Morire di selfie?
Tre tredicenni, i binari, un treno in corsa e forse la incontenibile voglia di provare una sensazione forte attraverso un selfie. Così, posizionati sui binari, avrebbero aspettato che il treno fosse più vicino possibile alle loro spalle perché l’immagine potesse essere forte e l’adrenalina raggiungesse il massimo livello possibile. In quello che i giudici hanno ipotizzato come un gioco incosciente, uno dei ragazzi non ha fatto in tempo ad allontanarsi dai binari. Il treno in corsa lo ha travolto uccidendolo sul colpo.
Gli altri due, al cospetto dell’amico morto, sono scappati impauriti e timorosi delle conseguenze di quel gesto assurdo. Quando sono stati rintracciati dalla polizia, hanno balbettato, non hanno ancora interiorizzato l’accaduto, sono apparsi confusi.
L’unica certezza è il corpo del loro amico rimasto senza vita su quei binari. Morto probabilmente nel tentativo di immortalarsi con una delle mode del nostro tempo: un selfie.
Una foto che diventa un gioco mortale, come tanti altri giochi partoriti dal grembo del non senso della vita, dallo sconfinamento di ogni immaginabile limite.
L’ultima sensazione forte nel perverso ambito della frequentazione di pericolose abitudini che non fanno scalpore più di tanto. Poche righe sui giornali e qualche veloce passaggio televisivo. Niente di più. Nessuna seria riflessione sul dramma psicosociale che caratterizza i nostri tempi, sulla perdita di valori e su una prospettiva capace di radicare, fin dall’adolescenza, la convinzione che la vita merita di essere vissuta.
Diventa inevitabile il parallelo fra chi rischia la vita per salvarla e chi la rischia per uno stupido gioco, per provare un brivido.
Tentare di fuggire da Mosul è un rischio grande, si va incontro ai colpi dei cecchini o alle esecuzioni dimostrative fatte per strada ma rappresenta l’unica alternativa al rischio di morire sotto le bombe.
Così come percorrere migliaia di chilometri, subire il giogo dei trafficanti di uomini, essere ammassati su gommoni è l’alternativa ad una morte quasi certa per fame o per guerra spinti dalla da un debole ma fondamentale filo di speranza di portarla in salvo la vita.
Oscar Wilde ha scritto che “Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto”. Ma in tanti si sono avventurati nella ricerca di una spiegazione, di una traduzione capace di arrivare alle radici del senso della vita.
Voglio chiudere questo domenicale con un aneddoto: Quando sono andato a scuola, mi hanno chiesto cosa volessi diventare da grande. Ho risposto “felice”. Mi dissero che non avevo capito l’esercizio e io risposi che loro non avevano capito la vita.
(John Lennon).