Franz Di Cioccio, leader della PFM e quel “no” pesante
«Volevo fare qualcosa di importante della quale sentirmi protagonista: partii dall’Abruzzo per Milano, mi sentii subito a mio agio», dice il grande batterista. «Arrivò il primo contratto con un gruppo pop, poi mi scatenai, i miei compagni di viaggio e la proposta indecente a De André», ricorda in questo suo racconto
«Un bel giorno ho pensato di uscire da dietro la batteria dalla quale ero ormai letteralmente sommerso. Ho messo le bacchette in una tasca e ho cominciato a cantare». Questo ci disse un bel giorno, per amore di sintesi, Franz Di Cioccio, frontman della Premiata che, per esteso, fa anche Forneria Marconi. «Il nome sbuca da un vero panificio, si chiamava proprio così: non sapevamo dove fare le prove e, allora, ecco il primo “dare-avere”: tu ci dai lo spazio libero nel quale fare suonare, improvvisare, mettere insieme idee e accordi, e noi in cambio ci chiamiamo come la tua panetteria; senza tanto girarci intorno: detto-fatto».
In una intervista rilasciata a Paolo Giarrusso per Fanpage.it, uno dei batteristi più eclettici e imitati del pop e del rock italiano, fa sapere di avere addirittura «rifiutato di suonare con i Led Zeppelin per suonare con la Pfm, volevo fare qualcosa di importante; suonare con i Led Zeppelin sarebbe stato bellissimo, ma ho pensato: “ho la mia band, che ci vado a fare?”».
«PARTIMMO DA UN PANIFICIO…»
La PFM, questo l’acronimo della band rock più amata dei Settanta, più volte è stata presa ad esempio dalle formazioni d’oltremanica e oltreoceano. Se la giocavano alla pari con gli stranieri che avevano più mercato perché cantavano in inglese. Spesso qualche manager ci provava. Perfino Bernardo Lanzetti, voce per un bel periodo del gruppo musicale che nasce a Milano, fu tentato nel fare il grande salto. Cantava in inglese come se fosse italiano e il produttore dei Genesis, che aveva perso Peter Gabriel, ci provò. Chiamò il suo omologo italiano, Franco Mamone, che senza pensarci disse no. Leggenda vuole che Mamone non avesse fatto pervenire la proposta a Lanzetti.
Dunque, Di Cioccio. La storia del nucleo comincia alla Dischi Ricordi. Si chiamano “Quelli”, incidono con un certo successo canzoncine facili, allegre: “Una bambolina che fa no” e “Per vivere insieme”, fino alla svolta, fine anni Sessanta. «Mi sento in qualche modo il responsabile di tutta questa storia – racconta a Fanpage.it – sognavo di suonare con musicisti che avessero grandi capacità: facile scrivere canzoni, difficile invece mettere in piedi un gruppo e coltivare certe idee. Abruzzese, una volta arrivato a Milano, non sono diventato meneghino tutto d’un tratto, ma respirare quell’aria mi ha fatto non bene, ma benissimo: c’erano molte possibilità; ho puntato su questo e ora diciamo che la mia soddisfazione è al top».
FABER, UN GRANDE
Anche una grande esperienza accanto a Fabrizio De André. «Il nostro incontro con Fabrizio è stato un evento, nato da una mia idea. Negli Stati Uniti nascevano collaborazioni interessanti tra cantautori e band: Jackson Browne e gli Eagles, Bob Dylan con The Band, per esempio. La PFM aveva già lavorato con Fabrizio (“La buona novella”), l’occasione fu un invito a pranzo. Ne approfittai per fargli una proposta indecente: “Collaboriamo?”: “Belin, ma è pericoloso! Sapete cosa vi dico? Lo faccio!”. Fu la chiara dimostrazione che la condivisione artistica avrebbe potuto dare un grande contributo alla poetica dei testi all’interno delle canzoni».
La PFM e la sete di apprendere, confrontarsi, imparare. «Quando siamo andati all’estero – racconta a Fanpage.it – abbiamo fatto tutte le tappe possibili ed immaginabili per imparare cosa significasse suonare in Inghilterra, in Canada; questa è stata la forza: trovare la chiave di lettura per poter fare la musica».
ARRIVANO I “LED”, MA…
Viene notato dai Led Zeppelin. Perché Franz dice no. «Suonare con i Led Zeppelin sarebbe stato bellissimo – confida a Giarrusso – era un gruppo fantastico, ma ho pensato: “Io ho la mia band, cosa ci vado a fare con i Led Zeppelin?». Una storia che nasce e muore lì, come un battito d’ali. «Con la mia band volevo lasciare qualcosa d’importante, un seme significativo: chi faceva rock, faceva rock».
E Franz e la sua PFM una impronta indelebile nella musica italiana che si misura con il rock, l’ha lasciata. E complimenti a lui per non essere stato come quei calciatori che si fanno ammaliare da ingaggi “arabi” e la smettono con lo sport. Di Cioccio continua, ne ha ancora per molto.