Hotspot di Taranto. Bambini senza più genitori, uomini e donne senza più famiglie. «Storie che lasciano il segno a tutti, spesso non tratteniamo le lacrime». Emozione e sconforto di un agente di Polizia locale.
«Quando sei convinto di aver visto tanto, ti rendi conto di aver visto ancora poco». Un agente di Polizia locale, attiva allinterno dellhotspot, il Centro di identificazione di Taranto, racconta «cose mai viste» a proposito di sbarchi o, comunque, arrivi da altri Centri di raccolta. «Ogni faccia ci dice ogni espressione, racconta una disperazione sempre diversa e di storie, drammatiche con finali da tregenda sono tante». Ce ne ricorda una fra le tante, aprile 2015. Tre naufragi, a causa di vere bagnole e un mare messo al brutto, di un carico esagerato quanto disperato. «In quei giorni non si finivano di contare le vittime, la gente dirottata sul nostro hotspot, vestita alla meno peggio, la corsa per dare ai superstiti dopo il ristoro anche il calore di una coperta, abiti asciutti».
Un superstite rimase giorni allhotspot, rifiutava il cibo. «Non si mosse un attimo, una decina di giorni se non ricordo male: guardava il mare, con paura e con speranza: mentre il barcone sul quale era a bordo si rovesciava, aveva perso di vista la giovane moglie incinta, praticamente la sua famiglia per la quale sperava un futuro migliore lontano da guerra e miseria; purtroppo la donna era fra le settecento vittime, unecatombe senza proporzioni».
Ora gli sbarchi sono molti di meno. Lultimo, importante, lo scorso 20 gennaio, 400 emigranti, fra questi una cinquantina di minori. «Registriamo sempre meno sbarchi, ma lhotspot prosegue nella sua attività, intanto perché è una struttura pronta per la prima accoglienza; a Taranto, poi, giungono bus, in particolare da Ventimiglia, con a bordo migranti: a noi spetta raccogliere e il rilascio di un primo documento identificativo».
Qualcuno viene respinto. «Certo, i migranti economici sostiene il vigile urbano attivo nel Centro di identificazione tarantino i loro interessi prescindono dalla fuga da zone di guerra o persecuzioni politiche; chi non ha i requisiti richiesti è da considerare a tutti gli effetti un clandestino; tale posizione di clandestinità potrebbe essere sanata solo per motivi umanitari, ma oggi rispetto al passato esistono evidenti restrizioni, le uniche quote di accesso per lavoro sono quelle stagionali, che evidentemente hanno breve durata: buona parte è per lavoro nei campi e per le attività turistiche; completato quel periodo di lavoro, il ritorno a casa, comunque non più residenza in Italia».
A seconda dei Paesi cambiano le modalità per quanti vengono respinti. «Il governo egiziano, per esempio, viene a riprendersi i propri cittadini fuggiti dal loro Paese; con il Marocco il percorso è appena più articolato, lidea è quella di una certa resistenza, di ostacoli, comunque di unoperazione onerosa».
Scene drammatiche allordine del giorno. «La tragedia non ha colore di pelle, le lacrime dei bambini che arrivano da altri continenti sono uguali a quelle dei nostri bambini; ho prestato i primi soccorsi a piccoli appena sbarcati a Taranto, superstiti di tremendi naufragi: un viaggio della speranza affrontato con un sorriso non appena ti aggrappi a una di quelle carrette mezzi vergognosi che galleggiano per scommessa e finito, purtroppo, con lacrime e sangue, bambini che si ritrovavano senza genitori da unaltra parte del mondo e in condizioni di shock».
Anche per chi svolge questo lavoro non è facile. «Rispetto alla loro disperazione dice sempre lagente di Polizia locale il nostro lavoro di accoglienza è poca cosa, ma vi assicuro che lasciano il segno: in più di unoccasione a me ed ai colleghi è sfuggita qualche lacrima; guardavamo gente dallo sguardo smarrito, bambini chiusi in giubbotti di fortuna tre volte più grandi così da coprire le manine e poi completamente bagnati: vorresti essere utile a tutti nello stesso momento, ma non riesci a dividerti». Una disperazione senza fine.