
Muhammad, vittima della prepotenza dei potenti
Ho scattato dieci fotografie prima di riuscire a ottenere un sorriso da Muhammad, richiedente asilo Pakistano di 48 anni. Ma questo non mi ha sorpreso dopo aver ascoltato la sua storia. La tristezza che traspare dai suoi occhi è penetrante, fa capire immediatamente che hai di fronte un vissuto pesante che stai per raccogliere.
“Non volevo lasciare il mio Paese e, soprattutto, la mia famiglia. Sono stato costretto a farlo” ha iniziato a raccontare senza che gli avessi fatto alcuna domanda.
Lo sguardo è rivolto verso Abbas, suo amico e connazionale al quale ha chiesto di accompagnarlo in questa intervista perché “…anche se il pomeriggio vado a scuola a Modugno ho imparato poco l’italiano e voglio che le cose che dico siano comprensibili”. Abbas, che l’italiano lo mastica ormai bene, ci affianca nel corso di tutta l’intervista.
Partendo dall’inaspettato esordio, chiedo a Muhammad per quale motivo ha abbandonato tutto per giungere in Italia: “A causa di una denuncia nei miei confronti per un problema nato dal fatto che io ero proprietario di un terreno, facevo l’agricoltore e avevo le mie macchine. Un giorno una persona è stata uccisa da un amico che era con me e hanno accusato anche me di omicidio. Avevo paura di essere arrestato e di essere ucciso”. Abbas mi spiega che in Pakistan vige la pena di morte e chi subisce una condanna per omicidio viene punito con la morte.
Chiedo di saperne di più, di capire perché e come fosse rimasto implicato in un caso di omicidio anche perché, avendolo di fronte e guardandolo negli occhi tutto poteva apparire tranne che un assassino.
“Accanto al mio terreno c’era il terreno di un membro dell’Assemblea Provinciale che voleva il mio terreno per costruirci dei negozi. Io gli ho risposto di no e lui mi ha seguito per due o tre volte. Ho parlato con alcune persone perché lo convincessero a non prendersi il mio terreno anche perché io avevo le mie figlie. Un giorno stavo andando con il mio amico Qaiser, che era seduto dietro di me, con la motocicletta: era il 3 giugno 2011 e due amici di chi voleva il mio terreno ci hanno seguiti e hanno sparato alla ruota della moto. Qaiser aveva un fucile, ha sparato e ha ucciso uno di loro. Poi siamo scappati. Per due mesi siamo rimasti nascosti mentre la polizia ci cercava. Ma Qaiser è stato arrestato. A quel punto, tutti mi hanno consigliato di lasciare il Paese, ma non avevo soldi. Ho dovuto contrattare con un trafficante con la promessa che quando li avessi avuti li avrei dati”.
Di qui il calvario di Muhammad: Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria prima di giungere in Italia dove ha fatto domanda di protezione internazionale.
Muhammad è in contatto telefonico con la moglie ma le notizie non sono buone: lui e il suo amico sono stati condannati a morte e quindi, non vedrà mai più il suo Paese. Le figlie non vanno a scuola perché non hanno soldi. Eppure c’è di più: “mi hanno tolto tutto, non ho più niente! Nessuno lascerebbe i propri figli e io sono stato costretto a farlo!” dice mentre il volto si fa ancora più cupo ricordando che una sua figlia di 9 anni, nel frattempo è morta di tumore senza cure mediche.
Tentato di chiudere qui l’intervista, gli chiedo quale futuro immagina stando in Italia: “Ogni mattina vado in cerca di lavoro. Gli operatori del Cas sono bravissimi e mi aiutano. A me non manca niente, sto benissimo qua, ma senza lavoro non posso far venire la mia famiglia. Il mio unico sogno è questo: lavorare e stare con la mia famiglia. Alla mia età vado a scuola perché ho capito che è un passo importante per stare in Italia, ma penso alle mie figlie che a scuola non ci possono andare più”.