David, sudanese, lancia una provocazione
«Siamo senza cibo e senza servizi igienici. Il governo libico ci ha chiesto di tornare nel centro di detenzione: sarebbe la fine per noi, ecco perché meglio esalare l’ultimo respiro in libertà. Trecento, fra bambini e donne, vivono sotto una tenda, come tutti noi vivono di stenti, ma loro cominciano ad avvertire segni di debolezza. Ma se non verranno a soccorrerci, attenderemo la fine…»
Dalla Libia all’Italia. Fa il giro del mondo, passando dall’Europa tutta, la protesta dei rifugiati a Tripoli. A una giornalista della Rai, Angela Caponnetto, una che sta sul pezzo, realizza servizi mai banali, risponde David, sudanese dal piglio risoluto. Sa di cosa parla e cosa vuole, lui insieme con i connazionali e altri profughi. E’ uno dei portavoce della protesta. Nel video realizzato dalla giornalista per Rainews, il ragazzo parla con voce decisa, risoluta. L’emozione di trovarsi davanti a un cellulare che fa da videocamera, non traspare nemmeno un po’. Figurarsi se di fronte alla vita uno possa stare a pensare di stare in tv, visto da milioni di persone. «Se il caso lo richiedesse – dice David – non è un problema: moriremo per strada». Sempre meglio che stare reclusi, il senso della dichiarazione.
Da un mese quattromila rifugiati spinti nel Centro di detenzione di Gargarish, protestano davanti la sede di UNHCR Libia. La maggior parte sono sudanesi ed eritrei. A tutti è stata riconosciuta la protezione internazionale, ma oltre trecento persone, tra bambini e donne anche incinte, purtroppo vivono per strada. Senza cibo, senza servizi igienici. Chiedono di essere trasferiti in Paesi sicuri.
NON SOLO EUROPA…
«Non c’è solo l’Europa – dicono – possiamo anche andare altrove, dove possano ospitarci, purché il Paese disposto ad accoglierci sia sicuro». La modalità è social, i rappresentanti di questa gente accampata in una tenda, senza cibo e servizi igienici, affrontano per la prima volta una diretta. Lo fanno su Facebook, in una conversazione a distanza organizzata da Amnesty Italia e dalla ONG Mediterranea Saving Humans. L’intervista è di Angela Caponnetto.
«La protesta va avanti dall’inizio di ottobre – spiega David – abbiamo solo bisogno di protezione umanitaria e non rientrare più nei Centri di detenzione; in questi giorni stiamo sopravvivendo senza cibo, senza servizi igienici: sempre meglio che tornare nei Centri di detenzione, perché è questo l’invito che ci rivolgono le autorità libiche».
Il timore di David e quello dei suoi connazionali, è sempre lo stesso. Storie simili a quelle raccolte su queste colonne e raccontate dai ragazzi ospiti in un nostro Centro di accoglienza. Infatti, dice il giovane sudanese. «Sapete tutti cosa succede in quelle carceri e quali torture siamo costretti a subire; se poi, proviamo a partire via-mare e veniamo intercettati dalla Guardia costiera libica, è la fine: ci riportano lì dentro. E tutti sanno perfettamente cosa succede lì dentro… Per questo motivo chiediamo alle autorità internazionali, all’Italia, di farci andare via da qui».
RAI, OTTIMO SERVIZIO
La giornalista che firma il servizio per Rai News, si informa, entra in argomento. Non gira intorno al tema. «Quante donne e bambini ci sono per strada? », chiede. «E, soprattutto, quanto tempo pensate di poter resistere ancora?». Perché il tema è questo, come faranno ad andare avanti in quel modo, con cibo, a patto che ce ne sia ancora, e acqua, anche questa una risorsa che scarseggia.
«Sono in trecento – spiega David – fra donne e bambini, vivono sotto le tende, ma in condizioni intollerabili; noi, purtroppo, non abbiamo scelta: resisteremo fino alla fine. Qui, in Libia, viviamo ogni giorno con la stessa paura: essere catturati e riportati in carcere. Io, con la mia gente, proseguirò con la protesta: continueremo a resistere, a protestare chiedendo giustizia, uguaglianza e protezione, finché avremo ancora un alito di vita». Insomma, «finché non avranno ucciso fino all’ultimo di noi, resteremo qui».