Tutte le dipendenze privano di libertà

Ho un ricordo vivo del telefono di casa, quello della SIP, con la rotella bucata su ogni numero nella quale inserivi l’indice per chiamare qualcuno.

Così come vivo è il ricordo del lucchetto sulla rotella del telefono onde evitare bollette da svenimento ma, soprattutto, perché si aveva la consapevolezza dell’utilità dello strumento.

Infatti, quel telefono, quella rotella consentivano alle persone di comunicare a distanza, erano uno strumento da usare in caso di necessità: la vita sociale aveva e viveva di altre dinamiche.

A ripensarlo oggi, quel telefono, mi appare come il simbolo di una libertà persa!

Qualche decennio fa eri raggiungibile solo se eri a casa: libero di stare in giro, libero di vivere le relazioni, libero anche di sfuggire al controllo dei genitori consapevole delle conseguenze in cui si incorreva al rientro a casa.

Oggi, viviamo in un contesto costellato di nomofobici inconsapevoli, dipendenti da uno strumento che porti in tasca, in borsa o, costantemente in mano presi dalla fobia di controllare continuamente il proprio stato “virtuale” senza avere la percezione di essere vittime e succubi, di essere caduti nella rete di una dipendenza patologica.

Se ci fate caso, i tavoli dei ristoranti o delle pizzerie hanno più cellulari che posate e la cosa più odiosa è che, nel corso di una interlocuzione, mentre tu stai parlando con una persona questa, fingendo di ascoltarti, in continuazione rivolge lo sguardo al cellulare e, mentre tu argomenti su una questione seria ti dice con aria disinvolta “scusami un attimo, devo rispondere ad un tweet!”. Per non parlare di WhatsApp!

Contento di aver maturato una accettabile capacità di autocontrollo, ometto di scrivere o descrivere il contenimento dell’impulso reattivo.

Ma, da appassionato dello studio degli atteggiamenti umani, ho voluto approfondire la materia scoprendo, certo in ritardo rispetto a studiosi dediti alla materia, che siamo di fronte ad una patologia, meglio, una dipendenza patologica: nomofobia!

Si chiama così: “L’utilizzo smodato e improprio del cellulare come di internet può provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle a chiudersi in se stesse, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso” come afferma il Presidente del Congresso mondiale di psichiatria dinamica Ezio Bonelli.

Ma è una patologia che ha dimensioni tanto globali, quanto assolutamente prossime: ci convivi in casa senza, spesso, neanche averne coscienza o strumenti per arginarla.

Per concludere questa riflessione, vi lascio alle parole del Dr. Antonello Taranto, Direttore del Dipartimento di Dipendenze Patologiche della ASL di Bari, con il quale Costruiamo Insieme si è pregiata di collaborare, riferite ai danni causati su bambini e giovani: “Oggi definiamo la dipendenza come un desiderio irresistibile e pervasivo di qualcosa, come Internet, che diventa dannoso per la salute e per il proprio ruolo sociale. Cambiano dunque le abitudini, ogni aspetto dell’esistenza viene compromesso perché l’oggetto della dipendenza diventa la priorità. I ragazzi si isolano e diventano burberi quando si prova a farli uscire dal mondo virtuale.

Solitamente la risposta è eccessivamente protettiva o rimproverante. E dal momento in cui la dipendenza comincia a quando la si scopre, possono passare anche otto anni. È importante non sottovalutare i segnali e tornare a stabilire relazioni. Tanti genitori sono soltanto in connessione estemporanea coi figli, si fermano in superficie”.

Ma se il cattivo esempio siamo noi genitori, adulti e attempati, che per primi pranziamo con il telefonino sul tavolo o a portata di squillo o notifica?

Per fortuna il mio telefono si spegne perché dimentico sempre di caricarlo, lo dimentico in ogni luogo e sono fuori moda perché non sono “social”: posso affermare che, fra tutte le patologie classificate, le uniche che mi mancano sono il diabete e la nomofobia.

Funziona sempre e solo per questioni urgenti o come strumento di lavoro.

Il mio mondo è rimasto reale, non è virtuale!