bene in Costa d’avorio. Quello che oggi mi manca di più? Lo so che potrà sembrare strano, ma mi manca la mia famiglia. Sì, è vero sono scappato per loro, ma è pur sempre la mia famiglia». Sono abissi insondabili quelli nei quali l’amore e l’odio di Omar si sono intrecciati. Come la gioia e il dolore descritti da Kahlil Gibran. Forse tutto è cominciato quel 5 giugno 2016 quando è partito da Soubre. «Quel giorno non sono andato a lavorare: non ho neppure avvisato la donna con la quale vendevo scarpe che sarei andato via».
È un viaggio relativamente breve il suo: in due mesi attraversa il Burkina Faso, il Niger e poi la Libia. «Nel primo tratto eravamo oltre 120, negli ultimi chilometri in Libia eravamo solo 30. Non ci sono stati morti, ma la maggiorparte dei compagni di viaggio rimasero feriti per un sacco di ragioni diverse. Solo due ragazzi sono morti, pochi metri prima di salire sul barcone». Ironia della sorte: hanno perso la vita a qualche metro dall’imbarcazione che li avrebbe forse portati alla libertà. «Nell’ultimo tratto ci dissero che dovevamo correre a più non posso verso la barca: quei due ragazzi caddero e nessuno si fermò per aiutarli: furono schiacciati da tutti quelli che correvano dietro di loro».
Una volta a bordo, però, Omar capisce che il loro destino potrebbe non essere tanto diverso: «Nella cominciò da subito a entrare acqua. Qualcuno la raccoglieva, altri cercavano di tappare il buco. Pensai che era finita. Pensai che non c l’avrei fatta. Fino a quando non vidi la nave della Croce rossa e capii che la mia libertà era forse arrivata».
Omar e gli altri passeggeri vengono tratti in salvo: sbarcano prima in Sicilia e poi alcuni vengono portati a Taranto. Tra questi c’è anche lui. «Qui a Costruiamo Insieme mi sento libero: posso finalmente studiare. Per ora solo la lingua, ma te l’ho detto: vorrei essere un insegnante. Mi piacerebbe raccontare agli studenti il mio viaggio, la mia storia. E forse anche quella di Cristoforo Colombo e di quella scoperta meravigliosa che è stata l’America». Omar sorride ancora. E alza gli occhi guardando in cielo,. Ricorda una vecchia canzone che parla di una America “lontana, dall’altra parte della luna”. Ma lui forse la intravede e continua a sorridere.